Don Gaspare Goggi è stato dichiarato venerabile per avere vissuto le virtù cristiane in modo eroico. Quale virtù ha esercitato più di tutte?
È stata la fedele conformazione a Cristo e soprattutto a Cristo crocifisso. Come Gesù, Don Gaspare Goggi fu paziente e forte nell’accettare e nel far fronte all’importante limite della malattia fisica che, dai 14 anni in poi, condizionò la sua vita. L’anemia perniciosa, allora incurabile non essendo conosciuta ancora la vitamina B12, lo crocifisse per tutta la vita con periodi di incapacità di nutrirsi, di difficile concentrazione, di esaurimento delle forze fisiche, psichiche e spirituali. Eppure, Gaspare ha avuto una vita intensa di studente all’Università di Torino, di insegnante e formatore, di religioso di grande pietà e di sacerdote zelante; fu rettore della chiesa di Sant’Anna dei Palafrenieri in Vaticano, fu co-visitatore nei seminari di Sicilia ai tempi di san Pio X, fu confratello di fiducia di Don Orione nella fondazione della Congregazione.
Tutto ciò durò fino a quando, nel maggio 1908, la salute ebbe un crollo rapido e inarrestabile fino a lasciarlo in uno stato di grave debilitazione fisica e depressione psichica. Ancora nella sua ultima lettera ad un sacerdote amico chiede di «pregare per me, acciocché io uniformi pienamente la mia volontà a quella del Signore che si compiace provarmi con l’infermità».
Fu ricoverato all’ospedale di Alessandria, sotto la diretta osservazione del dott. Frigerio, primario del reparto psichiatrico, amico di Don Orione. È ricordato che «essendogli stato consigliato di deporre l’abito talare, Gaspare si inginocchiò e con visibile dolore si svesti e baciò la talare». Lasciò quella veste che amava tanto: era la sua identità e la sua missione. La sua missione, ora, era in croce. Morì dopo 5 giorni, il 4 agosto 1908.
Ferruccio Antonelli, già presidente della Società Italiana di Medicina Psicosomatica, dopo aver letto la sua storia con l’occhio della scienza, scrisse: «In don Goggi il sacerdote ha prevalso sul malato. Qualunque impiegato (e forse anche qualche religioso) avrebbe chiesto un’aspettativa, ma don Goggi sarebbe stato (e lo è stato) capace di restare al suo posto e al suo sacro lavoro, malgrado lo “sfacelo” con quell’eroismo che è la parola chiave nei processi di beatificazione. A mio modesto parere, è proprio in questa sfida della fede alla patologia una delle prove più suggestive e convincenti della santità di Don Goggi».

Don Gaspare Goggi (foto da don Flavio Peloso)
Che rapporto c’era tra don Gaspare e don Orione? C’è un episodio particolare della loro vita che può raccontare?
Quando la famiglia si trasferì a Bettole (Alessandria), Gaspare frequentò il ginnasio in Tortona. Frequentava il duomo, serviva messa, e qui conobbe il chierico Luigi Orione. Prese ad aiutarlo nell’oratorio da lui fondato e nel Collegetto per i ragazzi poveri. Questo contatto lo aiutò sulla strada del sacerdozio.
Si consacrarono insieme all’altare della Madonna del Buon Consiglio in cattedrale. Don Orione non dimenticò mai quell’episodio. Gaspare, di 16 anni, confidò al chierico Orione di 21: «Vengo con te. Quando inizierai l’opera della Divina Provvidenza, ci sarò anch’io. Conta su di me». Orione rimase sorpreso e confuso a quel gesto del giovane amico. «Vieni con me», gli disse. E lo portò nel vicino duomo, ad entrambi caro e familiare. All’altare della Madonna del Buon Consiglio, si inginocchiarono e recitarono tre volte l’Ave Maria. E si diedero la mano con un bel sorriso.
