Nairobi, Kenya – 10/12 novembre 2025. Atto conclusivo del Convegno internazionale “Cities, Communities, Care. Youth in Action for Sustaining Peace” è stata l’approvazione, nell’auditorium della Mariapoli Piero che ha ospitato i lavori, del “Charter of Commitments Nairobi 2025”. Il testo contiene non solo una serie di incisivi appelli, ma dichiara anche i corrispondenti impegni che i giovani africani e di tutto il mondo presenti alla conferenza o collegati online hanno preso con un articolato percorso partecipativo che ha composto le loro riflessioni e interazioni.
Promosso da New Humanity, ONG del Movimento dei Focolari, in occasione degli 80 anni dell’ONU, l’iniziativa ha richiesto più di un anno di riflessione e di preparazione operativa, accettando la sfida di mettere a fuoco i complessi ecosistemi delle città contemporanee, in cui si concentrano le maggiori sfide di oggi davanti al pressante orizzonte della pace. Il quadro che ne è venuto sono 8 tavole rotonde, più di 30 relatori, 8 collegamenti – live e video-registrati – con città nei 5 continenti. Privilegiando il dialogo con i giovani, attraverso testimonianze e approfondimenti si è discusso di crescita urbana e di co-governance, di sviluppo e di cura dell’ambiente, della costruzione della pace tutelata oggi dal sistema delle Nazioni Unite.

Numerosi gli enti che hanno aderito all’iniziativa, da Greening Africa Together a Living Peace International, dall’Africa Interfaith Youth Network all’International Sociological Association (Gruppo tematico Solidarietà e Amore sociale), da Laudato Sì’ Movement Africa al Centro Universitario ASCES di Caruarù in Brasile. «Agire in sinergia è stato uno degli aspetti più interessanti del nostro lavoro e l’esperimento ci pare riuscito», così Catalina Hinojosa, giovane ecuadoregna vice-presidente di New Humanity.
In una fase in cui, in tanti luoghi della decisione politica il nazionalismo non è solo una strategia e diventa una visione del mondo, non era scontato che l’intento potesse raggiungere l’obiettivo. Come tematizzare, ad esempio, l’80° anniversario ONU? L’assemblea ha confermato l’ancoraggio al diritto internazionale e ha chiesto allo stesso tempo una architettura istituzionale adeguata alla domanda di pace dei popoli, radicata su una visione dell’umanità e del pianeta che deve precedere interessi e posizioni particolari, scegliendo il multilateralismo dal basso, la corresponsabilità delle istituzioni continentali, il dialogo a tutti i costi.
Nelle sessioni come nei gruppi di lavoro sono stati i giovani a mettersi sulle spalle il ruolo di agenti di cambiamento e di “influencer di pace”. Hanno chiesto di integrare i modelli urbani con i valori di una socialità autenticamente comunitaria che, ad esempio, in Africa si rispecchia nella vita dei villaggi africani. Hanno immaginato programmi comunitari, educativi, sociali e artistici, azioni di imprenditorialità giovanile. Hanno chiesto soprattutto di poter guidare la trasformazione verso un pianeta sostenibile, riconciliato, sorretto da reti senza confini. Una visione che può diventare realtà «creando meccanismi permanenti di collaborazione ‒ locale e internazionale ‒ garantendo che i giovani siano coinvolti nei processi decisionali».
Il convegno è stato aperto dai videomessaggi di Felipe Paullier, assistente del segretario generale ONU per i giovani, e di Margaret Karram, presidente del Movimento dei Focolari. Paullier, dopo aver ricordato che Nairobi è una delle 3 principali sedi delle Nazioni Unite, ha affermato che «ogni guerra è una sconfitta per l’umanità, un fallimento del dialogo e della compassione. I giovani non sono solo vittime delle crisi di oggi: sono creatori, leader e costruttori di pace». E sono più di 2 miliardi i giovani «pronti a essere partner alla pari nella costruzione del nostro futuro comune». Un messaggio chiaro per tutti: affidandosi a una generazione che «resiste all’odio, rifiuta l’indifferenza e sceglie la pace come responsabilità quotidiana», è possibile rafforzare le città e le comunità, perché è «nei quartieri, nelle scuole, nei luoghi di culto e nelle comunità locali che la cooperazione diventa tangibile».
