Adesso bisogna reagire

Dopo l'incendio che ha semidistrutto lo "science centre" di Napoli tristezza e sconforto sono i sentimenti dominanti tra i cittadini e i lavoratori. Ma la parola d'ordine è: ricominciare
Città della scienza in fiamme

«Ho assistito all'incendio di Città della scienza dalla finestra della mia casa. Un rogo strano, visto che la struttura bruciava tutta nello stesso momento, come se non si fosse sprigionato da un unico punto. E mentre vedevo la colonna di fumo nero che si alzava dallo scheletro annerito della struttura, completamente in fiamme, mi sembrava di assistere alla fine di un sogno. Ma la rassegnazione non serve. Bisogna reagire». Fabio Di Nunno abita a Bagnoli. Ha 32 anni ed è uno dei più giovani consiglieri municipali della città.

Città della scienza, il gioiellino tecnologico napoletano visitato ogni anno da circa 350 mila persone, lo conosceva bene: il museo della scienza dove si effettuavano le visite didattiche delle scolaresche, le sale dove si presentavano libri, si organizzavano convegni. Ora è finito tutto in fumo. «Questa mattina ho visitato le aree dove si è sviluppato l'incendio, alimentato dal cartone e dal materiale plastico e – afferma – purtroppo sono rimaste solo le macerie di quello che era il seme di un progetto di sviluppo per il quartiere che significava cultura e sostenibilità».

Siamo in via Coroglio, vicino all'area dell'ex Italsider, che da anni aspetta una bonifica completa ed adeguata. «Per il quartiere – aggiunge Di Nunno – questo incendio è un duro colpo: va in fumo un'occasione di sviluppo e verranno cancellati tanti posti di lavoro. Anche l'indotto ne risentirà, senza le scolaresche e i partecipanti ai convegni. Il sentimento prevalente è la tristezza, tra la gente c'è ancora grande incredulità, sconforto, ma non dobbiamo lasciare spazio alla rassegnazione».

Dello stesso avviso anche Bruno Cantamessa, presidente dell'associazione culturale Kolibrì. «Al di là delle polemiche che in passato ci sono state, Città della scienza era un presidio di civiltà, un luogo dove i ragazzi potevano incontrare non solo la scienza, ma proprio la conoscenza in modo simpatico, divertente, bello. Era diventato un posto di costruzione di cultura per i ragazzi e questo incendio per me è un dolore tremendo: in una città in cui i presìdi di civiltà sono così scarsi, un evento del genere è duro da accettare».

Gettando uno sguardo complessivo su Napoli, Cantamessa afferma che «la situazione è drammatica da diversi anni. Non ci sono fondi non solo per fare cultura, ma nemmeno per pagare cose fatte in passato e chi lavora in questo campo non sa che pesci prendere». C'è però un fenomeno interessante da non sottovalutare: «Un arcipelago di associazioni, di volontariato e di cooperative che fanno un mucchio di iniziative necessariamente piccole, ma che nascono dalla gente, dalla passione e dalla voglia di non arrendersi».

L'esperienza della mancanza di fondi Cantamessa, insieme alla giornalista Donatella Trotta con cui collabora, l'ha fatta in prima persona, accettando di realizzare un programma per bambini – PanKids -mettendosi in rete con altre associazioni, su invito dell’assessore Antonella Di Nocera (soldi zero, tenacia e passione mille). «Un giorno, forse – afferma Cantamessa – per quello che facciamo negli spazi del Pan qualcuno ci darà tre soldi, ma noi lo facciamo lo stesso. L'elemento positivo è costituito dalla disponibilità della gente: la debacle delle istituzioni ha risvegliato la voglia di fare, anche senza mezzi».

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