Alcide De Gasperi, una lezione da riscoprire
Nel recente film su Enrico Berlinguer si citano le masse popolari cattoliche, ma poi si fanno vedere in maniera stereotipata solo Andreotti, in solita versione macchiettistica, e Aldo Moro con, sullo sfondo, il quadro di Alcide De Gasperi del quale in questo anno 2024 ricorrono 70 anni dalla morte. Una figura che resta poco conosciuta pur essendo il grande ricostruttore dell’Italia postfascista e uno dei padri riconosciuti dell’Europa unita. E, prima ancora, nella Vienna imperiale da deputato italiano che visse, sul confine conteso, la tragedia della “grande guerra”, il genocidio dell’Europa secondo il papa dell’epoca, Benedetto XV.
Cosa ha impedito finora di conoscere in maniera approfondita la vita e l’opera dello statista trentino che molto ha da dire al nostro tempo? Ne abbiamo parlato con Paolo Pombeni, direttore della prestigiosa rivista Il Mulino, professore emerito dell’Università di Bologna. Autore di testi di riferimento come l’ultimo sulla “Storia della Dc (1943-1993)”, edito da Il Mulino, scritto assieme a Guido Formigoni e Giorgio Vecchio. Tra gli altri libri più recenti si possono ricordare L’Italia e il centrosinistra (1953-1963) (2022), Sinistre. Un secolo di divisioni (2021), La buona politica (2019), tutti editi da Il Mulino.
Il grande statista trentino resta per lo più ignorato nonostante la sua vita esemplare. Più citato a volte che conosciuto davvero. Perché?
De Gasperi è una figura complessa, tormentata e anche drammatica nella sua partecipazione al grande dilemma della transizione storica fra due secoli. Non è facile farla intendere ad un largo pubblico che è poco preparato a ragionare sulle complessità. Confesso che anche io ho impiegato anni di lavoro come storico per comprendere questa figura. In De Gasperi manca, per il grande pubblico, l’aspetto esteriormente drammatico: non è stato un anti asburgico perseguitato, non ha subito oppressioni clamorose sotto il fascismo, non ha partecipato ad azioni eroiche nella Resistenza, non ha espresso una retorica populista nella Ricostruzione. In tutti quei contesti ha agito in profondità ed ha contribuito a porre delle basi per sviluppi futuri di cui si è poi goduto (la mobilitazione del mondo cattolico in una politica costruttiva, la formazione di una repubblica senza giacobinismi, ecc.), ma sono tutte caratteristiche che non rientrano nelle mitologie sull’“eroe”.
Fu molto amara la sconfitta di De Gasperi sulla sua proposta della Comunità europea di difesa (CED) nel 1954. Di che cosa si trattava? Poteva essere la base di un’autonomia europea di tradizione carolingia all’interno dell’Alleanza atlantica imposta dalla guerra fredda e sempre più egemonizzata dagli anglo americani?
La Comunità Europea di Difesa doveva essere lo strumento per far rientrare la Germania Ovest nel sistema europeo in costruzione e per superare l’idea che un giorno o l’altro potesse tornare la guerra fra le grandi nazioni del nostro continente. Sfruttava per questo la minaccia dell’attacco dell’URSS all’Europa. Il progetto fu fatto fallire dal nazionalismo francese che non voleva riammettere la Germania come forza militare nel timore che questo avrebbe fatto rinascere l’aggressività tedesca al potere europeo. La CED non era in contrapposizione con l’Alleanza atlantica, che veniva considerata una struttura politica oltre che militare a tutela dei valori “occidentali” contro l’assalto dell’oriente sovietico. Era un modo di vedere le cose certo tipico della guerra fredda, ma forse oggi potremmo considerare che c’erano anche ragioni che andavano al di là dell’incrostazione ideologica del comunismo sovietico.
Sembra evidente, dal lavoro della Fondazione diretta da Angelino Alfano e dall’elezione diretta di ex Dc all’interno di FdI, il tentativo di fare di De Gasperi il punto di riferimento di un nuovo partito conservatore in Italia. Come si concilia questo progetto con l’affermazione dello stesso segretario della Dc che la definiva un partito di centro che marcia a sinistra?
Come sempre la caratteristica della storia è che rappresenta un passato che può essere interpretato in maniera diversa, sicché è possibile che ispiri progetti anche contrastanti. De Gasperi era figlio del suo tempo, e dunque aveva pensato, sin dalla sua militanza nel partito popolare trentino in età asburgica, che il futuro del costituzionalismo democratico sarebbe stato quello di coniugare il liberalismo dell’organizzazione dei poteri e delle libertà con la spinta alla realizzazione di una giustizia sociale che richiedeva modificazioni nella struttura dei sistemi economici, sociali e culturali. Per questo aveva guardato anche con simpatia al laburismo britannico e nella fase finale della sua esperienza politica si era augurato che si potesse aprire una collaborazione anche col PSI nonostante non la vedesse possibile al momento.
La lezione che tutti, a mio avviso, dovrebbero trarre dalla figura di De Gasperi è che si deve fare politica sia respingendo il giacobinismo che spacca i sistemi politici su linee astratte di purismo, sia piegandosi sulle esigenze della gente che per vivere ha bisogno di condizioni accettabili e possibilmente tali da favorire il miglioramento di ognuno. Se lo si vuol fare con un moderno partito conservatore o con un moderno partito riformatore è questione di opzioni politiche. Per quel che può contare io mi schiero per la seconda, ma la presenza della prima può essere di aiuto.
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