A Cesare e a Dio

Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?. Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me. Intanto la gran folla di giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere Lazzaro, perché molti giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù (Gv 12,1-11). Dell’unzione di Gesù durante la sua vita pubblica si parla in cinque luoghi distinti del Vangelo: nei Sinottici, in Mt 26, 6, in Mc 14,3, in Lc 7,36; in Gv 11,2 e 12, 1. Ma solo i brani di Matteo, Marco e Giovanni hanno una profonda rassomiglianza tra loro (Gv 11,2 sembra rifarsi all’unzione di Betania e non all’unzione di cui parla Luca. Un giudizio, comunque, sicuro non è stato ancora dato). Per Matteo e Marco l’avvenimento si svolge a Betania, in casa di Simone il lebbroso , che però non svolge alcun ruolo in tutto il racconto marciano. La data è indicata da Giovanni sei giorni prima della Pasqua, cioè il sabato sera prima della settimana santa, mentre per Matteo e Marco sembra che il fatto sia avvenuto il mercoledì della settimana santa, ma essi danno l’impressione di aver inserito il racconto costì poiché aveva una connessione con la passione, ed è da ritenere più esatta l’indicazione di Giovanni. Durante la cena Giovanni ci dice che Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Qualcuno ha voluto vedervi una cena di ringraziamento per la risurrezione di Lazzaro. A un certo punto una donna, secondo Matteo e Marco, Maria di Betania, secondo Giovanni, si avvicina al Maestro con un vaso di alabastro contenente nardo genuino di gran valore, del peso di ben una libbra, cioè circa 327 grammi. Maria spezza il vaso e unge la testa di Gesù, secondo Matteo e Marco; i piedi, secondo Giovanni – probabilmente l’uno e gli altri -; e asciuga con i suoi capelli i piedi del Maestro. Tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. È stato notato che questa affermazione fa capire che chi ha formulato il racconto era presente alla cena. A questo punto alcuni, secondo Marco, gli apostoli, secondo Matteo, Giuda, secondo Giovanni, si sdegnano e parlano tra loro. Dice Marco: Perché tutto questo spreco di olio profumato? Si poteva benissimo vendere quest’olio per più di trecento denari e darli ai poveri. Secondo Giovanni, è Giuda Iscariota che fa quest’affermazione, non perché gli importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro . È evidente l’intenzione di presentare Giuda ladro e avaro: motivo principale del suo tradimento di Gesù sarà infatti il denaro; e contrapporlo così a Maria, piena di donazione e di amore. È comprensibile che gli altri discepoli reagiscano con un certo stupore: trecento denari infatti corrispondevano allo stipendio annuale di un bracciante agricolo del tempo. Si può calcolare perciò che il profumo costasse da un milione e mezzo a tre milioni delle vecchie lire. L’unguento di nardo veniva estratto da una pianta dell’India, e il Vangelo dice che era genuino. Sappiamo da Plinio che i profumi potevano avere cifre molto elevate, anche più di trecento denari la libbra. Il brano ci indica, inoltre, che il collegio apostolico aveva una cassa, e che una parte delle offerte fatte al Maestro era destinata alle necessità dei bisognosi, e che non appariva anormale a Giuda, ma anche agli altri apostoli, versare trecento denari nella cassa, vendendo l’unguento. Ma interviene Gesù: Lasciatela stare, perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un’opera buona; i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre. Ella ha fatto ciò ch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità vi dico che dovunque in tutto il mondo sarà annunziato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto (Me 14, 69). Per prima cosa, Gesù loda l’opera buona fatta e, quasi citando alla lettera una frase del Deuteronomio (15, 11), afferma che i discepoli e gli apostoli avranno sempre i poveri da aiutare. Vi sono due interpretazioni fondamentali a questa contrapposizione fra l’unzione costosa e i