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Dalle periferie nasce l’alternativa all’economia di guerra

a cura di Carlo Cefaloni

Carlo Cefaloni

Cosa può insegnare all’Europa il percorso realistico di pace di una comunità attiva e responsabile. Alcune riflessioni a partire dall’evento “Segnali da  un futuro possibile” promosso ad Iglesias dal 14 e 15 novembre 2025. Intervista alla studiosa Chiara Bonaiuti

L’immagine di una manifestazione del Comitato Riconversione Rwm (Foto Comitato Riconversione RWM)

Abbiamo sentito Chiara Bonaiuti, ricercatrice presso l’IRES Cgil Toscana, per discutere della sua recente partecipazione all’evento “Segnali da un futuro possibile”, tenutosi a Iglesias, in Sardegna il 14 e 15 novembre 2025.

In un momento storico in cui il dibattito europeo sembra dominato da una logica di riarmo e conflitto, l’esperienza della rete Warfree nel Sulcis Iglesiente emerge come un potente controcanto. Qui, una comunità territoriale non si è limitata a protestare contro un’economia di guerra, ma ha iniziato a costruire attivamente alternative concrete e praticabili.

L’obiettivo di questa intervista è comprendere a fondo le lezioni che emergono da questa esperienza paradigmatica e valutare il potenziale di questi modelli nati dal basso per ispirare un cambiamento più ampio, offrendo un messaggio di speranza, responsabilità e immaginazione che sfida l’attuale inerzia politica.

Dottoressa Bonaiuti, lei ha partecipato all’iniziativa “Segnali da un futuro possibile” a Iglesias. Può raccontarci qual è stata la sua esperienza?

Sono stata invitata a Iglesias per tenere un breve intervento sull’impatto delle spese militari in confronto ad altri tipi di investimenti sociali, come l’istruzione e la sanità. Quell’occasione si è rivelata una straordinaria opportunità per conoscere il gruppo Warfree. La mia prima impressione è stata quella di un gruppo estremamente vivace, che ci ha accolto a braccia aperte.

Siamo stati lì due giorni e loro si sono presi cura di noi passo dopo passo, dalla colazione del primo giorno fino alla cena dell’ultimo. È un impegno notevole per un’organizzazione di volontari, e questo spirito di accoglienza e dedizione ha immediatamente aperto dei veri e propri “segnali di speranza”. Ciò che mi ha colpito fin da subito è stato il bellissimo dialogo intergenerazionale che animava l’evento, magnificamente rappresentato da una “mostra vivente di pace” che ha accompagnato il convegno, curata con passione da ragazzi molto giovani. Questo spirito vibrante e accogliente, ho presto capito, si fondava su una base di risultati notevoli e concreti.

Il comitato Riconversione Rwm, che poi ha dato vita alla rete Warfree, è noto per essere riuscito a bloccare dal 2019 al 2023 l’esportazione verso l’Arabia Saudita di armi prodotte localmente da una multinazionale tedesca. Qual è il significato profondo di questa azione e quale messaggio trasmette?

Il messaggio è potentissimo. Il comitato, sostenuto da reti associative nazionali e internazionali, è riuscito a far sospendere dal governo l’esportazione di munizioni, bombe e droni kamikaze prodotti localmente verso zone di conflitto, come lo Yemen, un teatro di guerra che ha causato centinaia di migliaia di vittime. La cosa più significativa è il modo in cui ci sono riusciti: non con una semplice protesta, ma esigendo l’applicazione del diritto esistente.

Hanno fatto ricorso alla nostra Costituzione, alla legge 185/90 sull’esportazione di armamenti e alle norme internazionali. In questo senso, hanno letteralmente sopperito alle lacune e alle inerzie dei governi, applicando un principio di responsabilità che è intrinseco alla legge stessa, la quale ci rende tutti, in qualche modo, responsabili. Si sono fatti carico di un dovere che le istituzioni stavano trascurando. Questo primo messaggio – che i cittadini possono e devono pretendere l’applicazione della legge – è incredibilmente potente, ma è stato accompagnato da un messaggio altrettanto ispiratore su ciò che è possibile costruire dopo aver detto no alla produzione di morte.

