«Oggi, 9 maggio, quattordicesimo anno dell’era fascista. Tutti i nodi furono tagliati dalla nostra spada lucente e la Vittoria africana resta nella storia della Patria, integra e pura, come i Legionari caduti e superstiti la sognavano e la volevano. L’Italia ha finalmente il suo Impero». Così Benito Mussolini nel 1936 proclamava l’Impero dal balcone di Palazzo Venezia, di fronte a una folla di cittadini italiani osannanti. Pochi giorni prima aveva annunciato la vittoria nella guerra d’Etiopia, con l’entrata in Addis Abeba delle truppe guidate dal generale Badoglio. Il re d’Etiopia, Hailè Selassié, se n’era andato in esilio (per ritornare poi nel 1941). Secondo una tradizione etiope, Hailé Selassié, proclamato imperatore nel 1930 col titolo negus neghesti, cioè “re dei re”, era il 225° discendente della dinastia di re Salomone, il figlio del biblico re Davide. Ma come è possibile pensare a una storia del genere? Gli appigli ci sono. Andiamo alla Bibbia. Quando re Davide arrivò ai 70 anni d’età, una delle sue mogli, Betsabea – che fino a quel momento non aveva proferito parola, se non «sono incinta» – si fece avanti per chiedergli che il loro figlio Salomone diventasse il suo successore. Davide acconsentì. Lo fece ungere re dai sacerdoti alla sorgente del torrente Ghion, a sud di Gerusalemme, fra il tripudio del popolo. Il regno di Salomone sarà poi chiamato “regno della pace”. Pace, infatti riecheggia anche nel suo nome, che deriva da shalom, pace. Un po’ come farà poi Augusto a Roma, l’era di pace inaugurata da Salomone poggiava su basi, a dir poco, ciniche. Egli aveva infatti eliminato tutti i suoi avversari interni. Aveva fatto uccidere il fratellastro Adonia, possibile pretendente al trono, e anche il generale Ioav, fedele del padre, perché troppo potente e spregiudicato. Entrambi potenziali nemici. In uno stupendo colloquio notturno con Dio, Salomone aveva chiesto la sapienza nel governare. E l’Eterno gliela aveva concessa. Che cosa poteva volere di più? Salomone sembrava baciato dalla fortuna. Era saggio, bello, ricco, potente. Il padre Davide aveva sottomesso i nemici, gli aveva lasciato un grande regno unito. E anche soldi e materiali per costruire la reggia e un grande tempio per YHWH.
La fama della sua ricchezza e della sua straordinaria sapienza varcò i confini d’Israele. E giunse al leggendario regno di Saba, che si dice comprendesse Etiopia, Eritrea e Yemen. Lì abitava una donna di cui non si conosce il nome, ma che è ricordata come “regina di Saba” da tre libri sacri, la Bibbia, il Corano e il Kebra Nagast (antico testo etiope composto tra il IV e il VI se. d.C.). Secondo un racconto degli ebrei d’Etiopia, al tempo di Mosè e della fuga dall’Egitto, un gruppo non aveva seguito il leader attraverso il Sinai, ma si era diretto a sud per più di duemila chilometri, lungo del Nilo, fondando poi la città di Axum. Questa sarebbe l’origine del regno di Saba e degli ebrei d’Etiopia, chiamati falascià (di loro e dell’Operazione Salomon compiuta nel 1991 dall’esercito israeliano, tratta il bellissimo film Vai e vivrai). Racconti arabi fanno invece provenire la regina di Saba dallo Yemen. Comunque sia, la regina di Saba, venuta a conoscenza della fama di Salomone, si mise in viaggio. Voleva conoscere di persona quella star ammirata da tutti. Non si presentò a mani vuote. Era seguita da una carovana di cammelli che trasportavano spezie, oro e pietre preziose. Anche le sue navi attraversavano il mare per portare a Salomone il pregiato legno di sandalo. La regina di Saba fu accolta a Gerusalemme con tutti gli onori. Si guardò attorno. Stupì camminando per la reggia, era ammaliata dai suoi arredi e dai suoi giardini. Ammirò il tempio del Signore, per la cui costruzione Salomone aveva arruolato «70 mila portatori di pesi, 80 mila tagliatori di pietre e 3600 sorveglianti preposti» come riporta il libro delle Cronache. Attraversò l’interno del tempio, che era rivestito di cedro e cipresso, dominato da colonne di bronzo, impreziosito dallo sfavillio dell’oro e delle gemme preziose, avvolto nella fragranza dell’incenso, incantato dalla musica dei cantori e delle loro arpe e timpani. La regina di Saba rimase senza fiato.
Una sera, durante una cena intima, confidò a Salomone: «Non volevo credere a quanto si diceva su di te, finché non ho visto con i miei occhi. Beati i tuoi uomini, le tue donne, e i ministri che stanno davanti a te e ascoltano la tua saggezza!». Che cosa accadde fra Salomone e la regina di Saba? Si è troppo maliziosi a pensare che tra i due ci fu una relazione amorosa? La Bibbia non dice nulla, ma alcuni rabbini propenderanno per una risposta affermativa a questa domanda. La tradizione etiope ne è certa. E sostiene che la regina di Saba tornò al suo paese carica dei doni ricevuti da Salomone, e con in grembo il figlio generato con lui. Tornò a Saba perché voleva che l’erede al trono nascesse nella sua terra, in mezzo al suo popolo. Quando venne al mondo, fu chiamato Bayna-Lehkem, in seguito fu incoronato re col nome di Menelik. È lui che la tradizione etiope considera il capostipite della dinastia a cui si rifarà Hailè Selassiè, cacciato da Mussolini.
Cosa capitò invece a Salomone? Come accade a molti, anche a lui, fama, potere e ricchezza diedero alla testa. Nel suo harem, che si dice sorgesse su una collina di fronte alla santa Gerusalemme, aveva 700 mogli e 300 concubine. Con quelle mille donne attorno, probabilmente dimenticò presto la regina di Saba. Ma con il passare del tempo dimenticò anche il Dio di suo padre Davide. Colui che gli aveva donato la saggezza, la ricchezza e la pace. Salomone seguì la via degli dei delle sue donne straniere. Così, nell’ultima parte della sua vita, la vergogna si mescolò allo splendore. E un poco alla volta prese il sopravvento. I doni di Dio sono fatti di materiali fragili. Vanno custoditi con cura. Se no si rompono. Anche se sono grandi come la saggezza di Salomone.