Agnese è morta

Ieri i funerali della moglie di Paolo Borsellino.«Ora finalmente saprà la verità» ha scritto il cognato Salvatore Borsellino. Una donna fiera che non ha perso la fiducia nella giustizia nonostante depistaggi e falsi pentiti. Riportiamo anche la lettera che ha scritto al marito lo scorso anno per il ventennio delle stragi
Muore Agnese Borsellino

«Agnese è morta. È andata a raggiungere Paolo. Adesso saprà la verità sulla sua morte». Questo è il  messaggio “postato” su Facebook dal fratello di Paolo, Salvatore Borsellino. Così, in questo modo, anch’io, come tanti altri, abbiano saputo della morte di Agnese Borsellino.

Agnese che aveva sposato Paolo il 23 dicembre 1968 ed erano nati tre figli, non aveva mai perso la fiducia nella giustizia e nella verità. E ne avrebbe avuto tutti i motivi. I depistaggi e i falsi pentiti hanno raccontato una storia non veritiera che oggi magistrati altrettanto valorosi e competenti, come il suo Paolo, stanno cercando di riscrivere, brano a brano. Non senza difficoltà e non senza critiche. E non senza paure.

Fiera e orgogliosa. In occasione delle udienze per la strage di via d’Amelio aveva riferito le preoccupazione del marito. «Mi disse – raccontava Agnese Borsellino – che c’era un colloquio tra mafia e pezzi infedeli dello Stato». «Paolo mi disse: “Mi ucciderà la mafia ma solo quando altri glielo consentiranno”».

Agnese, a mio avviso, è una lezione di dignità e di impegno civile lontano dalle luci e dal rumore mediatico che talvolta l’essere vittima di mafia costringe a vivere. Una persona per bene alla quale avevano tolto il suo bene più prezioso, ma non per questo aveva mai alzato il tono della voce. Era rimasta ferma e caparbia nella sua ricerca della verità.

«Io e i miei figli – aveva detto l’anno scorso – siamo rimasti quelli che eravamo. E io sono orgogliosa che tutti e tre abbiano percorso le loro strade senza trarre alcun beneficio dal nome pesante del padre. Di questo siamo grati a Paolo. Ci ha lasciato una grande lezione civile. Diceva che chiedere un favore vuol dire diventare debitore di chi te lo concede. Era così rigoroso a attento al senso del dovere che alla fine della giornata si chiedeva: ho meritato oggi lo stipendio dello Stato?».

Mai sopra le righe seppur forte e tranciante nelle sue parole. Come quando all’indomani della strage di via D’Amelio si oppose ai funerali di Stato dicendo tra le lacrime: «Non merita questi uomini». E sicuramente una parte di questo Stato non li merita davvero. È stata lei a raccontare i tormenti del suo Paolo nei 57 giorni che separavano la strage a Falcone con l’eccidio di via D’Amelio.

Lo scorso mese di dicembre, commentando il conflitto di attribuzione sollevato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nei confronti della procura di Palermo che indaga sulla trattativa Stato-mafia, Agnese Borsellino disse in una trasmissione televisiva: «Non ho il titolo né la competenza per commentare conflitti di attribuzioni sorti tra poteri dello Stato, ma sento di avere il diritto, forse anche il dovere di manifestare tutto il mio sdegno per un ex ministro, presidente della Camera e vicepresidente del CSM, che a più riprese nel corso di indagini giudiziarie che pure lo riguardavano, non ha avuto scrupoli nel telefonare alla più alta carica dello Stato, cui oggi io ribadisco tutta la mia stima, per mere beghe personali».

«Non sorprende – ha continuato la Borsellino – che l’attenzione dei media si sia riversata sul Quirinale, ma il protagonista di questa triste storia è solo il signor Mancino, abile  a distrarre l’attenzione dalla sua persona, spregiudicato nel coinvolgere la presidenza della Repubblica in una vicenda giudiziaria, da cui la più alta carica dello Stato doveva essere tenuta estranea. Oggi io, moglie di Paolo Borsellino, mi chiedo: chi era e quale ruolo rivestiva l’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino, quando il pomeriggio del primo luglio del 1992 incontrò mio marito? Perché Paolo rientrato la sera di quello stesso giorno da Roma mi disse che aveva respirato aria di morte?».

Lo scorso anno, in occasione del ventennale della strage di via d’Amelio, Agnese volle scrivere una lettera al marito che mi piace riportare integralmente perché meglio di tante parole spiegano la figura di Agnese ed il suo rapporto con Paolo:

«Caro Paolo, da venti lunghi anni hai lasciato questa terra per raggiungere il Regno dei Cieli, un periodo in cui ho versato lacrime amare; mentre la bocca sorrideva il cuore piangeva, senza capire, stupita, smarrita, cercando di sapere. Mi conforta oggi possedere tre preziosi gioielli: Lucia, Manfredi e Fiammetta; simboli di saggezza, purezza, amore, che posseggono quell’amore che tu hai saputo spargere attorno a te, caro Paolo, diventando immortale. Hai lasciato una bella eredità, oggi raccolta dai ragazzi di tutta Italia; ho idealmente adottato tanti altri figli, uniti nel tuo ricordo dal Nord al Sud – non siamo soli.

«Desidero ricordare: sei stato un padre e un marito meraviglioso, sei stato un fedele, sì, un fedelissimo servitore dello Stato, un modello esemplare di cittadino italiano, resti per noi un grande uomo perché dinnanzi alla morte annunciata hai donato senza proteggerti ed essere protetto il bene più grande, “la vita”, sicuro di redimere con la tua morte chi aveva perduto la dignità di uomo e di scuotere le coscienze. Quanta gente hai convertito!

«Non dimentico: hai chiesto la comunione presso il palazzo di Giustizia la vigilia del lungo viaggio verso l’eternità, viaggio intrapreso con celestiale serenità, portando con te gli occhi intrisi di limpidezza, uno sguardo col sorriso da fanciullo, che noi non dimenticheremo mai.

«In questo ventesimo anniversario ti prego di proteggere ed aiutare tutti i giovani sui quali hai sempre riversato tutte le tue speranze e meritevoli di trovare una degna collocazione nel mondo del lavoro dicevi: “Siete il nostro futuro, dovete utilizzare i talenti che possedete, non arrendetevi di fronte alle difficoltà”. Sento ancora la tua voce con queste espressioni che trasmettono coraggio, gioia di vivere, ottimismo. Hai posseduto la volontà di dare sempre il meglio di te stesso. Con questi ricordi ti diciamo: “Grazie Paolo”».

Una delle ultime parole dette da Agnese ai giovani sono state: «Palermo deve resuscitare». Cara Agnese insieme a tanti giovani di tutta Italia, impegnati nel Cantiere legalità del “Progetto italia”, stiamo lavorando anche per la “resurrezione di Palermo”. Puoi starne certa!

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