“ La riforma costituzionale della magistratura non è solo separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri “
La discussione pubblica sui temi della giustizia e dell’assetto della magistratura è sovente viziata, nel nostro Paese, da atteggiamenti polemici e faziosi, che non consentono di esaminare questi temi con la necessaria ponderazione e con il necessario equilibrio : si tratta di un vizio risalente nel tempo, in conseguenza del quale molti dibattiti intorno al funzionamento della giustizia e ai comportamenti della magistratura sono caratterizzati da posizioni preconcette e polarizzate in senso politico.
È comprensibile che ogni schieramento politico abbia le sue idee e le sue convinzioni sul sistema giudiziario e sul ruolo dei magistrati, ma ciò non dovrebbe alterare i termini reali delle questioni e soprattutto non dovrebbe impedire un confronto effettivo sul merito dei problemi, senza sovrastrutture e condizionamenti ideologici.
Questa premessa appare necessaria di fronte alla riforma costituzionale della magistratura approvata definitivamente dalle Camere il 30 ottobre scorso, con le procedure e le tempistiche stabilite dall’art.138 della Costituzione, che appunto riguarda l’approvazione delle leggi di revisione della Costituzione e delle altre leggi costituzionali, approvazione che segue ovviamente un percorso più lungo e più complicato di quello previsto per le leggi ordinarie. Infatti, anche in questo caso, di fronte ad una modifica di alcune norme costituzionali sulla magistratura, lo spirito di faziosità e di contrapposizione aprioristica sembra connotare molte delle posizioni assunte dalle forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione.
Ora, poiché questa riforma costituzionale è stata approvata con la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione, ma non con la maggioranza di due terzi, si farà luogo a referendum sulla stessa, dal momento che sono già state depositate ben quattro richieste da parte di parlamentari ( v. art.138, 2° e 3° comma, Cost. ) : dunque, sarà necessario che i cittadini chiamati a votare nel referendum vengano informati in modo esauriente e corretto sui contenuti della riforma e sul significato delle modifiche apportate ad alcuni articoli della Costituzione.
Il tempo per informarsi adeguatamente non manca, visto che il referendum si svolgerà non prima di marzo 2026, ma la complessità – e il tecnicismo giuridico – dei temi affrontati dalla riforma richiede da subito un impegno fattivo e costruttivo per una informazione completa e tendenzialmente obiettiva della cittadinanza ( si spera che anche il servizio pubblico radiotelevisivo farà la sua parte ). Il pericolo da evitare è che il voto popolare nel referendum non sia espresso sul merito delle modifiche apportate dalla riforma, ma sulla appartenenza politica e sugli slogan elaborati da ciascuno schieramento.
1.L’iter parlamentare e il testo della riforma approvato in via definitiva il 30 ottobre 2025.
Prima di analizzare il testo degli articoli della riforma, è opportuno precisare qualcosa sull’iter parlamentare della stessa : diversi commentatori hanno sottolineato in senso negativo la circostanza che il testo della riforma proposto inizialmente dal Governo non sia stato minimamente modificato nel corso dei lavori parlamentari, così da dar luogo a una vera e propria “blindatura “ del testo ( cfr. l’intervista di Francesco Grignetti all’ex magistrato Edmondo Bruti Liberati dal titolo “ Vogliono riformare i magistrati, non la giustizia – L’obiettivo è cambiare gli equilibri tra i poteri “, La Stampa dell’11 novembre 2025 ).
In questo modo, tra l’altro, non si è dato ascolto a rilievi formulati anche da esperti vicini all’attuale maggioranza di governo, come il consigliere laico del C.S.M. Felice Giuffrè, il quale proponeva correzioni del testo per smussare o risolvere alcune delle sue principali criticità : rilievi che, invece, non sono stati presi in considerazione, « perché bisognava fare tutto in gran fretta, senza che il Parlamento toccasse una virgola dell’unica riforma istituzionale che il governo sarà in grado di varare entro la fine della legislatura » ( così il giornalista Giovanni Bianconi nell’editoriale “ Errori e slogan sulla giustizia “, Corriere della Sera del 31 ottobre 2025 ).
