Afghanistan, una storia mal raccontata

Afghanistan. Anteprima dalla rivista Città Nuova di Settembre della rubrica curata dal cofondatore dell’Istituto di ricerche internazionali Iriad in merito al ritiro degli Usa e delle forze della Nato da Kabul dopo 20 anni di presenza militare. Approfondimento in vista della diretta delle ore 19 del 20 settembre sulla pagina Facebook di Città Nuova su “Afghanistan, 20 anni di guerra e ora?”
Afghanistan, proteste dei traduttori e interpreti a servizio delle truppe occidentali (AP Photo/Mariam Zuhaib,File)

In questa estate si è consumato l’epilogo di una missione internazionale iniziata e condotta dagli Stati Uniti e dai loro alleati all’indomani degli attentati alle Twin Towers nel 2001 contro le basi di al Qaeda in Afghanistan, e contro il governo talebano che le ospitava.

Trasformatasi rapidamente in una presenza permanente anche con lo scopo di contribuire alla riorganizzazione istituzionale del Paese, la presenza militare è costata solo agli Usa sui 2 mila miliardi di dollari (cifra stimata dal Washington Post), valutando anche i costi relativi agli interventi in Pakistan, retrovia dei talebani. Infatti già l’amministrazione Trump voleva ritirarsi per tali cifre esorbitanti.

Tra le tante considerazioni e le domande da porsi, ve n’è una circa la validità di questa tipologia di missioni, che non sono riuscite a “portare la democrazia con le baionette”, come si usa dire. Non ci si è riusciti in Iraq, in Libia o in Siria, dove continuano le guerre e le violenze. Non sembra che i governi dei Paesi coinvolti abbiano avviato una riflessione seria su questo.

Il governo nazionale afghano e le sue forze armate non sono stati in grado di costituire un’alternativa alla pressione dei talebani, anche perché la corruzione aveva talmente indebolito queste istituzioni che la spallata degli studenti coranici ha portato in breve al loro crollo.

In questi giorni d’estate i principali mass media evidenziano la brutalità dei talebani e il loro non rispetto degli elementari diritti umani, dimenticando però di ricordare che altri Paesi, amici o alleati degli occidentali, non sono molto diversi nei loro comportamenti in relazione ai diritti umani.

Basta pensare all’Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti, al Qatar, all’Egitto, alla Turchia e così via, grandi partner commerciali Usa anche nel settore degli armamenti. Quasi i due terzi delle armi importate in Arabia Saudita tra il 2010 e il 2020 provengono dagli Usa, seguiti da Gran Bretagna, Francia e Spagna.

Nella narrazione semplificata dei principali mass media, i talebani vengono anche accusati di essere narcotrafficanti, dimenticando però che nel 2001 gli ettari dedicati alla coltivazione dell’oppio erano 8 mila, arrivati a ben 224 mila nel 2020, secondo il rapporto dell’Unodc dell’aprile 2021, con un incremento del 37% rispetto all’anno precedente.
Di fronte a questi soli dati ufficiali ci si rende immediatamente conto che la missione internazionale aveva già fallito da molto tempo i suoi scopi e tante notizie non venivano dette.
La fine drammatica della missione con la folla all’aeroporto di Kabul e la questione dei profughi che si riverseranno oltre confine ci impongono di riflettere seriamente sulle conseguenze di azioni militari che sembrano inizialmente la risoluzione di tutti i problemi e che poi, non di rado, li aggravano pure.

Qui il link al Focus di Città Nuova su Il dramma dell’Afghanistan

 

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