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Guerra, obiezione di coscienza e paternalismo morale

di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

Il lungo passaggio dall’obbedienza dovuta comunque all’autorità alla centralità della coscienza personale. Tracce di un percorso di ricerca nel dialogo con il professor René Micalef sj della Pontificia università Gregoriana (Estratto da Extra CN). Da Mazzolari e Giordani nel primo conflitto mondiale alla guerra in Iraq del 2003. Dalla Gaudium et Spes del Concilio al documento dei vescovi statunitensi del 1983 The Challenge of Peace.  «L’obiezione di coscienza e ogni impegno serio a favore della pace abbiano senso se accompagnate da una sorta di ascesi nella quale apriamo gli occhi del cuore costantemente alla sofferenza del mondo, e lasciamo aperta in noi questa ferita»

Guerra (AP Photo/David Goldman, File)

Guerra e coscienza. Partiamo dalla domanda: esiste un’interessante analisi, compiuta dal professor Giovanni Dessì,  del discorso pronunciato da Obama in occasione della consegna del premio Nobel della Pace nel 2009 .

Nell’intervento dell’allora presidente degli Usa emerge la consapevolezza che la guerra non è giustificabile, ma comunque bisogna farla, accettando i limiti e le contraddizioni.

La domanda che ci dobbiamo porre è tuttavia un’altra: partiamo da una situazione specifica che è quella della Prima guerra mondiale. Noi diciamo che quella è stata una guerra legittimata da determinati interessi. Nel caso italiano, infatti, c’è stata una campagna di pressione da parte da parte dell’industria delle armi. La massa dei cattolici era prevalentemente contraria all’intervento militare ed era per la neutralità, ma alla fine ha dovuto obbedire.

Nel 2003 quando lo stesso papa Giovanni Paolo II si disse contrario all’intervento americano in Iraq, “Mai più la guerra” campeggiava a caratteri cubitali sull’Osservatore Romano.

Si trattava, come poi si è visto, di una guerra giustificata da prove false sulla presenza di armi di distruzione di massa detenute dal regime di Saddam Hussein

Quella consapevolezza doveva condurre a disobbedire. Non è tanto il fatto di essere nonviolenti in maniera generica, ma di disobbedire ad un ordine ingiusto. Prendiamo l’esempio di un grande obiettore di coscienza : Franz Jägerstätter, padre di famiglia, sacrestano, contadino.

Dopo l’Anschluss del 1938, buona parte dell’intellighenzia cattolica austrica è a favore della guerra, compreso l’arcivescovo di Vienna. Dopo un’esperienza negativa nell’esercito, quando, il 23 febbraio 1943, riceve la terza chiamata alle armi come esercito nazista, e gli viene imposto di obbedire, Jägerstätter rifiuta, non perché fosse contro il servizio militare come tale. Lui dice: «Io non obbedisco a Hitler».

Nel discorso del 1940 ai militanti dell’Azione cattolica, Pio XII dice: «Dovete obbedire legittimamente». Noi abbiamo obbedito nella Prima guerra mondiale e nelle guerre coloniali e poi, nel ’40, a un regime fascista.

Eisenhower nel discorso di saluto da presidente Usa alla Nazione, nel 1961, disse: «Le nostre armi sono necessarie, dobbiamo armarci, però esiste il complesso militare-industriale, per cui ci vuole una cittadinanza attiva e consapevole che possa resistere».

Quando Igino Giordani fece riferimento, nella proposta di legge del 1949, alla necessità dell’obiezione di coscienza, padre Messineo, sulla Civiltà Cattolica, affermò: «Ma se diciamo che bisogna disubbidire, anche gli operai diranno che non possono fabbricare le armi» e infatti le leggi che limitano il traffico di armi in Italia le dobbiamo agli operai che hanno fatto obiezione di coscienza.

Mazzolari nel 1941, invece, rispondendo alla legge di un giovane aviatore italiano parla del dovere della rivolta. Come ci poniamo oggi davanti a questi dilemmi?

Risposta Professor Micalef

Un certo “paternalismo morale” rimane un problema in tutta la morale cattolica. Da un lato parliamo della coscienza e del discernimento, ma quando la gente comincia ad usare la coscienza e a discernere delle cose che non conformano con quello che l’autorità suggerisce od ordina di fare, allora qualcuno comincia ad avere paura. C’è sempre una parte della Chiesa che fa fatica ad accettare l’idea di lasciare discernere il “semplice soldato” o il “semplice fedele”: pensiamo, ad esempio, alla diatriba intorno al capitolo 8 dell’esortazione apostolica di papa Francesco, Amoris Laetitia.

Da un lato, la Chiesa ha sempre parlato del valore della coscienza e l’idea dell’obiezione di coscienza (nel senso generale, non solo nel contesto bellico) è sempre esistita nella Chiesa, per lo meno dal punto di vista teorico (pensiamo ai Padri apologisti, a Pietro Abelardo, a Thomas More…).

Tuttavia, per tanti secoli, si aveva paura di parlare di questo perché, si diceva, la gente comune non ha gli strumenti per valutare bene le cose, e potrebbe utilizzare tale strumento per giustificare di tutto e di più. Perciò, la Chiesa, per lo meno durante l’epoca della Cristianità, ha sempre preferito parlare poco della coscienza e mettere tutto l’accento sull’obbedienza della legge.

«Ecco ciò che dice il vescovo, ecco ciò che dice il principe: adesso tu obbedisci, e non puoi mai sbagliare… semmai sbagliano loro e se la vedranno con Dio».

