Adamo ed Eva

La prima coppia della Storia. Della Bibbia e di tutti i tempi. Nel libro Quando fioriscono i melograni (Città Nuova, 2014), con freschezza e poesia, Genisio ci racconta la prima storia d’amore ambientata nel Paradiso terrestre
Quando fioriscono i melograni_Città Nuova

Il primo amore non si scorda mai. E il loro amore, assolutamente il primo, ce lo portiamo dentro, impresso nelle cellule del cervello, nel midollo. Non l’abbiamo mai scordato, l’amore di Adamo ed Eva, e mai lo scorderemo. Risbuca fuori, come un dejà-vu, con un fremito lungo le braccia e la schiena, con un sussulto del cuore, ogni volta che un uomo s’accorge, con sorpresa, d’aver trovato la sua donna, o una donna il suo uomo.

[…]

Adamo se ne stava in Eden, nome geografico che sfugge a ogni localizzazione. Lì l’aveva posto Dio, in un giardino lussureggiante che molto molto tempo dopo fu chiamato paradiso terrestre. Perché paradiso significa ap­punto giardino. E adam, che vuol dire “fatto di terra”, “terroso”, era stato creato con l’argilla di quel giardino. Perciò si sentiva quanto mai parte di quel terreno. In ef­fetti si sentiva a suo agio in quel posto, tutto era bello lì, attorno a lui. Però gli mancava qualcosa. Non trovava go­dimento in tutta quell’esuberanza di vita che gli sobbalza­va attorno. Dio capì cosa mancava ad adam, ma probabilmente tardò a darglielo perché l’apprezzasse di più. Volle creare un po’ di suspense. Quando adam s’addormentò, gli prese una costola e con essa formò la donna. L’adam si svegliò. E la vide, poco distante da lui, seduta tranquil­lamente sul manto erboso: gli voltava le spalle coperte dai lunghi capelli neri; stava con la fronte alzata, gli occhi chiusi a godersi il sole del mattino, consapevole della sua bellezza. Sembrava che neanche l’avesse notato. «È lei!», gridò imperiosa una voce dentro il cuore di adam.

Questa è «carne dalla mia carne e osso dalle mie os­sa», raccontò poi ai nipoti, molti anni dopo, d’aver detto in quel momento. La frase, che restò celebre, non era af­fatto banale. Non la pronunciò, adam, solo perché prima non aveva visto che pappagalli, cerbiatti, leoni e giraf­fe, e neppure una fanciulla. È la frase che ogni uomo e donna dice quando sa d’aver trovato la persona fatta per lei, per lui. L’adam vide che la donna era bellissima. E in effetti ogni uomo, quando trova la sua donna la vede bel­lissima. Ma la prima donna era davvero bellissima, come mai nessuna donna è stata e nessuna top model mai sarà, perché era stata formata direttamente dalle mani di Dio. Era nuda, la donna, ma adam non s’accorse che lo fosse; era nudo anche lui, e neppure di questo si rendeva conto. Gli rivolse la parola? Si dimostrò timido oppure spaval­do? O fu lei a prendere l’iniziativa? Dopo quanto tempo si baciarono? Dopo un po’ Dio li trovò a passeggiare nel giardino di Eden, mano nella mano e con un gran sorriso stampato sui volti. Fu soddisfatto di se stesso Dio, s’ac­corse che aveva fatto una cosa molto buona. Allora, come un buon padre, li chiamò a sé «li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra”».

L’adam e la sua donna sentivano un fermento den­tro, non sapevano ancora che quello voleva dire essere innamorati, ma il loro viso era pieno di luce, si sentivano contenti come gazzelle che corrono nei prati, e veniva lo­ro voglia di ballare e cantare. Di colpo adam s’accorse che pappagalli, cerbiatti, leoni e giraffe, tutto quel ben di Dio che si muoveva intorno e che prima lo lasciava indif­ferente, e anche le piante e i fiori di quel giardino, erano proprio meravigliosi. E si lanciò in un gioco che lo appas­sionò.