È evidente che la fretta nell’approvare una legge di revisione costituzionale sia fuori luogo, laddove è molto opportuno consentire un ampio dibattito in Parlamento per permettere correzioni e miglioramenti del testo di una legge che modifica in alcune parti la Costituzione vigente.
- I punti salienti della riforma e le sue principali criticità.
Il testo della legge costituzionale approvato definitivamente dal Senato il 30 ottobre 2025 reca “ Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare “ : di fatto, però, è conosciuto quasi da tutti come legge costituzionale sulla separazione delle carriere tra giudici ( magistrati giudicanti ) e pubblici ministeri ( magistrati requirenti ). Partiamo da qui : è corretto qualificare questa riforma come la riforma che ha introdotto la separazione delle carriere in magistratura ?
Sì e no, a parere di chi scrive : nel senso che la riforma si occupa sì di separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, ma non solo di questo e gli altri contenuti della riforma sono quelli più qualificanti e nel contempo più preoccupanti, dal punto di vista costituzionale. Quindi, non è casuale che il titolo della legge costituzionale in esame non accenni alla separazione delle carriere, bensì – più in generale – alla disciplina dell’ordinamento giurisdizionale e, nello specifico, alla istituzione della Corte disciplinare.
Si condivide, al riguardo, l’opinione di chi ha osservato che « Nella legge c’è anche la separazione delle carriere, ma il piatto forte è lo sdoppiamento del Csm, il sorteggio tra i magistrati, lo scorporo della funzione disciplinare a favore di una Alta corte di disciplina». (E. Bruti Liberati nell’intervista a F. Grignetti sopra citata ).
Quanto alla separazione delle carriere in sé considerata, va detto che l’idea di introdurla nel nostro sistema è antica ed è stata corroborata dall’approvazione del codice di procedura penale di cui al D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447, noto come codice Vassalli dal nome del Guardasigilli che lo ha proposto : codice di stampo accusatorio fondato sulla parità delle armi tra accusa ( impersonata dal pubblico ministero ) e difesa, sul contraddittorio come principio regolatore del processo, sulla formazione della prova nel dibattimento.
Questi princìpi recepiti dal codice del 1988 sono stati poi rinforzati e introdotti in Costituzione con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, nota come legge sul “giusto processo “, che ha modificato l’art.111 Cost. aggiungendovi i primi cinque commi.
Proprio dal secondo comma dell’art.111, così come modificato dalla legge costituzionale n.2 del 1999, secondo il quale ogni processo si deve svolgere nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a “ giudice terzo e imparziale “, alcuni interpreti hanno desunto la necessità che il giudice abbia un differente status ordinamentale rispetto al pubblico ministero : anche se, invece, «L’attuale assetto normativo ha optato per una soluzione di compromesso – di separazione non delle carriere, ma delle funzioni – nel limitato senso di rendere eccezionali e presidiati da garanzie i passaggi dalla magistratura giudicante a quella inquirente e viceversa» ( così il giurista Glauco Giostra nel libro “ Prima lezione sulla giustizia penale “, nuova edizione, 2025, pag. 60 ).
Ecco affacciarsi la distinzione tra separazione delle carriere, introdotta con la riforma del 30 ottobre 2025, e separazione delle funzioni : ma quest’ultima, come accennato da Giostra, esiste già nel nostro ordinamento, in quanto con la c.d. riforma Cartabia dell’ordinamento giudiziario, approvata con legge 17 giugno 2022, n.71, è stata molto limitata la possibilità per un magistrato di passare dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti ( e viceversa ), passaggio consentito una sola volta nell’arco della carriera nei primi nove anni di esercizio delle funzioni e, solo in casi eccezionali, anche successivamente ( art.12 della legge 71/2022 ).
Quindi, già oggi il passaggio da giudice a pubblico ministero o da pubblico ministero a giudice è drasticamente limitato : infatti, i mutamenti di funzioni si attestano su percentuali molto esigue ( intorno all’1% ). Allora, se già è operante una separazione delle funzioni giudicanti e requirenti piuttosto stringente, è proprio necessario introdurre due “distinte carriere “, quella dei magistrati giudicanti e quella dei magistrati requirenti, come fa la legge costituzionale da poco approvata dal nostro Parlamento ?
