Ci risiamo. Grande eco mediatica viene data al caso della giovane donna pakistana, Saman Abbas, scomparsa e con tutta probabilità uccisa dai familiari, semplicemente perché aveva rifiutato di sposare il partito scelto dalla sua famiglia. La ragazza aveva invece un suo piccolo amore, e non voleva a nessun prezzo sottostare alla tradizione di certe culture della sua patria d’origine. Grande clamore, grandi condanne – e ci mancherebbe! −, ma anche grande ignoranza della cultura da cui questa giovane proveniva. Quando un giornalista o un opinionista in mal di popolarità addita la religione, quella islamica in particolare, come causa della brutalità manifestata dalla famiglia di Saman, si proferiscono emerite sciocchezze. Certo, la religione islamica spesso e volentieri veicola comportamenti e tradizioni intollerabili per le nostre società dei diritti, maturate nei secoli, non nei decenni. Ma la stessa religione musulmana in altri contesti non si fa portatrice di tali tradizioni. La stragrande maggioranza delle moschee italiane, ad esempio, non si fa assolutamente portavoce di tali culture, conoscendo cambiamenti notevolissimi anche in pochi anni. Sono le culture “tribali” che provocano questi danni, non la religione: a Novellara vi sono ambienti che rimangono assolutamente impermeabili all’esterno, confondendo bellamente origini religiose e origini culturali di certi comportamenti.
Ora, in Pakistan, al di là delle tradizioni religiose diverse, il matrimonio in sé riveste un’impostazione totalizzante nella vita delle persone. Le feste di sposalizio sono sontuosamente esagerate, durano anche più di una settimana, ed è frequente il caso di famiglie che, per sposare le figlie, s’indebitano per la vita, e talvolta anche per quella di figli e nipoti. Per far fronte alle ingenti spese di un matrimonio, delle famiglie povere letteralmente si vendono a strozzini che le sfrutteranno per decenni, senza che vi sia la minima speranza di riscatto. In questo contesto, la promessa di matrimonio è la chiave di volta del sistema sociale, la via che può permettere a una famiglia di soccombere alla miseria o di uscirne. A Karachi avevo conosciuto un celebre social worker pakistano, Madre Teresa dei musulmani lo chiamavano, che aveva trovato un suo modo di salvare queste ragazze che, a centinaia, anche nel suo Paese rifiutavano i matrimoni preconfezionati: Edhi Abdul Sattar adottava con sua moglie Bilquis migliaia di ragazze per dar loro dignità familiare, evitando che iniziassero storie matrimoniali tragiche.
Tutto ciò non giustifica minimamente il giudizio su un atto delinquenziale che, soprattutto in contesto occidentale appare per quello che è: un’aberrazione inqualificabile. Ma forse aiuta a capire meglio perché certe cose possano ancora accadere. Mentre queste stesse conoscenze permettono di riflettere sulle capacità di integrazione per figli di culture così diverse dalle nostre. A Novellara tali riflessioni, ad esempio, non possono essere evitate, vista la concentrazione di contadini stranieri provenienti dal subcontinente indiano, che siano sikh, musulmani o indù, e anche giainisti. A ben guardare, sono due gli elementi che possono aiutare una vera integrazione ed evitare così dérapage come quello di Saman. Si tratta della scuola – Saman stessa ne è un esempio – ma anche la religione, che ha straordinarie potenzialità di convincimento nell’armonizzare gli opposti. Questi due fattori possono arrivare dove non arrivano la legge e la politica, che pur sono indispensabili, ma non riescono ad entrare nell’animo e nella coscienza della gente. Un imam illuminato può più del sindaco o del giudice, un maestro lungimirante può scardinare le trappole di certe culture violente.
p.s. Un discorso difficile da fare è quello di dar tempo alle singole culture per cambiare in base alle condizioni ambientali diverse. Casi del genere accadevano in certe regioni dell’Italia 50-60 anni fa appena…