poveri. La prima afferma che la carità inculcata nell’Antico Testamento verso coloro che debbono essere sepolti, è raccomandata tanto quanto l’elemosina ai poveri. Gesù, in questo caso, non contrapporrebbe due atti buoni ma intenderebbe rivelare il significato profondo dell’unzione e cioè l’imbalsamazione del suo corpo. Altri invece vogliono vedervi una vera contrapposizione che gli evangelisti avrebbero voluto sottolineare, quasi un’eco delle dispute sorte fra i primi cristiani, tra chi affermava e sottolineava il culto, e chi preferiva accentuare la distribuzione socio-caritativa del denaro, specie i giudaizzanti. Un’eco di questa disputa possiamo trovarla nelle parole di san Paolo nell’epistola ai Corinzi: Se anche distribuissi tutte le mie sostanze… ma non avessi la carità, niente mi giova (1 Cor 13, 3). Riguardo alla frase: I poveri li avete sempre con voi, Gesù non vuole certamente presentare una dottrina sociale che scusi la povertà; anzi, essa sarà sempre da combattere, come indica implicitamente l’invito rivolto ai discepoli a spendere il denaro che possederanno in futuro per i poveri. La conclusione: Dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei (Mt 26, 6), ha fatto scrivere fiumi d’inchiostro. Si nega infatti che Gesù possa aver pronunciato questa frase, soprattutto a causa della parola vangelo, che appare nelle lettere di Paolo, ma non sarebbe autentica sulla bocca del Maestro. Può darsi che ciò sia vero; l’importante è che gli evangelisti ci abbiano tramandato il veto senso delle parole di Gesù, anche se possono aver adottato parole coniate più tardi. Una cosa è certa: la profezia insita in questa frase si è avverata; dovunque, infatti, il vangelo è stato predicato, si è parlato della donna che ha unto anticipatamente il corpo di Gesù per la sepoltura. Il tributo a Cesare Allora i farisei ritiratisi tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque a lui i propri discepoli con gli erodiani a dirgli: Maestro sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?. Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo. Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: Di chi è questa immagine e l’iscrizione?. Gli risposero: Di Cesare. Allora disse loro: Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. A queste parole rimasero sorpresi e, lasciatelo, se ne andarono (Mt 22, 15-22). Il racconto si trova anche in Luca e Marco, ma le diversità fra i tre evangelisti sono minime. Coloro che mandarono i farisei e gli erodiani erano i capi dei farisei, come si ricava da Matteo, la più alta autorità spirituale giudaica che vi era in Palestina. Sembra che il loro numero fosse solo di 6 mila, ma avevano un ascendente enorme. La scelta che essi fanno delle persone che mandano da Gesù per metterlo alla prova con la domanda: È lecito o no dare il tributo a Cesare? è astutamente molto politica. Se, infatti, Gesù darà una prevalenza all’aspetto religioso, gli erodiani, che erano notoriamente legati al potere d’occupazione romano, denunceranno Gesù come un sobillatore. Nel 6 d.C., Giuda il Galileo aveva affermato l’impossibilità dal punto di vista religioso e morale di pagare le imposte, e per questo era stato condannato e ucciso. Se invece Gesù avesse riconosciuto il tributo a Cesare, i farisei presenti, legati profondamente alla religiosità del popolo, avrebbero potuto dimostrare che Gesù non era il Messia, e l’avrebbero screditato dinanzi alle folle. È da tener presente che il tributo del quale parlano i farisei e gli erodiani era una tassa legata alla singola persona, non era né la tassa sui campi, né un pedaggio o un’imposta indiretta. Accettarla, significava riconoscere l’autorità di Roma sul singolo giudeo, lui che doveva essere in totale ed esclusiva dipendenza da Dio, sia religiosamente che politicamente. Gesù non dà una risposta diretta alla domanda, ma dice: Portate un denaro perché io lo veda. Sembra quasi che ignori il valore e l’esistenza della moneta romana, il denaro. Il denaro