Certo, nella modernità, e su alcune cose estremamente serie come sull’aborto, quando le autorità non-ecclesiali proponevano cose contrarie alla posizione della Chiesa, allora sì che si inizia a parlare più facilmente di coscienza: se il mio capo reparto mi dice di praticare l’aborto, se mio marito mi obbliga a procurare un aborto, allora devo ascoltare la coscienza, allora posso e devo fare obiezione di coscienza e rifiutare di commettere o cooperare in questo male.

Su altri temi, però, il pensiero cattolico ha avuto difficoltà ad allontanarsi da un certo paternalismo e dire ai fedeli: avete la vostra intelligenza, formatevi e prendete una decisione secondo la vostra coscienza, anche se quel giudizio di coscienza può essere diverso da quello che vi dice di fare il vescovo o il politico di turno (nei recenti casi degli abusi sessuali nella Chiesa, vediamo cosa può succedere quando tanti fedeli ignorano sistematicamente, e per anni, la loro coscienza, e obbediscono ciecamente a delle autorità religiose che ordinano loro di non denunciare reati, di distruggere prove, ecc.).

Certamente, nella modernità sussisteva nella Chiesa una grande paura del disordine, specialmente dopo tutte le rivoluzioni del XIX secolo.

Anche Pio IX, che come papa aveva iniziato sostenendo posizioni molto favorevoli alla libertà, a un certo punto e in un contesto del genere è diventato autoritario e paternalista, ostile alle idee moderne che davano importanza all’individuo e riconoscevano la sua maggiore età, la sua autonomia morale.

Dopo l’esperienza della Seconda guerra mondiale, e tutto il danno che è stato fatto perché tanta buona gente non ha fatto niente, o ha cooperato con il male, convincendosi che l’autorità che lo ordinava era legittima e che quindi bisognava semplicemente obbedire, c’è stata tutta un’evoluzione, anche sul pensiero della guerra.

Nella Gaudium et spes è stata introdotta l’idea dell’obiezione di coscienza, ma in modo molto diplomatico, nell’ottica di rispettare chi fa questa scelta.

È interessante la pastorale dei vescovi statunitensi dell’83, The Challenge of Peace, che mette quasi sullo stesso piano la scelta pacifista e la teoria della guerra giusta. Secondo questa visione, un cristiano può scegliere questo o quello come fossero sullo stesso livello, e l’obiezione di coscienza (riguardo all’uso della violenza) non si pone più fuori dalla teologia ufficiale.

Certamente, alcuni cristiani rimangono scettici rispetto a questa evoluzione e questo testo dei vescovi statunitensi. Dal punto di vista più paternalista, se la guerra non è giusta, questo dovrebbe essere evidente al vescovo che ti dirà cosa fare: non è compito tuo stabilire la giustizia o meno di una guerra, e se i vescovi non si sono pronunciati, non spetta a te dirlo o dubitare della decisione del principe o del governo di turno.

C’è sempre chi preferisce vedere, quando il singolo parla di coscienza, una razionalizzazione di un comportamento egoista. C’è chi, addirittura, adotta un atteggiamento cinico ogni volta che si usa la parola “coscienza”: ad esempio qui, chi vede l’obiettore come un free loader, un “sanguisuga” che in fin dei conti approfitta della giustizia, pace o prosperità che gli procura la morte del suo fratello soldato, senza dover rischiare niente.

È ovvio, specialmente con il magistero di papa Francesco, che questo cinismo rispetto all’invocazione della coscienza sta diminuendo in alcuni ambiti ecclesiali. Quindi, c’è stata una maturazione come Chiesa, anche se restano dei passi da fare.

Sicuramente, c’è una responsabilità nell’affermare l’obiezione di coscienza; non basta dire: seguite la vostra coscienza. È necessario che la gente sia davvero formata. Oggi le persone si informano su Internet, basandosi a volte su dicerie e “bufale”; invece per formare la coscienza ci vogliono notizie vere e analisi attente dei fatti, cose difficili da reperire.

Oggi neanche le grandi agenzie riportano certe vicende umane importanti (ad es. le violazioni di diritti umani nella Repubblica Centrafricana, nello Yemen…). Perciò, non bisogna essere ingenui e pensare che il cittadino medio possa assorbire, digerire e discernere cosa fare per promuovere la vera pace, di fronte a un mondo così violento e complesso, senza un vero accompagnamento spirituale e morale.

Senza cadere di nuovo nel paternalismo e nel cinismo che non prendono sul serio l’intelligenza e la buona volontà del singolo, non bisogna dimenticare che il cittadino medio si intende poco di geopolitica, e preferisce vedere cose più piacevoli su Internet e sui media, i quali non forniranno gli strumenti per una cittadinanza attiva e una saggia militanza a favore della pace.

Prima lo Stato gestiva forse in modo paternalistico la comunicazione, però nelle democrazie, in generale, si davano delle informazioni abbastanza obiettive alla gente; oggi tutto dipende dai soldi della pubblicità e si preferisce dare informazioni che fanno scalpore. In questo contesto, si fa fatica a fare discernimento e viviamo in una sorta di campana di vetro; non andiamo ad approfondire determinate notizie.

Perciò, credo che l’obiezione di coscienza e ogni impegno serio a favore della pace abbiano senso se accompagnate da una sorta di ascesi nella quale apriamo gli occhi del cuore costantemente alla sofferenza del mondo, e lasciamo aperta in noi questa ferita, invece di vivere sereni e contenti illudendoci che nel mondo tutto va abbastanza bene, e basta non fare niente per essere “pacifici”.

Occorre fare uno sforzo, informarci delle cose che gli interessi economici non vogliono che seguiamo, e poi fare un’obiezione di coscienza intelligente.

 

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