Abbiamo creduto all’amore

Incontro Giusi Bigoni quasi tutti i giorni. Ha sempre un aspetto curato e giovanile e trova anche il tempo per prestare la sua collaborazione in un laboratorio di Loppiano, nei cui pressi abita ormai da circa quarant’anni. È già nonna di quattro bimbi, ma proprio non lo si direbbe se le fotografie che ci mostra non lo evidenziassero incontestabilmente! A Loppiano era giunta nel ’67, appena sposata: lei 21 anni e Luigi 24. Giovani pionieri della nascente cittadella, provenivano, come altre famiglie dell’epoca, dalla provincia di Bergamo. Dato che Luigi era un muratore molto valido, per contribuire all’edificazione della cittadella si erano trasferiti ad Incisa in Valdarno, condividendo la casa con la famiglia del fratello, lui pure muratore. La sobrietà della loro vita e la buona volontà di affrontare le difficoltà con un aiuto reciproco costante, teso a superare i piccoli immancabili disguidi di una pur provvisoria sistemazione, li aveva fatti maturare, guadagnandosi la stima di chi incominciava a conoscerli. Giusi, si intuisce però che non deve essere stato né facile né scontato questo inizio di una nuova vita a due… È stato un po’ duro in un primo momento essere lontani dal nostro paese, dai parenti, senza una casa propria. Devo ammettere tuttavia che con Luigi, tipo di poche parole ma di fatti concreti, ci volevamo molto bene e di quegli anni non ho che bei ricordi. Se succedeva qualche piccolo disaccordo, prima di uscire di casa per recarsi al lavoro lui voleva che si fossero riconciliati. Anche più tardi, con i nostri quattro figli – prosegue Giusi -, aveva sempre tempo e pazienza. Quando siamo riusciti ad avere un’abitazione nostra, un piccolo casolare sottostante la Pieve di San Vito, lo curava in modo particolare apportando tanti piccoli restauri, ma non trascurava la famiglia e spesso, nonostante tornasse molto stanco dal suo duro lavoro, si sedeva a tavola coi bambini, a giocare a carte con loro. Dietro un aspetto che poteva sembrare un po’ rustico nascondeva infatti un cuore d’oro, fatto di grande amore al bene, di semplicità e di lealtà con tutti. In cantiere poi sembrava infaticabile; ci metteva tutta la passione guadagnandosi il rispetto e la stima di quanti lo hanno avvicinato in quegli anni. Poi, circa tredici anni fa, è arrivata nella famiglia la grande prova… Sì – continua il racconto di Giusi -, è stata veramente una cosa inaspettata. In casa tutta sembrava andare per il meglio. Luigi era spesso richiesto per la sua competenza da varie ditte e niente faceva supporre quanto, di lì a poco, sarebbe accaduto. In segui- to ad alcuni disturbi che non consideravamo di troppo rilievo, Luigi, che allora aveva 49 anni, ha subìto una visita medica specializzata che ha subito evidenziato la presenza di un tumore ai polmoni in fase avanzata, con metastasi al cervello. Previsione di sopravvivenza: qualche mese. Ti lascio immaginare quello che abbiamo provato, sia lui che io: è stato come se si abbattesse su di noi una folgore! Mio figlio maggiore aveva allora 24 anni; le altre tre sorelle 22, 19 e la più piccola solo 9 anni! Oltre al dolore personale ci chiedevamo come fare per dirlo loro… Il giorno stesso nel quale abbiamo avuto questa notizia – prosegue -, arrivando a casa ho trovato sul tavolo Città nuova che portava un articolo di Chiara Lubich intitolato: Noi abbiamo creduto all’amore. L’ho voluto subito leggere e sentivo che quelle parole entravano in me come un balsamo soprannaturale. Da quel momento credere all’amore di Dio è stata la mia forza, quella che mi ha dato la capacità di comunicare pian piano la notizia ai miei figli riuscendo a coinvolgerli in questa visione di fede. Inoltre ciò che mi ha stupito è stato anche l’equilibrio, direi soprannaturale, con il quale Luigi ha affrontato il tutto. Non era il tipo tendenzialmente troppo spirituale, eppure posso dire che con l’arrivo di questa grossa prova sono come sbocciate in lui delle disposizioni, degli atteggiamenti profondamente cristiani che fino ad allora non mi si erano ancora resi così manifesti. L’anno prima, in occasione del loro 25° di matrimonio, avevano intrapreso un viaggio a Lourdes, durante il quale avevano avvertito un’insolita profondità tra loro, quasi una preparazione. Mi rendo conto ora – è ancora Giusi – che sono stati mesi straordinari. Pur essendo consci fin dall’inizio della gravità del male sembrava che Dio, nel suo amore, ci dosasse il dolore giorno per giorno. Affioravano in Luigi sentimenti ed intuizioni prima quasi insospettati, insieme ad una più attenta sensibilità ai valori dello spirito. Non ti nascondo che ci sono stati anche momenti molto duri, durante i quali ogni luce si affievoliva e Luigi mi ha confidato che qualche volta si augurava che tutto si concludesse al più presto. Si piangeva anche, nascondendoci a vicenda le lacrime, ma in fondo all’anima riaffioravano ogni volta le parole dette da Gesù sulla croce, dopo il suo grido: Padre, nelle tue mani affido il mio spirito . Ricordi di Luigi qualcosa di particolare? . Prima della fase finale – mi risponde – ha voluto andare a Bergamo a salutare per l’ultima volta i suoi familiari, e soprattutto per riconciliarsi con una persona con la quale alcuni anni addietro aveva avuto una discussione. Nel vederlo così sereno i parenti pensavano che non fosse pienamente cosciente del suo stato di salute, ma non era vero ed io lo sapevo bene. Poi le cose sono precipitate: la sera del primo maggio ha ripetuto a quanti andavano a visitarlo il suo desiderio che la presenza di Gesù fosse sempre viva fra tutti. Luigi non era il tipo che normalmente usava simili espressioni; eppure quella sera ha ripetuto ciò per ben tre volte…. Ora campeggiano sulla tomba di Luigi nel piccolo camposanto di Loppiano le parole che hanno guidato la famiglia Bigoni: E noi abbiamo creduto all’amore.

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