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In profondità > Insolita Bibbia

Anna trova se stessa

di Michele Genisio

- Fonte: Città Nuova

Solo quando si smette di paragonarsi alla seconda moglie del suo Elkana, Anna proverà la serenità che tanto le mancava e riuscirà a dare alla luce un figlio. Così anche noi possiamo generare la nostra realtà più vera quando non ci metteremo in competizione con gli altri

Anna prega nel Tempio per un figlio mentre Eli guarda (Julius Schnorr von Carolsfeld, 1850 circa)

Il paragone è una brutta bestia, se vissuto a livello mentale. Grande studioso dell’anima, l’egittologo e teosofo Schwaller de Lubicz, scriveva: «Viviamo spesso nel dramma dell’intelligenza che paragona». Cioè, siamo intelligenti, e facciamo la cosa meno intelligente del mondo: ci paragoniamo agli altri. La mia amica Clara è capace e io non lo sono, Antonio sa imporre le sue idee e io mai. Paragonarsi fa molto male a quel nucleo misterioso che è dentro di noi e che si chiama anima. Perché l’anima è la radice della nostra individualità. E paragonarsi è dare un calcio a quello che ci rende unici, proprio come Dio ci ha pensati. Dal paragone nasce l’invidia, anche se spesso non la si vuole riconoscere. Il paragone, generato dall’insicurezza, amplifica l’insicurezza. Ha la sua origine nell’egocentrismo, spesso camuffato o negato. È un atteggiamento fanciullesco, purtroppo presente in molti adulti. È vecchio come il mondo. Lo troviamo anche in questa storia della Bibbia.

In un villaggio sulle montagne di Efraim abitava Elkana con le sue due mogli, Peninnà e Anna. Una famiglia tranquilla. Cioè, tranquilla più o meno. Un problema c’era. Peninnà aveva dato a Elkana diversi figli e figlie, Anna nessuno. Il suo ventre era chiuso, uno scrigno sigillato. Anna si paragonava continuamente a Penninà. Perché lei sì e io no? Cosa c’è in me che non va? Perché il Signore mi ha dimenticata? Perché sono una tale nullità? In realtà questo problema era attenuato, perché Elkana amava teneramente Anna, il suo amore per lei era così profondo che non dava alcun peso al fatto che non le desse figli. Lui cercava di tenere la situazione coniugale in traballante armonia, barcamenandosi fra le sue due mogli con tutta la sua capacità di mediazione. Ma Anna continuava a paragonarsi a Peninnà, e ci stava male. E Peninnà ci metteva del suo a rincarare la dose. Non perdeva occasione per mortificare Anna, le ricordava la sua umiliazione di fronte alle donne del villaggio. Anna versava lacrime, non mangiava, s’intristiva ogni giorno di più. Sapeva che Elkana l’amava. Ma non le bastava. Elkana l’abbracciava e le sussurrava: «Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?». Lei apprezzava le sue attenzioni sincere, ma era triste ugualmente. Non accettava la situazione. La riteneva ingiusta. «Perché è capitato a me, mentre quell’oca boriosa va in giro a testa alta a vantarsi dei figli e delle figlie che ha messo al mondo con mio marito?».

Anna non riusciva a uscire dal suo problema, che attribuiva totalmente a cause esterne. Non è facile uscire da una situazione del genere. In genere serve una presa di coscienza, che richiede tempo e aiuti adeguati. A volte la soluzione viene da un fatto che spiazza e fa vedere le cose da tutta un’altra angolatura. È quello che capitò a Anna. A ogni festa stagionale, la famiglia di Elkana, insieme alla gente del villaggio, si recava al santuario di Dio che allora era in Silo. Questo sito oggi è presso Khirbet Seilun, in Cisgiordania, a 16 km dall’insediamento israeliano di Betel. A Silo c’era il sacerdote Eli che, all’interno della Tenda del Convegno, custodiva l’arca dell’Alleanza, sopra la quale aleggiava la presenza dell’Altissimo. Durante la visita al santuario, approfittando di una pausa pranzo della comitiva, Anna si staccò dal gruppo e s’infilò nella Tenda del Convegno. Era sola. Si prostrò di fronte all’Onnipotente e pregò, mentre le lacrime le bagnavano il viso: «Ascolta il lamento della tua schiava, ricordarti di me! Se darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò a Te, per tutti i giorni della sua vita». Anna pregava con fervore. Il sacerdote Eli, che sbirciava dietro la tenda, vide le sue labbra che muovevano ma non udiva la voce. Pensò che fosse ubriaca. Uscì e la rimproverò. Anna abbassò il capo: «Non ho bevuto, signore, ma ho sfogato la mia amarezza di fronte al Signore». Eli, che sapeva leggere dentro i cuori, la guardò e le disse: «Sta’ in pace. Il Dio d’Israele farà quello che gli hai chiesto». Quelle parole calmarono del tutto Anna. Avvenne un capovolgimento. Si sentì di colpo felice.

Una gioia iniziò a pulsarle dentro, come se un’ondata d’aria fresca, di cielo azzurro, le fosse entrata nel corpo e avesse scacciato le nuvole grigie che s’ammassavano da tanto tempo dentro di lei. Il suo problema, di cui mai s’era resa conto, era scomparso. Andò verso Elkana sorridendo. Sorrise perfino a Peninnà, che rimase interdetta ed esclamò fra sé e sé: «È diventata matta!». Tornati al villaggio, quella sera Anna annunciò alla rivale che sarebbe stata lei a coricarsi con Elkana. Peninnà rimase basita da quella insolita risolutezza, e si ritirò nella sua tenda. Quando ricevette il seme di Elkana, Anna sentì che il suo ventre s’era aperto. In che cosa era consistito il miracolo? Probabilmente era capitato tutto nella mente di Anna, che nell’intimo incontro con Dio a Silo aveva ritrovato se stessa, e lasciato perdere l’impulso di paragonarsi a Peninnà. Dopo quel giorno Elkana continuò ad amare Anna come sempre l’aveva amata. Ma a lei sembrava che gli occhi del marito la guardassero con più compiacimento. Quella notte Anna concepì Samuele, destinato a diventare il grande profeta d’Israele.

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