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Afghanistan, pochi diritti ma molto shisheh

di Bruno Cantamessa

- Fonte: Città Nuova

Bruno Cantamessa Autore Citta Nuova

La questione Afghanistan dopo l’abbandono degli occidentali è spesso compresa in modo riduttivo. Fondamentale il problema dei diritti umani non considerati, ma molto grave è anche la questione della droga (eroina e metanfetamine) che dall’Afghanistan, da sempre, dilaga su tutto il pianeta.

I contadini afghani lo chiamano oman, sul mercato della droga si chiama shisheh. Dopo una lavorazione non troppo difficile si ottengono quelle che in occidente sono conosciute come metanfetamine. In origine è un arbusto, l’efedra, che cresce nelle zone montuose dell’Afghanistan meridionale, zona talebana anche durante il ventennio di occupazione Usa e alleati.

Si tratta di una pianta a bacca rossa e contiene una quantità incredibile di pseudoefedrina, estraibile a bassissimo costo e homemade. Dal 2015 ad oggi la produzione afghana di shisheh ha superato nelle esportazioni clandestine il già rinomato oppio da papavero, dal quale si ottiene l’eroina più diffusa in tutto il mondo. La domanda di metanfetamine, e quella di captagon in particolare, è talmente forte che il prezzo dello shisheh che serve come base per produrle è triplicato in pochi anni. Il captagon, per la cronaca, è un’anfetamina popolare in Medio Oriente, in particolare nel Golfo: è stato soprannominato la “droga della jihad” (o la droga dell’Isis) per l’uso molto diffuso tra i combattenti per il jihad, la guerra santa.

Le notizie di un massiccio incremento dell’esportazione di metanfetamine derivate da shisheh e di provenienza mediorientale si stanno moltiplicando. Risale a luglio 2020 la scoperta a Salerno da parte della Guardia di Finanza italiana di tre container su una nave proveniente dal porto siriano di Latakia. Nei container vi erano ufficialmente delle grandi bobine di carta, ma arrotolate nella carta c’erano 84 milioni di pillole di captagon per un peso di 14 tonnellate e un valore stimato in oltre un miliardo di euro.

A gennaio 2021, a Sidney in Australia la polizia ha arrestato due cittadini iraniani che si erano fatti spedire 250 chili di metanfetamine per un valore di circa 120 milioni di euro.

Il 23 aprile scorso due fratelli libanesi sono stati arrestati dalla polizia saudita per traffico di stupefacenti: stavano tentando di introdurre in Arabia 5,3 milioni di pillole di captagon nascoste in un carico di melagrane sequestrato a Gedda. Le autorità saudite hanno subito bloccato l’importazione di prodotti agricoli dal Libano, che è il principale fornitore di frutta e verdura del Paese, provocando la disperazione degli agricoltori libanesi, che già vivono in una situazione difficilissima per il crollo dell’economia nel loro paese. Ma l’Arabia saudita sembra al centro di un massiccio export che non riguarda solo questo episodio. Il 26 giugno sempre a Gedda intercettato un carico di 14 milioni di pillole di Captagon nascoste fra lastre di metallo, di nuovo provenienti dal Libano. E un carico minore, ma non trascurabile, di 100 mila pillole è stato scovato qualche giorno dopo a Beirut in una fornitura di apparecchi elettromedicali in partenza per l’Arabia.

L’ultimo esempio riguarda l’India e la notizia risale a metà del mese di settembre: la polizia ha intercettato in un porto del Gujarat un carico di eroina afghana di circa 3 tonnellate (valore 2,4 miliardi di euro). La droga era nascosta in due container, imbarcati al porto iraniano di Bandar Abbas, che contenevano talco semilavorato come merce ufficiale.

Da questi esempi, perchè sono solamente esempi anche se particolarmente inquietanti, si intravede che alle spalle di queste forniture c’è una grossa produzione di shisheh e di oppio, che avviene in Afghanistan. Poi ci sono dei laboratori di trasformazione che si trovano con molta probabilità soprattutto in Iran e Siria, forse anche in Iraq e Libano. Quindi c’è la commercializzazione e il trasporto, con destinazioni sia in Medio Oriente che altrove (Asia, Oceania, Europa).

L’Afghanistan talebano alla luce di questi fatti assume connotati che vanno ben oltre le questioni legate ai diritti umani o ad una visione religiosa più o meno aperta al terrorismo jihadista. Perché il ricatto che si può intravede dietro le posizioni del governo talebano è molto grave. O ci sarà il riconoscimento del loro governo e lo sblocco dei fondi e degli aiuti, non solo umanitari ma anche finanziari, o il flusso mortifero della droga non si fermerà. E crescerà.

È l’eterno problema del contrasto alla droga quello che nessuno ha quasi mai voluto affrontare in Afghanistan. E chi ci ha provato (anche i talebani in passato) si è limitato a distruggere un po’ di coltivazioni. Come se distruggere, in un posto dove ci sono 230 mila ettari di coltivazioni di papavero, senza l’impianto di solide alternative, possa risolvere qualcosa. E senza sostenere, in nome delle sanzioni, la lotta al narcotraffico che l’Iran cerca di portare avanti nonostante tutto, non si esce da un problema tremendo che non affligge solo la regione, ma l’intero pianeta.

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