era nella Palestina quello che è adesso il dollaro nel mondo occidentale. Si chiamava denaro poiché inizialmente corrispondeva a dieci altre monete più piccole, a dieci assi. Era d’argento, del peso di 3,41 grammi, col quale si potevano comperare come già detto 13 litri di grano, oppure più di 26 litri d’orzo. Per pagare il tributo al fisco era indispensabile; non veniva infatti accettata una moneta che non fosse romana. Gli erodiani e i farisei hanno addosso questa moneta che portava l’effige dell’imperatore Tiberio con la scritta Tiberio Cesare figlio del divino Augusto. È allora che Gesù domanda: Di chi è questa immagine?. Gli dissero: Di Cesare. Egli allora dice: Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Le interpretazioni date a questa celebre frase si possono ridurre a tre: a) L’interpretazione ironica: l’imposta e il suo problema non mi interessano assolutamente. Date a Cesare è un modo di dire privo d’importanza. Date pure a Cesare , che importanza ha ciò per il regno di Dio? b) L’interpretazione antipolitica, nel senso che Gesù si mette contro gli zeloti che lottavano per l’autonomia della Palestina dall’Impero romano. Gesù, accettando l’imposta e riconoscendo l’autorità dell’Impero romano, si distacca dalle problematiche politiche che fanno di un problema secondario, come l’imposta, un argomento importante a detrimento della questione principale: l’obbedienza a Dio. c) La terza interpretazione è fondata sulla distinzione dei poteri: Gesù, riconoscendo l’autorità dell’Impero romano distinta dall’autorità religioso-politica-teocratica giudaica, mette le basi per una sana laicità dello Stato, che però a sua volta dovrà riconoscere la sua dipendenza da Dio. Sarà questa l’interpretazione che ne daranno i primi cristiani negli Atti, nelle lettere di Paolo e di Pietro e, in modo diverso, nell’Apocalisse, poiché qui l’autorità pretenderà di essere adorata. Questo brano, forse, non ci dice nulla nei riguardi della povertà vissuta da Gesù poiché, secondo gli esegeti, la richiesta del denaro ai suoi interroganti non fu fatta tanto perché Gesù non poteva procurarselo diversamente, quanto per dimostrare loro che essi stessi già riconoscevano l’imperatore romano, poiché portavano addosso la sua moneta. Ci dice però moltissimo della nuova concezione civile che sgorga dal cristianesimo. È possibile vivere così? La dottrina sulla povertà e sulla ricchezza contenuta nei detti di Gesù, come gli evangelisti ce li riportano, è di enorme importanza. Ma, è possibile vivere così? E come? Sono molte le interpretazioni proposte, tendenti ad adattarne la portata, che sono state elaborate nelle chiese lungo il corso dei secoli e anche oggi. Da qui lo scandalo per credenti e non credenti, che vedono la separazione tra le parole di Gesù e la vita dei cristiani. Si è forse anche esasperatamente idealizzato il messaggio di Gesù in maniera ingiusta come hanno fatto i Fraticelli condannati da Giovanni XXII nel 1323, per i quali Gesù non poteva aver posseduto nulla, nemmeno in comune. Evidentemente, sotto questa posizione dei Fraticelli, oltre che una critica al lassismo dei credenti, vi era una visione manichea dei beni della terra. Per questo motivo ritengo che accostarsi alla prassi di Gesù nei riguardi della povertà sia illuminante per la teoria; si vede in Gesù non un asceta separato dal mondo, ma colui che ha rinunziato a tutto per vivere più liberamente con modestia, senza però giudicare cattivo ciò che Dio ha creato. Gesù, con la sua vita, mostra che è possibile vivere la povertà cristiana senza cadere nel lassismo che giustifica la ricchezza, o nell’esasperata denunzia dei Fraticelli. Gesù appare un uomo, anzi, l’Uomo per eccellenza, abbandonato totalmente alla Provvidenza per testimoniare la sua dipendenza solo da Dio, ma che sa, al tempo stesso, servirsi con semplicità dei pochi beni che gli vengono donati per il sostentamento suo e dei suoi, e per beneficare i poveri.

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