A parere di chi scrive ciò non è necessario : e questa opinione è condivisa da un autorevole costituzionalista, secondo il quale la “separazione delle funzioni “ realizzata dal citato intervento legislativo del 2022 «appare ragionevole attuazione del principio della parità tra accusa e difesa nel processo» ( Marco Ruotolo, “ Separazione delle carriere – È possibile un confronto pacato ? “, Quotidiano del Sud del 16 novembre 2025 ).
Ciò premesso e rilevato che «Separare le carriere di giudice e di PM può voler dire caratterizzare professionalmente quest’ultimo come una sorta di ‘avvocato dell’accusa’, non portatore dell’interesse pubblico alla ricerca della verità…, ma strenuo sostenitore delle ragioni dell’imputazione prima e della condanna poi» ( ancora M. Ruotolo, articolo cit.), va pur detto che la separazione delle carriere in sé e per sé non è una misura anti-democratica e diretta univocamente a compromettere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura : è semmai, come già anticipato, una misura inutile nell’attuale contesto normativo e istituzionale, della quale non si ravvisa affatto la necessità.
Inoltre, ci sono gli altri aspetti della riforma in discussione che suscitano non poche perplessità, a cominciare dallo sdoppiamento del Consiglio superiore della magistratura in due, quello giudicante e quello requirente ( art.104, secondo comma, Cost., come modificato dall’art. 3 della nuova legge ). In questo modo si rischia che il pubblico ministero, separato dai giudici anche nell’organo di auto-governo, diventi un organismo auto-referenziale e lontano dalla cultura comune della giurisdizione ( così Gian Carlo Caselli e Vittorio Barosio nell’articolo “ Se la riforma dimentica la durata dei processi “, La Stampa dell’11 novembre 2025, ove gli autori prevedono che i P.M. diventeranno “ una sorta di ‘corpo separato’, senza contrappesi e libero da vincoli…” ).
Ancora, lo sdoppiamento del C.S.M. in due distinti organismi, uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri, rischia di indebolirne il ruolo e la funzionalità complessiva, con l’effetto che si mantiene sì la proclamazione dell’indipendenza della magistratura, sia di quella giudicante che di quella requirente, ma si riduce la tutela della stessa indipendenza da parte dell’organo, quale il Consiglio superiore della magistratura, che è chiamato a garantirla, la cui voce, a seguito dello sdoppiamento, risulterebbe ridimensionata ( in questo senso E. Bruti Liberati nell’intervista cit. ).
Questi pericoli ci sono e vanno – a mio parere – sottolineati, ma nel contempo si ribadisce che, allo stato, la riforma costituzionale in esame non colloca i pubblici ministeri fuori dalla giurisdizione e sotto il controllo del potere esecutivo : per giungere a questa nefasta conseguenza, essa sì in frontale contrasto con la garanzia di indipendenza dell’ordine giudiziario, occorrono altri interventi e altre modifiche costituzionali, ad esempio sul principio di obbligatorietà dell’azione penale ( art.112 Cost. : “ Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale. “ ).
Un altro punto critico, certamente opinabile, della legge costituzionale in questione è costituito dalla previsione del sorteggio come metodo per la selezione dei magistrati, sia giudicanti che requirenti, chiamati a far parte dei due Consigli superiori della magistratura di nuova istituzione. Ora, è opportuno ricordare che in base al testo attualmente vigente dell’art.104 Cost. i componenti “togati” ( cioè provenienti dalla magistratura ) del C.S.M., nella proporzione di due terzi dell’organo, sono “ eletti “ da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, mentre i componenti “laici” del Consiglio, nella proporzione residua di un terzo, sono eletti dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio ( art.104, quarto comma ).
Con la nuova legge costituzionale, invece, la predetta disposizione è modificata nel senso che i componenti togati di ciascun Consiglio, sempre nella proporzione di due terzi, sono “estratti a sorte “ tra i magistrati giudicanti e tra i magistrati requirenti, nel numero e secondo le procedure previsti dalla legge ; mentre i componenti laici di ciascun organismo, sempre nella proporzione di un terzo, sono sì estratti a sorte, ma «da un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e di avvocati con almeno quindici anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione» ( art. 3 della riforma, che così modifica il quarto comma dell’art.104 della Costituzione ).