Oltre alla protesta, l’evento ha messo in luce una serie di proposte alternative per il territorio. Quali sono state le idee più significative e, soprattutto, quanto sono realistiche?

La creatività che è emersa durante l’evento è stata straordinaria. Le proposte sono nate dalla collaborazione di un gruppo eterogeneo di persone – accademici, insegnanti, studenti, cittadini e giovani – che hanno immaginato alternative concrete non solo alla produzione di armi, ma anche all’impatto negativo che le basi militari hanno sulla salute e sull’ambiente del territorio.

Quello che colpisce è che non si tratta di sogni irrealizzabili. Alcune di queste soluzioni imprenditoriali hanno già superato la fase di validazione del business plan. Ecco alcuni degli esempi più significativi:

  • Energia pulita e rinnovabile: La proposta di un parco eolico per sfruttare le risorse naturali del territorio.
  • Turismo alternativo: La valorizzazione del parco geominerario locale, un progetto portato avanti con grande ostinazione da alcuni cittadini.
  • Agroalimentare: La promozione e commercializzazione, anche all’estero, dei prodotti tipici del territorio attraverso un marketing adeguato.
  • Lavoro qualificato: La creazione di offerte di lavoro in smart working in zone di grande pregio ambientale, per attrarre talenti e promuovere un turismo di qualità.
  • Industria ittica: L’idea di creare un distretto specializzato nella lavorazione del tonno rosso.
  • Innovazione gastronomica: Un’idea tanto curiosa quanto intrigante come quella del “gelato ai funghi”.

L’aspetto straordinario non è solo la creatività di queste idee, ma quanto appaiano più reali e fondate rispetto al percorso che i nostri leader politici stanno attualmente perseguendo.

Lei ha descritto queste proposte come “più reali” di quelle dei leader politici europei. Può approfondire questo contrasto? In che modo la visione di Iglesias si scontra con l’attuale “militarismo” europeo?

Il contrasto è netto. Da un lato, a Iglesias, abbiamo visto proposte concrete, discusse e dotate di basi scientifiche e politiche. Dall’altro, vediamo i leader europei che adottano un approccio semplicistico, decidendo di spendere miliardi di euro in armamenti senza un’adeguata analisi di fondo. La differenza fondamentale è che queste idee vengono testate e messe alla prova sul campo, all’interno della comunità. Questo si scontra con le dichiarazioni di principio di molti attori politici, che spesso rimangono parole vuote, prive di una concreta realizzazione.

L’attuale leadership politica sembra soffrire di un profondo vuoto di idee, di un conformismo dilagante e di una totale incapacità di vedere strade alternative a quella dell’economia di guerra. Si parla persino di reintrodurre la leva militare obbligatoria, come se non esistessero altre opzioni. L’esperienza di Iglesias dimostra che le strade alternative non solo esistono, ma sono a portata di mano: richiedono semplicemente competenza e immaginazione, due qualità che in quell’incontro erano ben presenti. Non si tratta solo di un singolo territorio; si tratta di un modo fondamentalmente diverso di affrontare le tendenze insostenibili che definiscono la nostra epoca.

In conclusione, qual è la lezione più importante che un’esperienza come quella di Iglesias può offrire oggi? Qual è il “segnale” che arriva da questa “periferia”?

Il segnale più forte è che da quella comunità arriva una risposta integrata alle grandi tendenze insostenibili del nostro tempo. Le idee emerse non affrontano un solo problema, ma ne collegano diversi: l’aumento delle spese militari, la crescita dei conflitti, l’acuirsi delle disuguaglianze e l’emergenza climatica legata alle emissioni di CO2. Offrono soluzioni che tengono insieme economia, ambiente e pace.

Questa è una visione “anti-egemonica” che, pur provenendo da una periferia geografica e politica, ha la forza di aiutare tutti noi a immaginare un futuro possibile. L’evento di Iglesias ci ha ricordato una verità fondamentale: quando si immagina insieme, in qualche modo, si sta già creando un futuro.

Per questo, mi auguro con tutto il cuore che questa iniziativa venga sostenuta e valorizzata. E colgo l’occasione per riconoscere anche il lavoro di riviste come Città Nuova, che con estrema competenza, lucidità e coraggio continuano a indicare strade alternative in un periodo buio come quello che stiamo attraversando.

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