The dark side of the football: il discusso, ombroso, inquietante dietro le quinte del luccicante mondo del calcio. Affari, denaro, interessi, avvoltoi, tutti in cerchio attorno al grande mercato del pallone. Ma prima dell’oro e del fango intorno a colei che rotola incantando il mondo intero, c’è una saga familiare dal forte sapore shakespeariano: potere, ambizione, discordia, fantasmi, vendetta, intrigo, tradimento. Ecco, potrebbe essere questa la sintesi, il riassunto estremo, il concentrato della serie Il grande gioco, prodotta da Sky Studios ed Èliseo entertainment e visibile da oggi, 18 novembre, su Sky con 8 episodi in prima serata spalmati lungo quattro venerdì di seguito, disponibili anche in streaming e on demand su Now. La storia, narrata dai registi Fabio Resinaro e Nico Marzano dentro una Milano (spesso) di luci notturne e di attici con vista mozzafiato (simbolicamente i monti degli dei che osservano dall’alto gli umani fragili e bisognosi) è quella di una famiglia, i De Gregorio, proprietari dell’agenzia di calciatori più potente in Italia: la ISG.
C’è il padre Dino (Giancarlo Giannini), fondatore e CEO della società; ci sono i due figli: Elena (Elena Radonichic), la prima, intelligente e decisa a prendere il posto del padre, col quale ha un rapporto conflittuale, e Federico (Lorenzo Cervasio), il minore e troppo sensibile, troppo fragile per reggere la pressione e gli urti di quel mondo abbagliante e feroce. In mezzo a loro si muove Corso Manni (Francesco Montanari) un ex golden boy dei procuratori italiani, uno che si è fatto da solo ma è finito, suo malgrado – incastrato dai rivali intimoriti dal suo talento e dalla sua raggiunta posizione – in una brutta inchiesta sul calcio scommesse. È stato sposato con Elena, che ama ancora, ricambiato (o almeno così dicono i loro corpi quando si danno appuntamento) e sembra avere, pur nella difficoltà del presente, un cuore ancora vivo, che però smorza, temporaneamente, quando qualcuno commette una scorrettezza, un’entrata a gamba tesa, nel tentativo di muovere e piazzare i giocatori. Corso ha buon rapporto anche con Federico, se non altro fino a quando, oppresso dalla spietatezza paterna, questi accende l’elemento tragico lasciandosi sparire tre le onde notturne del mare di Montecarlo. La sua scomparsa allarga e scopre la ferita di Elena, accelerando l’avversione di lei e dello stesso Corso Manni verso quel padre padrone ostinatamente al timone nonostante gli anni e gli acciacchi.
La figura su cui far leva per sgretolare il potere del grande vecchio, è quella di un russo anch’egli procuratore famelico: un certo Kirillov proprietario della Plustar, società per la gestione dei calciatori già conquistatrice del calciomercato tedesco e ora in potente virata verso l’Italia.
Ecco, quella appena descritta è la prima fila di una coralità bellicosa alla cui nervosa partita si aggiungono una giovane giornalista e blogger molto in gamba, Valeria Soleri, un paio di top player affermati o in erba, il primo sudamericano (il campione Carlos Quintana interpretato da Jesus Mosquera Bernal), il secondo italiano (la giovane promessa Antonio La Gioia, interpretato da Giovanni Crozza Signoris) e un altro giovane procuratore, Marco Assari, una sorta di wikipedia umano del calcio, un talentuoso e aspirante talent scout, uno che – almeno stando ai primi due episodi visti in anteprima – sembra possedere una purezza d’animo inevitabilmente costretta a navigare dentro le onde alte e pericolose del giocattolo in cui si è gettato. Corso lo incontra, lo osserva e lo assume come suo braccio, in quella sua battaglia personale di cui solo una piccola parte, sinora, è stata mostrata. Abbastanza, però, per notare tanto dinamismo nel palazzo, nelle stanze dei bottoni, e pochissimo sul campo.
Calcio giocato quasi nulla, per ora, dentro Il grande gioco, a parte qualche prato d’allenamento o di periferia. Quello parlato, invece, il calcio mosso, giostrato, manipolato e industrializzato, abbonda e si avverte, in questa serie prodotta da Luca Barbareschi e creata da Tommaso Capolicchio, Giacomo Durzi, Filippo Kalomenidis e Marcello Olivieri, una costruzione piuttosto attenta dello sfondo, delle dinamiche tra atleti, manager e televisione. In generale la descrizione della grande macchina del pallone si esprime attraverso la buona cura dei dettagli fonetici e visivi, di una cornice e di un paesaggio che non tiene tanto a conferire a Il grande gioco un forte valore di inchiesta, documentaristico in senso stretto, quanto a rendere credibile, attraente, attraverso la verosimiglianza, l’intrattenimento. Dentro al quale i personaggi appena presentati potranno crescere e parlare, lo speriamo, loro certamente con i loro “antichi” contenuti, di quella immortale materia umana nella quale lo spettatore potrà specchiarsi, con la quale potrà riflettere. Vedremo, sperando anche, perché no, che quel complicato e mai facile rapporto tra cinema e calcio giocato, potrà trovare, lungo il tragitto di questa serie nata da un’idea di Alessandro Roja (con la collaborazione di Riccardo Grandi), qualche passaggio convincente, qualche azione di gioco credibile e pure emozionante
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