Questa distinzione nella selezione dei membri laici e dei membri togati dei due C.S.M. non ha molto senso né giustificazione ed è stata evidenziata criticamente dai commentatori più attenti della riforma ( cfr. Michele Filippelli e Cataldo Intrieri, “ Una riforma per cancellare Montesquieu “, Domani dell’11 novembre 2025 ).
Più in generale il metodo del sorteggio, giustificato con la necessità di superare il sistema delle “correnti “ dei magistrati e le sue recenti degenerazioni in seno al C.S.M. (come disvelato dall’affaire Palamara, magistrato componente del Consiglio condannato in sede disciplinare alla sanzione più grave per una serie di comportamenti legati al conferimento di incarichi direttivi ), presta però il fianco a critiche ed obiezioni : ci si è domandati se per colpire le degenerazioni del sistema delle correnti, indubbiamente verificatesi nel periodo più recente, sia necessario sacrificare il valore del pluralismo culturale che pure le correnti in passato hanno rappresentato all’interno dell’organo di auto-governo della magistratura, o se invece questo valore possa essere salvaguardato con appropriati interventi legislativi volti a scongiurare le suddette degenerazioni patologiche delle correnti giudiziarie ( così M. Ruotolo nell’articolo cit. ).
Del resto, è pur vero che il sorteggio per designare i componenti togati del C.S.M. equivale a «un atto di sfiducia nelle capacità di autogestione dei magistrati» e che le correnti dei magistrati «sono state invece, storicamente, il principale fattore di democratizzazione della magistratura» ( così il giurista Luigi Ferrajoli, “ Il senso perverso della controriforma costituzionale “, Il Manifesto del 7 novembre 2025 ). Senza con questo voler sminuire la gravità dei fatti emersi negli ultimi anni riguardo alla “lottizzazione” tra le principali correnti di alcuni incarichi direttivi, in spregio delle regole e delle competenze dei candidati, è opinabile che il metodo del sorteggio sia l’unico strumento per evitare le degenerazioni del sistema delle correnti e che non sia invece possibile una “rigenerazione” del ruolo e dei compiti delle correnti medesime, che nel passato e per non breve tempo hanno assicurato all’interno del Consiglio superiore della magistratura una dialettica sana di posizioni e di atteggiamenti culturali.
La terza principale criticità del testo di legge costituzionale in esame è costituita dalla modifica dell’art.105 della Costituzione con l’attribuzione della giurisdizione disciplinare nei riguardi dei magistrati ordinari ad un organo nuovo e diverso dal CSM, ossia l’Alta Corte disciplinare ( art. 4 della legge ). La formulazione dell’art.105 ante-riforma è la seguente : «Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati».
Con la riforma, invece, le competenze di ciascuno dei due Consigli superiori sono private della materia disciplinare nei confronti dei magistrati, materia che è attribuita ad un organo di nuova istituzione, denominato Alta Corte disciplinare, composto da 15 giudici, dei quali 3 sono nominati dal Presidente della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio, 3 sono “estratti a sorte “ da un elenco di soggetti con i medesimi requisiti che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione, mentre 6 magistrati giudicanti e 3 magistrati requirenti sono “estratti a sorte “ tra gli appartenenti alle rispettive categorie con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità ( art.105 Cost., secondo e terzo comma, come modificato dalla legge costituzionale in esame ).
Le critiche nei confronti di questo nuovo sistema disciplinare si possono rivolgere – ancora – al metodo del sorteggio adottato per la selezione dei nove magistrati, giudicanti e requirenti, e dei tre componenti laici, estratti a sorte da un elenco di soggetti formato però dal Parlamento, dubitandosi che esso sia il più idoneo, senza alcun correttivo, ad assicurare la bontà delle decisioni disciplinari rimesse all’Alta Corte ( in questo senso G.C. Caselli e V. Barosio nell’articolo già citato ).
