A sud-est del mondo la bellezza

Attraverso l'obiettivo di Steve McCurry, un percorso dove volti, colori, paesaggi e luci segnano l'identità di Paesi come l'Afghanistan, l'India, il Tibet, la Birmania.
Mostre

Scriveva Roland Barthes nel celebre trattato sulla fotografia La camera chiara: «Ciò che mi sta a cuore non è la “vita” della foto (nozione puramente ideologica), ma la certezza che il corpo fotografato mi tocca con i suoi propri raggi, e non con una luce aggiunta successivamente». E allora: chi non è stato toccato dagli occhi verdi e penetranti della ragazzina afghana apparsa nella copertina del National Geographic nel 1985, e diventata uno dei ritratti più famosi al mondo?

L’ipnotizzante sguardo dell’enigmatica Monna Lisa di nome Sharbat Gula all’epoca in cui Steve McCurry la immortalò fece conoscere il dramma dei profughi centroasiatici. Oggi è una donna di 37 anni. Nel 2002 McCurry è riuscita a rintracciarla e a fotografarla nello stesso atteggiamento. Consegnandoci un’altra icona del nuovo secolo. Ma anche gli altri sguardi, occhi, gesti, altrettanto incisivi catturati dall’obiettivo di McCurry ci parlano. E ci dicono bellezza, dignità, sofferenza, speranza. Vita. Come lo sguardo nero di un minatore afghano, il candore della posa di due suore a Lourdes, la serenità di un giovane tibetano.

«Osservare un viso è come guardare dentro un pozzo – dice il fotografo –. Sul fondo si compone un riflesso, ed è l’anima che si lascia intravedere».

Il senso più profondo dell’opera artistica di Steve McCurry è l’uguaglianza della condizione umana. Al di là delle epoche. Del tempo e dello spazio. E dei diversi luoghi nei quali egli è stato. È questo il filo rosso che lega fra di loro le straordinarie immagini di uno dei maestri del fotogiornalismo che da quarant’anni (di cui oltre venti per l’agenzia Magnum) gira il mondo, arricchendoci con la sua testimonianza che evoca l’ampio mosaico dell’esperienza umana. Fatta di scambio, incontro, relazione. Che arriva a unire «la sorpresa dell’essere estraneo alla gioia della familiarità».

Attraverso un viaggio reale e uno simbolico possiamo cogliere negli scatti profondi, drammatici, ma anche liberatori e intrisi di sorrisi e silenzi, lo specchio dell’anima sia di un’infanzia rubata, sia di quella poetica tragicità che ha accompagnato la storia dei popoli che vivono a Sud-Est. Un invito a riflettere sull’altro, sul senso di appartenenza, identità e accoglienza fra le culture e le civiltà.

 

In sei sezioni dai titoli significativi della sua poetica – “L’altro”, “Il silenzio e il viaggio”, “Guerra”, “Gioia”, “Infanzia”, “La bellezza” –, McCurry ci offre un’interpretazione della realtà che penetra la realtà stessa. Ci accompagna dentro scenari geografici e umani che paiono alludere a un pensiero nomade, sia per le suggestioni di alcune ambientazioni, sia per le attitudini dei suoi ritratti, della forza dei colori, del respiro universale contro l’omologazione. Fino a farci entrare dentro le tragedie del nostro tempo, scoprendovi che esse possono contenere un frammento di bellezza, una speranza di salvezza.

 

Steve McCurry. Sud-Est. Milano, Palazzo della Ragione, fino al 31/01/10.

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