Adozioni internazionali, come ridurre tempi e costi?

Se n'è discusso a Roma, nel corso di un convegno in cui è stato sottolineato come le famiglie italiane contribuiscano in maniera importante alla tutela dei diritti dei minori e all'integrazione sociale dei piccoli adottati
Bambino con pallone

Una coppia collaudata e che funziona, magari da diversi anni, eppure sente che manca qualcosa. Non c'è un figlio, il desiderio di genitorialità tanto voluto e cercato che non si concretizza, e da qui la decisione di allargare la famiglia attraverso l'adozione, in particolare quella internazionale. Un percorso lungo che richiede molta pazienza per i diversi controlli a cui la coppia deve sottoporsi, oltre alla burocrazia, ai viaggi e alle visite negli istituti dove sono ospitati i minori, per arrivare finalmente ad aprire le porte di casa al proprio figlio.

Questo “viaggio” nel voler essere essere padri e madri, a volte anche una seconda volta, quando cioè si hanno già dei figli propri, comporta spesso delle difficoltà, per mancanza di conoscenza da parte delle coppie delle procedure e di tutti gli organismi coinvolti, ma anche anche dei fondi economici di supporto alle future famiglie, soprattutto nel delicato momento del post adozione, in particolare quando i bambini sono di un'altra nazionalità.

Sul tema delle adozioni internazionali la rivista Iter Legis, su proposta del suo direttore Massimo Maria De Meo, ha voluto aprire un confronto e dibattito mettendo attorno a un tavolo i rappresentanti delle istituzioni della Regione Lazio e del Governo: Rita Visini, assessore regionale alle Politiche sociali, Daniela Bianchi, consigliere regionale, e Silvia Della Monica, presidente della Commissione per le adozioni internazionali (CAI) della Presidenza del Consiglio dei ministri.

«Sono poche le regioni che hanno fatto interventi specifici in questo ambito – spiega De Meo -, la maggior parte, come prevede la legge nazionale, coordina i servizi territoriali composti dagli assistenti sociali e dagli psicologi. Anche la Regione Lazio ha lavorato molto bene negli anni passati, ora si tratta di fare un nuovo passo in avanti, coordinando attraverso accordi con il Tribunale dei minori, con i gruppi integrati di lavoro delle adozioni, con gli enti autorizzati come enti e associazioni onlus che operano in questo campo con due obiettivi: ridurre i tempi e le procedure e ridurre i costi. Vogliamo che siano degli interventi diretti e indiretti – aggiunge il direttore di Inter Legis -, aiuti per le famiglie che si fanno carico di questo impegno sociale per  l'inserimento dei loro bambini nelle scuole, nel settore sanitario e nell'assistenza psicologica del post adozione. Su questo, i consiglieri regionali stanno iniziando a fare proposte di legge e noi come rivista le supporteremo in una grande campagna di comunicazione e sensibilizzazione».

Una proposta di legge, fortemente voluta dalla consigliera Daniela Bianchi che mira alla realizzazione di alcuni punti: l'istituzione di un servizio pubblico regionale per le adozioni al cui interno ci sia uno sportello informativo permanente regionale sull'adozione, l'attivazione di iniziative di supporto per i genitori adottivi nell'inserimento scolastico, educativo e sociale del bambino, l'adozione attraverso specifici uffici regionali di linee guida per il sostegno delle adozioni, aiuti economici alle famiglie, coordinamento di gruppi e l'organizzazione dei Gruppi integrati di lavoro adozioni (G.I.L.A.), la promozione di formazione e informazione, la qualificazione degli operatori e infine la costruzione di una rete di collaborazione con organismi interregionali e internazionali. «L'intento di questa proposta di legge è mettere a rete i diversi enti che a vario titolo si occupano di adozione – spiega Daniela Bianchi -. Quello che vogliamo dare è un presidio costante sulle informazioni e l'iter che famiglie devono seguire e favorirle, dove possibile, finanziariamente nelle adozioni internazionali».

Una proposta su cui però la presidente della Cai, Silvia della Monica ha posto dei dubbi, mettendo dei paletti dati da leggi nazionali, direttive comunitarie e accordi internazionali che non possono essere ignorate e alle quali non ci si può sostituire. Diversi i no su cui si è soffermata Della Monica, a cominciare ad esempio dall'avvertenza di rispettare e avere attenzione ai vincoli internazionali, al riconoscimento del ruolo e delle competenze della Cai. A questo ha aggiunto il suo no, in quanto rappresentante di un organismo governativo, alle Regioni che trattano a livello internazionale il tema delle adozioni, no al conflitto di competenze tra commissioni e regioni e alle deleghe di competenze specifiche che non possono essere date ad altri.

Passate quindi in rassegna le leggi che, come ha sottolineato la stessa presidente Della Monica, hanno scongiurato il far west delle adozioni, ribadito quali devono essere i punti principali in tema di adozioni internazionali, ovvero il rispetto dei diritti umani come cardine del lavoro che si deve svolgere, in considerazione del fatto che si ha a che fare con esseri umani, in particolare bambini, e soprattutto tener presente che «il diritto da tutelare è quello del bambino ad avere una famiglia – sottolinea Della Monica -, e non viceversa il diritto della coppia ad avere un figlio».

«Oggi ci sono moltissime famiglie che scelgono le adozioni internazionali anche se hanno dei loro figli biologici – spiega la presidente della CAI -, con la consapevolezza di poter adottare anche bambini più grandi, dei fratelli e anche bimbi con problemi di salute. Le famiglie italiane sono una grandissima ricchezza, per questo non possiamo permetterci di disperderla e credo che le adozioni internazionali siano un grande passo per la tutela dei diritti umani dei minori e per l'integrazione in generale. Ritengo che sia necessaria una buona qualità dei servizi sul territorio – conclude il presidente della CAI – che devono avere una sorta di know-how omogeneo, con pratiche che non mettano in difficoltà chi si avvicina alle adozioni internazionali, anzi che sappiano indirizzare e valutare, e che favoriscano una procedura finalizzata a dare un futuro a un bambino».

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