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Il vangelo e la Cina, un sogno che non è utopia

di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

Essere ponte in tempo di conflitti. L’incontro tra cultura cinese e annuncio cristiano che va oltre le barriere, nella presentazione del libro di Chiaretto Yan con la partecipazione di Agostino Giovagnoli, Federico Lombardi, Antonio Spadaro e Gianni Valente

Cattolici cinesi a San Pietro. ANSA / DANILO SCHIAVELLA

«Chi decide di essere ponte tra culture diverse corre il rischio di essere incompreso e frainteso, di restare “calpestato”» . Così Chiaretto Yan ha definito il senso del suo libro, che racconta il sogno di un cristiano cinese che non si rassegna alla logica dei muri che sembra prevalere oggi nella guerra mondiale a pezzi.

Nella narrazione comune prevalgono le tesi geopolitiche sull’inevitabilità dello scontro bellico (la cosiddetta “trappola di Tucidide”) tra la calante potenza egemone statunitense  e quella ascendente della Cina, che sa attendere il tempo propizio provenendo da una civiltà millenaria che ha sempre attratto e allo stesso tempo impaurito quello che noi chiamiamo Occidente.

Una categoria questa di Occidente che non può coincidere e limitare la realtà di una Chiesa cattolica, cioè universale, chiamata costantemente a comprendere meglio il messaggio evangelico nella storia, superando la tentazione di accomodarsi in categorie culturali che alla fine rischiano di sminuire la novità permanente della “buona notizia” che ha segnato la vita di Chiaretto Yan, battezzato a 16 anni dopo l’incontro con la realtà originale dei Focolari, un movimento di forti radici cattoliche e perciò aperto all’ideale di un mondo unito, che non conosce altra legge che la fraternità sperimentata dentro i contesti più diversi. Una prospettiva che può generare irrisione per la sua ingenuità ma anche, comprensibilmente, sospetti di pericoloso irenismo.

Con il suo sorriso Yan (nato a Shanghai, docente presso la University Saint Josef di Macao e il seminario nazionale della Chiesa cattolica a Pechino) dimostra di non aver timore di aver intrapreso questa strada da cui nasce il libro Il mio sogno cinese. Dialoghi e incontri con il cristianesimo (Ancora editrice), presentato a Roma la sera del 16 dicembre 2025, presso la sala Marconi della Radio Vaticana mentre gli ultimi pellegrini si avviano verso San Pietro nel Giubileo della Speranza che volge al termine, tra le luci del Natale che continuiamo a celebrare nella data delle antiche divinità solari dell’Impero romano.

La presentazione del testo si è rivelata una lezione straordinaria di storia e teologia alla ricerca dei “segni dei tempi” grazie all’autorevolezza degli intervenuti, a cominciare da Gianni Valente, direttore dell’Agenzia Fides, per continuare con il professor Agostino Giovagnoli, dell’università Cattolica di Milano, e due padri gesuiti che non possono mancare quando si parla di Cina, Federico Lombardi, attuale presidente della Fondazione vaticana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, e Antonio Spadaro, sottosegretario del Dicastero pontificio per la Cultura e l’Educazione.

Foto CGA

 Dalle loro riflessioni è emersa l’importanza del lavoro di Yan nel complesso e affascinante rapporto tra una delle più antiche civiltà del mondo e una realtà universale come quella cristiana, esplorando correnti di pensiero profonde capaci di ribaltare le nostre certezze segnate dalla semplificazione della inevitabilità dello scontro di civiltà.

Scontiamo, d’altra parte, in Occidente una completa rimozione del passato coloniale (si pensi all’odiosa guerra dell’oppio) nel rapporto con il gigante cinese di cui si è atteso e temuto il risveglio.

Viviamo oggi in un tempo in cui, come ha osservato il professor Agostino Giovagnoli, “il vento soffia in una direzione opposta” al dialogo. La logica dominante, cristallizzata in documenti come il recente National Security Strategy americano, sembra tornata a un paradigma basato sulla “legge del più forte”. In questa visione, contano solo “affari e armi”, una logica che, nelle parole di Giovagnoli, “esclude completamente il dialogo” dal proprio orizzonte, considerandolo irrilevante.

Emerge qui il paradosso centrale della diplomazia contemporanea: proprio perché il contesto è così ostile, l’importanza del dialogo non diminuisce, anzi aumenta. Praticarlo quando tutto spinge allo scontro non è un esercizio sterile, ma un atto di resistenza, la costruzione attiva di un’alternativa concreta alla logica della forza. Il suo valore è “in sé”, perché trasforma prima di tutto chi vi partecipa e crea “energie di pace”.

