In aereo senza computer

Stati Uniti e Gran Bretagna avviano misure selettive nei voli provenienti da alcuni Paesi a maggioranza islamica: niente pc e tablet nella cabina di viaggio, tutto in stiva. Il pericolo di selezioni arbitrarie
Disagi e ritardi anche all'aeroporto di Fiumicino per i passeggeri della Delta Airlines, come conseguenza del blocco nel sistema di computer della compagnia aerea americana, Roma, 8 agosto 2016. ANSA/TELENEWS

 

Ogni giorni abbiamo bisogno sui nostri giornali e sulle nostre tv di qualche notizia che incuta un po’ di paura rispetto al mondo del terrorismo di matrice islamista (non islamica!), cioè di quei gangli tumorali nati nei mondi musulmani (al plurale) che predicano l’ideologia della violenza e del terrorismo contro gli infedeli. Oggi assistiamo al divieto di trasportare oggetti digitali «più grandi di uno smartphone» nei voli provenienti da alcuni Paesi a maggioranza islamica, su suggerimento ovviamente delle “intelligence” Usa, britanniche e chissà di chi altro. Al provvedimento sono per il momento interessate nove compagnie aeree di otto Paesi, comprese Emirates, Qatar e Turkish. Gli aeroporti implicati sono Casablanca, Il Cairo, Gedda, Riad, Amman, Doha, Dubai, Abu Dhabi, Kuwait City e Istanbul. Si tratta in tutto di 50 collegamenti giornalieri. Ovviamente i Paesi interessati hanno quasi tutti protestato vivacemente.

 

Senza considerare le “malelingue” (ma chissà) che vedono la ragione delle misure di sicurezza annunciate non in questioni di sicurezza ma nella concorrenza spietata nei cieli del mondo intero di alcune compagnie del Golfo persico e della Turchia, emerge un delicatissimo problema di diplomazia internazionale, già aperto dalle misure di Donald Trump, peraltro contestate dalla giustizia statunitense, che avevano messo al bando i migranti da sette Paesi a maggioranza musulmana (poi ridotti chissà perché a sei) per la loro nazionalità e la loro fede. Sono in effetti i singoli Stati che prendono misure cautelari rispetto ad altri Stati particolari.

 

Nulla di strano sul fatto in sé; da sempre in materia di visti, ad esempio, i singoli Paesi si regolano in modo difforme. Certo, alcuni raggruppamenti di Stati, come il gruppo di Schengen, adottano (o adottavano, purtroppo) misure comuni, ma nella sostanza il meccanismo non cambia. I guai cominciano allorché i criteri di ammissione nel territorio nazionale o di sicurezza nei voli aerei mutano da Paese a Paese, da regione a regione. Sono tutte misure che limitano la libertà di circolazione che per anni è stata una delle cartine al tornasole della mondializzazione del pianeta. Se la via dei veti incrociati si allargherà (e ciò appare più che probabile, con le misure annunciate di rivalsa da parte dei Paesi entrati nelle liste nere di Usa, Gb e forse Canada), si restringerà parallelamente la possibilità di considerarci un unico pianeta. E prima o poi ci capiterà di essere respinti al check in per mancanza di visto.

 

Poco male, mi direte. Sì, è forse vero, ma tutto ciò non fa che acuire i contrasti, dar la stura ai populismi, creare tensioni e demonizzare il diverso-da-sé. Il che non è una bella prospettiva.

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