Un’altra incongruenza, abbastanza evidente, del nuovo sistema riguarda l’impugnabilità delle decisioni adottate dall’Alta Corte disciplinare : si prevede, infatti, che le sentenze emesse dall’Alta Corte in prima istanza siano impugnabili, anche per motivi di merito, “ soltanto dinanzi alla stessa Alta Corte, che giudica senza la partecipazione dei componenti che hanno concorso a pronunciare la decisione impugnata “ ( art.105, settimo comma, Cost. ).
In questo modo, però, è assai dubbia l’imparzialità del giudice di appello, trattandosi sempre del medesimo organo giudicante che ha deciso in primo grado, seppure in diversa composizione ( cfr. l’articolo cit. di G.C. Caselli e V. Barosio ).
Si rammenta che nel sistema vigente le sentenze emesse dalla Sezione disciplinare del CSM sono impugnabili dinanzi alle Sezioni unite della Corte di Cassazione, quindi con un sindacato di legittimità delle decisioni di prima istanza.
Anche sul fronte della giurisdizione disciplinare, pertanto, è discutibile che il nuovo sistema, imperniato sulla istituzione di un nuovo organo come l’Alta Corte disciplinare, sia preferibile e migliore del precedente e attuale sistema, in cui al Consiglio superiore della magistratura è attribuita anche la competenza in materia di disciplina dei magistrati : sistema quest’ultimo non privo di difetti, certamente, ma che non può liquidarsi come esempio di “giustizia domestica”, perché invece risulta caratterizzato da un tasso di severità inusuale nel settore dell’Amministrazione dello Stato.
- La campagna referendaria e il pericolo di una discussione a colpi di slogan.
Ciò detto sul contenuto della riforma e sui suoi punti critici, resta solo da accennare alla campagna referendaria che si sta già aprendo, dato che l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione ha proprio in questi giorni deliberato l’ammissibilità della richiesta di referendum presentata da vari parlamentari di diversa estrazione politica.
D’ora in avanti la discussione sarà focalizzata sul “sì” o sul “no” all’approvazione della legge costituzionale di cui si tratta e già si stanno formando diversi Comitati per il sì e per il no, con la partecipazione anche della magistratura associata ( Associazione Nazionale Magistrati ), schierata per il no, e degli avvocati penalisti delle Camere Penali, schierati invece per il sì. Lo schieramento è inevitabile, oltre che per le forze politiche, per i cosiddetti addetti ai lavori, cioè per i magistrati, gli avvocati e gli studiosi di materie giuridiche.
Questo va bene, ovviamente, ed è auspicabile che gli esperti dell’uno e dell’altro schieramento informino adeguatamente i cittadini sul vero contenuto della legge sottoposta a referendum, affinché questi ultimi si possano orientare e votare in maniera consapevole.
Non è auspicabile, invece, che si discuta a colpi di slogan o di fake news, in modo da manipolare il quesito e i termini reali delle questioni oggetto di esame.
Non si vota, infatti, a favore o contro il Governo in carica né a favore o contro la magistratura : anche perché la magistratura è un organo dello Stato cui è affidata una funzione importante e delicata, non una contro-parte politica di chicchessia, e al suo interno ci sono magistrati, giudici e pubblici ministeri, di diverso orientamento culturale e politico, accomunati però dal compito di amministrare la giustizia in nome del popolo restando “soggetti soltanto alla legge” ( art.101 Cost. ). Legge che essi possono e devono interpretare con gli strumenti tecnici del diritto, ma non possono creare né manipolare per fini politici.
Dall’altro lato, il Governo e il Parlamento devono sempre rispettare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, anche quando questa adotta decisioni sgradite al governo e alla maggioranza parlamentare di turno.
Questi sono i lineamenti essenziali del nostro sistema democratico disegnato dalla Costituzione repubblicana del 1948, che vanno sempre rammentati e tenuti in gran conto, anche nell’infuocata discussione del prossimo referendum, proprio per riportarla nell’alveo di una discussione pacata e civile, in cui valgono gli argomenti e non gli slogan, dell’uno o dell’altro schieramento.