Quello del romanzo storico è un genere che, amato da molti, incuriosisce quanti vanno in cerca di un titolo coinvolgente e accurato, che faccia viaggiare nel tempo con il giusto equilibrio fra verità e finzione. «Un genere, questo – nota la scrittrice e critica letteraria Patrizia Debicke Van der Noot –, che negli ultimi anni in Europa sembra godere di una rinascita e un’accelerazione, anche grazie a un rinnovato impegno degli scrittori, e il cui punto di forza sta nel poter allargare quasi all’infinito il numero di storie possibili […]. Possiamo quasi paragonare il romanzo storico a una macchina del tempo che ci consente di guardare indietro. La sua unica vera criticità sta nella implicita contraddizione che lo identifica: “romanzo” (componimento letterario che narra una vicenda in tutto o in parte immaginaria) e “storico” (ovverosia reinterpretazione di parte della storia e ricostruzione di un fatto realmente esistito). Categorie che dovrebbero fare a pugni tra loro? In un romanzo storico, invece, vengono tranquillamente mischiate».
Ne sa qualcosa il veronese Luciano Rognini, che dopo aver pubblicato apprezzati studi storici e artistici sulla sua città, dai settant’anni in poi ha cominciato a produrre – per proprio relax – romanzi storici i cui giovani protagonisti maturano nel rodaggio dei sentimenti e nelle prove affrontate per superare pregiudizi e ostacoli alla propria realizzazione; romanzi fatti apposta per entusiasmare lettori adolescenti anche per il ritmo narrativo incalzante, dove vengono in evidenza valori come la ricerca della verità, della giustizia, dell’autenticità anche nel campo religioso.
Finora con l’editore veronese Bonaccorso ne ha pubblicati cinque: due ambientati nel XVIII secolo, uno nel XIII e l’ultimo – da poco edito – nei secoli V e VI, epoca questa a lui più congeniale: non per niente i maggiori interessi di Rognini riguardano il periodo tardo-romano e bizantino. Anche in questo nuovo lavoro i protagonisti sono due giovani innamorati che affrontano le sfide di un contesto storico piuttosto problematico: quello che vede l’Impero romano d’Occidente volgere al tramonto mentre, pressoché sparite le legioni, il potere militare è gestito da mercenari germanici, a fronte di un impero d’Oriente dove Costantinopoli, la Nuova Roma, tiene ancora alto il vessillo della civiltà romana.
Protagonista di questo nuovo lavoro – Romolo Augusto e Claudia. Una storia d’amore durante la caduta senza rumore di un Impero – è proprio quell’Augustolo di cui gli storici dell’epoca ci hanno tramandato ben poco, tacendo perfino la data della morte, che si suppone posteriore al 511: un vuoto che Rognini, anche per alleggerire una vicenda dai toni alquanto cupi, infarcita di intrighi, cospirazioni, rivolte e scontri militari, ha colmato immaginando una delicata storia d’amore tra l’adolescente assurto malvolentieri al trono d’Occidente dopo un colpo di Stato e – unico personaggio di fantasia tra i principali – la figlia del ribelle generale barbaro Odoacre, divenuto poi governatore d’Italia col titolo di patricius.
«Ho cercato di attenermi per quanto è possibile – spiega l’autore – a quel periodo di grande decadenza politica ed economica, evitando racconti quasi fantasiosi sulla fine dell’Impero d’Occidente. Da notare che in quel tempo il popolo romano quasi non si accorse della fine di un’epoca caratterizzata in Occidente nel V secolo da continui colpi di Stato e dal predominio di generali e soldati, in buona parte mercenari barbari di confessione ariana. Questo fattore appare già in atto alla morte di Teodosio il Grande e prima della definitiva divisione dell’Impero in due parti (395): quella Occidentale con capitale Milano e poi Ravenna; quella Orientale con capitale Costantinopoli».
Anche in questo romanzo, intento dell’appassionato studioso di fonti storiche che è Rognini è di verificare e, all’occorrenza, rettificare sviste e valutazioni di parte. Ad esempio, Romolo – chiamato per scherno dai suoi avversari Augustolo, cioè “Piccolo Augusto”, non solo per la giovane età ma anche per l’insignificanza politica, in quanto a governare in effetti era il padre Flavio Oreste, magister militum dell’esercito romano – fu veramente l’ultimo imperatore d’Occidente?
A scuola ci avevano insegnato che data ufficiale della caduta dell’Impero romano è il 476 d. C., anno in cui il giovanissimo imperatore, esautorato dopo appena undici mesi di regno, venne esiliato a Napoli nella villa già proprietà di Lucullo (ora Castel dell’Ovo). Col 476 d. C. si fa anche terminare l’Evo Antico e iniziare il Medio Evo. Ma è giusto pensarla così? Non sarà che, a fissare quella data, può aver giocato la tentazione di collegare al mitico inizio della Roma di Romolo la fine di Roma imperiale con un secondo Romolo? Difatti alcuni studiosi dei nostri giorni – e Rognini con loro – spostano la data tradizionale del 476 al 480 d. C., anno in cui venne assassinato in Dalmazia, dove s’era rifugiato, quel Giulio Nepote già riconosciuto sovrano legittimo dei territori d’Occidente sia dall’imperatore d’Oriente Zenone, sia dallo stesso Odoacre.
Uno dei pregi del romanzo è aver reso palpabile il clima di decadenza, di instabilità, di reciproco sospetto tra i romani che, per gestire quel che restava dell’Impero d’Occidente, erano costretti a servirsi di truppe mercenarie eretiche rispetto al cristianesimo ufficiale, e queste popolazioni di stirpe barbara consapevoli del proprio nuovo protagonismo. Una storia, questa, che se documenta la difficile convivenza tra culture diverse, quando non lo scontro, nel racconto fatto da Rognini con un occhio ai tempi presenti si fa incontro, comprensione e dialogo almeno nel caso di Romolo e Claudia.
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