Aldo Moro il presidente

La strage di via Fani, i quaranta giorni di prigionia, il ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani. Chi c’era, di quei giorni ha un ricordo nitido, indelebile. Chi non c’era, rischia di considerarlo invece un fatto del tempo che fu, un passaggio della storia lontano dall’oggi quanto può esserlo la breccia di Porta Pia o la presa della Bastiglia. Un vuoto di memoria che cresce a dispetto della pubblicistica che sul caso Moro è, a dir poco, sterminata. Quella tragica vicenda l’hanno raccontata in libri e documentari le vittime e i carnefici, chi intendeva trattare e chi era per la fermezza. È diventata materia per film da cinefili, di ottima fattura (indimenticabili le interpretazioni di Gian Maria Volontè, e più di recente di Roberto Herlitzka), e c’è anche chi, come Paolo Bonacelli, l’ha riportata in questi giorni a teatro, risvegliando la coscienza civile di chi frequenta i foyer. Un fiume di immagini e parole che però, non ha forse raggiunto i più giovani, coloro ai quali va affidata la memoria (e la lezione) di quella notte della Repubblica. Trent’anni dopo quel tragico 1978, per rendere le nuove generazioni più consapevoli, la Taodue si è presa il compito di tornare a raccontare quei giorni affidando ad un buon Michele Placido il compito di vestire i panni dello statista ucciso, e all’ottimo Gian Maria Tavarelli la regia di una fiction in due puntate. La produzione di Pietro Valsecchi ha messo in campo la ricetta della casa, quella che già aveva funzionato per film come Nassirya e Borsellino: preferenza per le scene d’azione come nei polizieschi americani, colori noir, chiaroscuri, montaggio serrato e spesso alternato, dialoghi diretti, semplificazione delle vicende valorizzando i legami familiari, forte carica emotiva, idea forte dell’uno contro tutti. Soprattutto nella prima parte del film andato in onda su Canale 5, il modello è il seguitissimo Distretto di polizia. Le questioni politiche, il clima del tempo vanno quasi sullo sfondo, e tutto sembra impostato sulla sfida a distanza tra lo statista Dc e le Brigate Rosse che preparavano l’azione, quasi una copia, meno glamour, della banda di Ocean’s Eleven, alle prese con la messa a punto del colpo del secolo. Il racconto risulta comunque avvincente e le due parti in cui è diviso si concludono entrambe, di proposito, con un martirio. La prima con quello dei cinque uomini della scorta (una sequenza volutamente truculenta per mostrare la barbarie), la seconda con quello di Moro che si avvia al patibolo, come Cristo sul Golgota. È la lezione che il film lascia: ci sono stati giorni in cui umili servitori dello Stato, padri di famiglia, sono stati massacrati dalla follia ideologica di ragazzi senza futuro. Non devono tornare mai più.

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