Alila

Il film, tratto da un romanzo di Yehoshna Kenaz, a prima vista appare semplicemente come un intreccio di vicende popolari, nel condominio di un rione povero a nord di Tel Aviv. In realtà emerge ben presto un significato apprezzabile. È di Amos Gitai, regista di punta del cinema israeliano, rivolto di solito alla storia della propria nazione e dotato di capacità critiche nei confronti di tutti gli estremismi. Nonostante il realismo dell’ambientazione e degli atteggiamenti, il racconto presenta qualcosa di sfuggente. È il modo con cui Gitai ci introduce al disorientamento inconsueto di quelle persone, sofferenti di mali emblematici aventi radici sociali. Il disagio, che spinge il giovane protagonista a disertare, lo induce anche a pronunziarsi, in un momento di sconforto, contro il proprio paese. L’oppressione del ricordo dei campi di concentramento schiaccia l’anziano Schwartz e gli fa desiderare un nuovo diluvio. L’ossessiva volontà di Hezi, uomo dalla provenienza misteriosa, di tenere nascosti i propri incontri con una giovane donna induce un sentimento disperato in lei, che si sente patologicamente attirata proprio dall’insicurezza minacciosa del compagno. La prepotenza isterica e caricaturale di una poliziotta getta un’ombra inquietante sulle forze dell’ordine, che hanno a che fare anche con il problema del lavoro degli stranieri, proibito. La riuscita descrizione delle contraddizioni in cui cadono tutti questi personaggi è frutto delle capacità dell’autore, che riesce ad ambientarle nella situazione politica, facendo ascoltare frequentemente gli annunci radiofonici degli attentati kamikaze. Il film non si chiude del tutto drammaticamente, perché i genitori del militare ribelle, rappresentati assai bene come personaggi non privi di difetti, ma ricchi di umanità, sanno superare le proprie visioni iniziali, idealistiche o egoistiche, per aiutare il figlio e lasciano sperare in una loro probabile riunione. Regia di Amos Gitai; con Keren Mor,Yael Abecassis,Uri Ran Klauzner.

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