Lei lo guardava ammirata e divertita, orgogliosa del suo uomo che dava i nomi a tutti gli esseri del giardi­no: sembrava proprio il re della creazione. Non ci misero molto a scoprire cosa intendeva Dio per “moltiplicatevi”. Fu per loro una cosa molto piacevole, conoscersi una sola carne. E furono ancor più grati a Dio. Poco dopo, capitò il “fattaccio” dell’albero della conoscenza e del serpen­te. Quest’ultimo, fino a che l’adam era solo, s’era mosso tranquillamente per il giardino come ogni altro essere creato e non vedeva problemi imminenti, ma quando s’accorse del legame che si stava instaurando fra i due, fra adam e la donna, comprese al volo il pericolo (per lui) di quella relazione a cui Dio ha affidato lo sviluppo del mondo. Capì che doveva rovinare subito quell’unità che si stava formando o per lui sarebbero stati guai seri. Agì tempestivamente, e perfidamente. La faccenda del frutto e tutto quello che ne seguì, insomma. Storia ben nota. S’accorsero, l’adam e la sua donna, a loro spese, che Dio aveva dato loro come corredo di nozze la libertà e che questa comportava che ci fosse il male. C’erano cascati come due pere cotte, al primo colpo. Probabilmente era inevitabile: la spinta ad assomigliare a Dio era molto for­te, l’aveva deposta egli stesso nei loro cuori. Per questo le parole del serpente «diventerete come Dio» risuonava­no così prepotentemente dentro di loro. Però l’avevano combinata grossa, avevano trasgredito l’unico comando che aveva dato loro. Avevano voluto essere come lui, fa­cendo a meno di Lui.

Prima di scacciarli da Eden Dio li rimproverò aspra­mente: gli annunciò fatica e dolori. Loro stavano col capo chino, gli occhi a terra, mortificati. Ma a quel punto adam, con un’impennata d’orgoglio che spiazzò Dio stesso e sor­prese la donna, disse alzando fieramente il capo: «Chia­merò la mia donna Hawwah, madre della vita. D’ora in poi a generare la vita ci penseremo noi!» (in ebraico hajah, da cui viene Hawwah, significa “vivere”). Dio ci rimase di stucco, ma sotto sotto si sentiva orgoglioso della sua crea­tura che si prendeva in mano il destino suo e della donna, tanto che proferì: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi». Anche la donna era orgogliosa del suo uomo, e quel nome, Hawwah, Eva, le piacque subito. Ma la punizione ormai era scattata, inevitabile. Anche Eva si fece spavalda. Dopo il trambusto del fattaccio, dopo le urla di Dio, con l’imminente cacciata da Eden, la donna cominciò a sentir­si a disagio… non le andava più di essere nuda. Voleva un vestito. Adam la guardò stupito, non capiva che cosa in­tendesse. Ma Dio, che ben sapeva, le confezionò un abito di pelle, e uno anche per adam.

Uscirono così da Eden, e Dio chiuse l’uscio del giardi­no mettendo un fido cherubino alla porta. Mentre usciva­no, adam ed Eva sentirono Dio sussurrare: «Arrivederci!». Tirarono un sospiro di sollievo: quell’impercettibile arrive­derci significava che prima o poi le porte di Eden si sareb­bero riaperte. Si costruirono una capanna. L’adam si mise a lavorare per portare a casa un po’ di cibo. Eva s’accorse che il suo ventre diventava più rotondo, come se dentro si muovesse qualcosa. Capì di essere incinta. Lo disse al suo uomo. Entrambi furono presi da una forte emozione e compresero allora il significato di Hawwah, madre della vita. Oramai avevano i loro nomi propri, erano diventati Adamo ed Eva, anche lui si faceva chiamare con la ma­iuscola. Ma spesso nell’intimità continuavano a chiamarsi come all’inizio, quando s’erano visti per la prima volta e conosciuti: ish e ishà. Che nella nostra lingua suonerebbe come uomo e uoma. In ogni secolo, in ogni luogo della ter­ra, quando un uomo e una donna scoprono d’essere fatti l’uno per l’altra e si amano, s’accorgono d’essere uomo e uoma, uno osso dell’altra, due facce della stessa medaglia, ish e ishà. Adamo ed Eva.

Michele Genisio, Quando fioriscono i melograni, l'amore ai tempi della Bibbia (Città Nuova, 2014)

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