Questa non è una speranza astratta, ma una lezione strategica. Giovagnoli definisce l’accordo tra Santa Sede e Cina del 2018 come “provvidenziale”, perché raggiunto in una finestra di opportunità che oggi, in un clima internazionale più teso, “forse non sarebbe più possibile”. Il dialogo, quindi, non è una reliquia del passato, ma una necessità per il futuro, un modo per “tenere aperta una porta alla speranza” e per cogliere occasioni che potrebbero non ripresentarsi mai più.

Il titolo stesso del libro, Il mio sogno cinese, potrebbe suonare ingenuo in un’epoca dominata dal cinismo. Ma, come ha spiegato padre Federico Lombardi, questo sogno non ha nulla a che vedere con un ottimismo superficiale. È piuttosto l’intreccio di tre grandi visioni: il sogno del popolo cinese di recuperare dignità e armonia; il sogno di papa Francesco di un mondo fraterno; e il sogno personale di Chiaretto Yan, che li unisce.

Questa prospettiva si oppone frontalmente alla “paura dei cinesi e della Cina”, che per anni è stata instillata nell’opinione pubblica occidentale. La forza di questa visione non sta nella sua presunta ingenuità, ma nel suo profondo radicamento in una fede esplicita. Padre Lombardi ha indicato la radice ultima di questo coraggio nella visione cristiana della Trinità, descritta come una “dinamica di relazioni di amore che alla fine fondano tutto“. È questa la solida roccia che permette di sognare a occhi aperti, anche quando la realtà sembra remare contro. In questo senso è quanto mai attuale l’esempio del gesuita italiano Matteo Ricci, ma anche di una figura poco conosciuta evocata nell’incontro: il funzionario e matematico Xu Guangqi, controparte e poi amico di Ricci, convertitosi al cristianesimo senza rinunciare al confucianesimo. Traduttore in cinese della geometria euclidea e dell’opera di Confucio in latino.

In questo contesto, scegliere di “sognare” l’incontro non è un’evasione. È una scelta coraggiosa che sfida attivamente la narrazione prevalente della diffidenza e del sospetto, affermando che un’altra via è possibile.

Padre Spadaro ha affrontato infine la questione controversa della “sinizzazione“, un termine che in Occidente è solitamente interpretato come un programma politico dei vertici della Repubblica popolare cinese di asservire le religioni al controllo dello Stato, mentre l’ex direttore de La Civiltà cattolica ha offerto una prospettiva spiazzante, definendola una “sfida teologica di prima grandezza”. Per quasi duemila anni, il cristianesimo si è pensato ed espresso principalmente attraverso le categorie filosofiche greche e latine. La sinizzazione, in questa luce, non è solo un adattamento, ma un’opportunità storica: quella di ripensare il Vangelo attraverso le lenti di una civiltà differente, con categorie come l’armonia, la relazione e il Tao.

Per cogliere la portata di questa idea, argomenta Spadaro, non basta partire da Matteo Ricci, ma bisogna tornare “molto più indietro”, al VI-VII secolo. L’antica Via della Seta non era solo una rotta commerciale, ma una “via religiosa” dove monaci cristiani, manichei e buddisti si incontravano, dialogavano e assumevano reciprocamente il linguaggio per esprimere le proprie teologie in un contesto plurale. Quel cristianesimo antico fu disposto a un dialogo fecondo, dimostrando che l’ibridazione culturale è parte della sua tradizione autentica in Asia, non una concessione moderna.

Il punto chiave è un capovolgimento di prospettiva: la vera domanda non è più cosa la Chiesa possa fare per la Cina, ma come il cristianesimo cinese possa contribuire alla Chiesa universale. Una sfida già intuita dall’allora cardinale Ratzinger: «Apparirà un giorno un cristianesimo asiatico o cinese, così come apparve un cristianesimo greco e latino…?».

Vedere la sinizzazione in questo modo la trasforma da concessione tattica a necessità teologica, una prova vivente dell’universalità del vangelo, capace di abitare ogni cultura senza essere prigioniero di nessuna.

Una visione che va oltre l’inculturazione. La vitalità dei seminari cattolici in Cina e la fede autentica e contagiosa dei milioni di cattolici cinesi dimostrano la perenne novità dell’annuncio cristiano, che non si lascia ingabbiare in formule storiche e culturali predefinite.

Un incontro molto ricco, quindi, reso possibile dal coordinamento di Gianni Valente che, dirigendo una agenzia di stampa con gli occhi aperti sul mondo, ha saputo costruire la cornice tematica dell’incontro, fornendo profondità storica, offrendo una prima e acuta analisi del testo e, infine, guidando gli interventi attraverso domande strategiche che hanno toccato i nodi cruciali della proposta del dialogo della vita, che come ha fatto notare Spadaro non può essere ridotta alle dinamiche dei rapporti tra il Vaticano e i vertici della Repubblica popolare cinese.

Di sicuro si è capito che l’annuncio evangelico non passa secondo le dinamiche di potenza e attraverso le cannoniere, ma attraverso la testimonianza mite e disarmata che abbatte muri e genera ponti.

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