Accendere una fiamma dopo l’altra

Accendere il fuoco della comprensione reciproca.
Un indù

Capita a tutti di trovarsi in contesti in cui sembra difficile pensare che possa arrivare lo spirito di Dio e, soprattutto, che vi si possa diffondere. Il più delle volte, tutto appare piatto, sembra che tutti pensino a sé stessi e ai fatti loro, pure quando non si avvertono opposizioni, c’è un clima di scontro nel quale è difficile portare un senso di conciliazione, di pace e di presenza divina.
Qualche anno fa alcuni amici indù gandhiani mi avevano invitato a un incontro dove, unico straniero, mi avevano chiesto di presentarmi e di parlare della mia esperienza di dialogo con persone di altre fedi. La maggioranza dei presenti era indù, c’era qualche musulmano e un sacerdote cattolico.
Finito il mio intervento, si alzò un uomo sulla quarantina che iniziò una terribile filippica contro le scuole cristiane, sostenendo che obbligano studenti di diverse religioni a studiare il cristianesimo e imparare le nostre preghiere. Sua figlia ne aveva fatto l’esperienza e stava perdendo la sua identità indù. Il tono della voce era tutt’altro che conciliante e l’intervento creò un grande imbarazzo nei presenti. Il mio essere straniero non aiutava certo la situazione. Il cristianesimo in India e in Asia è spesso tacciato di essere una religione che si dedica al proselitismo. Giovanni Paolo II, pochi anni prima, aveva chiesto perdono a vari popoli. Il suo infilare la lista delle colpe nelle fessure del Muro del Pianto era una scena che aveva sciolto i dubbi di molti scettici.
Presi coraggio e chiesi perdono al mio interlocutore dal nome quasi impronunciabile: mr. Srinivasan. Lo feci come  rappresentante di quel mondo cristiano che aveva ferito quella famiglia. Immediatamente, uno dei gandhiani che mi aveva invitato, un signore sulla settantina, prese la parola. Rimasi incredulo, quando, rivolgendosi al padre della ragazza, gli chiese: «Quanti di noi indù hanno il coraggio di curare lebbrosi e ammalati di Aids? Lo fanno i cristiani!». Quel piccolo atto di umiltà da parte mia aveva acceso un fuoco inatteso in altri cuori. Ma c’è dell’altro. Quella piccola fiamma ne avrebbe accese molte altre.
Un anno dopo, mi trovavo nuovamente nella stessa zona per un convegno. Vidi arrivare mr. Srinivasan. Ci salutammo calorosamente, meravigliati di ricordarci esattamente i nostri nomi. Scoprimmo che entrambi da un anno parlavamo l’uno dell’altro ai rispettivi familiari e amici. «Il mondo sarebbe diverso se tutti gli indù fossero come mr. Srinivasan», dicevo io, o «se tutti i cristiani fossero come il sig. Catalano», diceva lui. Il fuoco della comprensione reciproca si era diffuso.

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