Per sottolineare l’urgente cambio di passo chiesto dal convegno, Margaret Karram ha voluto ricordare l’iniziativa, ormai decennale, di formazione ad una leadership di comunione che è stata avviata dall’Istituto Universitario Sophia e dal Movimento Politico per l’Unità con il programma “Together for a New Africa”. Il percorso, nel suo ultimo ciclo triennale, ha impegnato 140 giovani di 14 Paesi africani, accanto a tutor e docenti, che nei giorni che hanno preceduto il convegno hanno tenuto la loro Summer School annuale in modalità ibrida, per raccogliere e discutere gli esiti delle loro azioni locali. Altro programma ricordato da Karram è “One Humanity, One Planet: Synodal Leadership”, che raccoglie da un anno 150 giovani di 60 Paesi del mondo, attivi in ambito politico e nella società civile. Giovani «che si formano e lavorano per attuare buone politiche e generare impatto sociale, con una visione di solidarietà ispirata alla cultura dell’unità».
Si tratta di prospettive che definiscono l’impegno dell’intero Movimento dei Focolari, già «culminato nel documento Together To Care, consegnato all’ONU un anno fa ‒ ha spiegato la presidente – facendo tesoro di iniziative come Living Peace, che coinvolge oltre 2 milioni di ragazzi nel mondo» e che, insieme ad «AMU con quasi 900 progetti di cooperazione, testimoniano un impegno concreto e diffuso». In questo quadro, ha apprezzato lo sforzo di «disegnare un percorso comune con cui ridefinire la vita urbana, valorizzando e fortificando i legami sociali» e ha aggiunto: «Quanto hanno da dirci le culture africane su questo importante aspetto».
Incisivo il suo invito a riscoprire al cuore delle città «comunità di solidarietà e di riconciliazione», «non percepibili all’occhio umano»: «“Città invisibili” che nel loro piccolo, giorno dopo giorno, contribuiscono a costruire una rete mondiale di pace e che mostrano che un altro mondo è possibile». Cardinale, infine, l’idea di reciprocità come chiave del cambiamento, che Chiara Lubich aveva richiamato già nel 1997 nel contesto di un seminario presso il Palazzo di Vetro dell’ONU a New York: «La reciprocità – così ha concluso ‒ è un traguardo che può avvicinarci, farci crescere, che può diventare realtà quando facciamo il primo passo verso l’altro, chiunque esso sia e qualunque siano le sue convinzioni, per comprenderne le ragioni, per cercare una connessione, per stabilire un rapporto».
Tra gli ospiti, Christelle Lahoud di ONU Habitat a Nairobi ha evidenziato come in Africa, il continente più giovane e in rapida urbanizzazione, ci troviamo di fronte ad un’urgenza e ad un’opportunità. «La costruzione della pace si rafforza quando i giovani siedono a ogni tavolo decisionale ‒ ha affermato ‒. Le disuguaglianze si stanno ampliando; oggi, più di 120 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case nel mondo: il numero più alto mai registrato. Inondazioni, caldo estremo e deficit ambientali spingono le persone verso aree urbane già sovraccariche». Questa pressione aumenta la competizione per le risorse e mina l’inclusione sociale. Il messaggio è convergente: «La costruzione della pace non avanza isolando i giovani attorno ad un tavolo giovanile, piuttosto si rafforza se i giovani trovano spazio attorno ad ogni tavolo». I giovani – ha proseguito Lahoud – «valutano i rischi, raccolgono dati, influenzano i bilanci locali e ridisegnano aree trascurate trasformandole in luoghi di connessione e inclusione. Attraverso la governance partecipativa, lavorano accanto a sindaci e autorità locali» per la creazione di spazi urbani sicuri e inclusivi.