Fu un patto mantenuto. Don Orione contò sempre e molto su Don Gaspare Goggi. Un giorno gli scrisse: «Con nessuno mi spiego così schiettamente come con te e con Sterpi (l’altro collaboratore degli inizi): credo anzi che il Signore mi abbia dato voi due che vi intendete e vi amate così bene, come due braccia, uno per la pietà, l’altro per lo studio, senza escludere che siate le due lire che non manderanno che un suono».
Ripercorrendo la vita del venerabile si nota come, attraverso il suo servizio alla chiesa abbia fatto un’esperienza forte di «sentire cum ecclesia», vivendo profondamente il quarto voto professato dalla Piccola Opera della Divina Provvidenza. Ce ne può parlare?
Lo speciale amore alla Chiesa e al papa è una nota tipica della spiritualità di Don Gaspare Goggi. Non solo «sentire cum ecclesia» ma «sentire ecclesiam» concentrando ad essa l’affetto, l’insegnamento e l’azione. Usò le sue notevoli capacità intellettuali per l’apologia della verità e le energie pratiche per l’apologia della carità. Aveva una visione organica e vitale della «santa Madre Chiesa», con «profonda venerazione verso i vescovi» e verso il popolo cristiano che servì con sacrificio di amore. «Siamo un corpo solo in Cristo. Siamo un corpo solo nel papa».
Per lui ebbe un significato simbolico altissimo l’essere stato chiamato come rettore della chiesa di Sant’Anna dei Palafrenieri dal 1904 fino alla morte, «luogo che ha la fortuna d’essere proprio sotto gli occhi del Papa».
La fragilità della salute di don Goggi non gli ha impedito di rispondere con generosità e dedizione alla chiamata di Dio nel suo apostolato negli ambienti culturali e tra le persone indigenti. Cosa dice la sua testimonianza a noi oggi?
«Il santo è un uomo, che non blocca lo sguardo verso la luce di Dio con l’ombra del suo essere personale, ma che invece, attraverso la purificazione della sua esistenza, è diventato una specie di finestra che, da questo mondo, ci lascia vedere la luce di Dio». Queste parole di Benedetto XVI descrivono la caratteristica più evidente della vita del Servo di Dio Gaspare Goggi: la sua trasparenza divina, il suo cristocentrismo.
Don Gaspare fu «trasparente» non solo in senso morale, ma teologico. Cioè, per l’esperienza della grazia di Dio e per l’ascesi del «rinnega te stesso», accentuata dalla croce della malattia, la sua umanità risultò divinizzata e per questo manifestava Dio a chi lo incontrava. Le testimonianze negli atti della causa di canonizzazione vanno in questo senso.
La sua esperienza di santità ricorda a noi impacciati nell’evangelizzazione che essa avviene non tanto con il nostro protagonismo di programmi e strategie, quanto piuttosto per trasparenza della presenza di Dio nella nostra persona, acquisita – poco o tanto – mediante l’amore alla croce («cupio dissolvi») e la carità verso il prossimo che svuota di sé e riempie di Dio.
Come postulatore e confratello di don Gaspare, come ha vissuto l’iter della causa?
È stata una grande grazia, una grande commozione, una grande responsabilità. Per tanto tempo la causa di don Gaspare Goggi era stata rinviata e quasi trascurata per varie ragioni. Ma Don Orione stesso l’aveva voluta iniziare.
Durante lo studio dei suoi scritti, delle testimonianze e dei documenti sono entrato in un’empatia con lui che mi ha fatto del bene. Mi viene a pensare a quanto espressero don Sterpi e don Orione, la santa triade della fondazione, quando Goggi aveva solo 21 anni. Il primo scrisse al secondo: «È veramente un santetto, senza restrizioni. Ad una attività straordinaria unisce una carità da angelo». E don Orione confermò: «Goggi è quello che ci imbarca tutti, a quanto pare!», ci supera tutti in santità. Oggi uno è santo e gli altri due venerabili.