Si tratta ancora una volta di cambiare narrativa; una scelta non indifferente, che può agire da attivatore. In questa direzione, hanno offerto la loro esperienza anche gruppi di cittadini di età e identità sociali diverse, da città di differente estensione – da Manila, Kinshasa, Medellin, Beirut, Capodistria, Trento, Betlemme e Pajule. Oltre ad amplificare l’internazionalità dell’evento, hanno saputo descrivere le potenzialità di una collaborazione consapevole tra società civile e istituzioni. Tra le tante testimonianze, quella di Agnes Aloyotoo, giovane candidata alle prossime elezioni in Uganda, e di Jonathan Masuta, che presiede una delle federazioni giovanili dell’Unione Africana: le nuove generazioni non attendono, la loro è un’azione presente.
Del resto, è ciò che è accaduto mille volte quando ad alzarsi in piedi e a prendere la parola sono stati i giovani. I loro ideali sono la realtà del futuro. A partire dalle scuole e dalle università, quante volte hanno preparato e plasmato il cambiamento, guidando anche le svolte politiche.
Per tutto ciò da Nairobi si riparte con nuova determinazione, carichi di idee e di fatti. Non a caso, il titolo della sessione finale scandiva: “Come proseguire: alleanze, strumenti, reti”. La sapienza delle culture africane ci sostiene lungo i sentieri che si aprono: “Se vuoi andare veloce, va’ da solo. Se vuoi andare lontano, andiamo avanti insieme”.
Annette Balaoing: «La pace non si compra. Si costruisce, con pazienza e fiducia»
Nei giorni del Convegno, Annette Balaoing — economista filippina specializzata in cooperazione e sviluppo, da oltre 30 anni residente nei Paesi Bassi e docente di economia internazionale all’Università di Rotterdam e delle Filippine — ha condiviso una riflessione sulle sfide che oggi mettono alla prova le istituzioni globali.
«Diamo per scontata l’esistenza dell’ONU — afferma — perché è sempre stata lì. Ma le guerre e la crescente paralisi diplomatica ci costringono a riconsiderarne il ruolo». Per Balaoing ricordare l’80° anniversario ONU è soprattutto un appello a sostenere le strutture di governance internazionale.
Uno dei punti centrali del suo intervento riguarda l’idea, ancora diffusa in molti Paesi — in particolare in Africa — che il denaro possa “comprare” la pace. «È un’illusione di efficacia» spiega. «Nell’immediato sembri ottenere risultati: investi denaro nelle elezioni e arrivano i voti. Ma il denaro compra consenso momentaneo, non fiducia, e senza fiducia non può esserci pace».
Ricostruire la fiducia dopo anni di conflitto o disuguaglianza, secondo Balaoing, è un processo lento e profondo. Lo paragona alla crescita di un seme: «Lo pianti, non vedi nulla per mesi, poi lentamente germoglia. La fiducia si costruisce così: con piccoli gesti quotidiani, con azioni che dimostrano impegno anche quando non convengono. Non si può forzare: si può solo nutrire».
Nel lavoro per la pace — sottolinea — la pazienza non è una virtù, ma una necessità. «La delusione e la fatica mettono alla prova la tua fede» dice. «È un lavoro duro, e pochi vogliono farlo. Ma chi si dedica alla pace deve accettare che spesso non vedrà i risultati. Deve credere che non sta agendo da solo, ma insieme a chi condivide la stessa visione».
Tra i valori che sostiene con forza ci sono l’amore e il perdono, strumenti essenziali ma difficili da praticare in un mondo che premia la competizione e la vendetta. «La vendetta dà risultati immediati: ti senti potente. Ma è una vittoria breve e tossica: mantiene l’odio vivo. L’amore e il perdono, al contrario, guariscono e fanno crescere. Sono strade più difficili, ma sono quelle che generano vita».
Il suo messaggio finale è rivolto ai giovani, protagonisti della storia: «Ogni grande cambiamento positivo viene dai giovani. Anche quando la pace non si vede, loro ci credono e lavorano per costruirla».