L’Italia, ancora una volta, si propone come laboratorio politico. Occorre tuttavia capire se sia il laboratorio di uno scienziato o dell’apprendista stregone.
Ci si riferisce alla riforma della giustizia, da poco approvata dalle Camere. Il principale obiettivo − anche se il progetto si intitola alla separazione di carriere − è in realtà la riforma del Csm, che viene frazionato in tre piccoli Csm, uno per i giudici, uno per i Pm ed uno che si occupa solo di azioni disciplinari. Ho già scritto, e criticato, questa riforma sotto diverse prospettive, in particolare in relazione al nodo essenziale del bilanciamento dei poteri. La democrazia funziona solo se ogni potere è limite degli altri.
Voglio però, qui, affrontare il nodo più interessante ed affascinante della riforma. Essa prevede che i magistrati membri dei tre mini-Csm non siano eletti dai loro colleghi, ma siano estratti a sorte. Anche i membri di provenienza parlamentare saranno estratti a sorte, sebbene da un elenco redatto dal Parlamento stesso.
Si tratta ora di capire se il sorteggio può davvero, come metodo, sostituire l’elezione, nella scelta dei membri di un organo rappresentativo. La questione, ovviamente, non attiene unicamente questa riforma. Infatti, una volta che, a seguito della riforma della giustizia, il sorteggio sarà entrato nella Costituzione, come legittimo metodo di selezione, esso potrà essere esteso ulteriormente. È quindi d’obbligo interrogarsi in termini genarali sulla sua validità come sistema. Questa indagine va condotta senza pregiudizi, domandandosi se la democrazia può inserire elementi di quella che – visto che si tratta di novità – possiamo battezzare come tukhecrazia, dal termine greco tukhe, ossia “fortuna”: governo della fortuna.
Non si può nascondere il fascino della dea bendata. La fortuna è una livella, come la intendeva Totò. Tutti sono eguali davanti alla sorte. Il suo primo, e principale, elemento di attrattiva è proprio questo: il sorteggio prescinde da qualunque merito, posizione, storia personale. Dunque, tutti sono in gioco fino all’ultimo per qualunque ruolo. Poiché, come ben sappiamo, coloro che si impegnano per l’interesse comune sono sempre una minoranza, in questo senso il sorteggio rassicura la maggioranza. Anche chi non ha idea di cosa sia il bene comune, o l’interesse di categoria, anche chi non sarebbe mai candidato da nessuno, può divenire il rappresentante, se assistito dalla tukhe.
La riforma della giustizia applica il sorteggio ai rappresentanti dei magistrati all’interno degli organi di autogoverno. Possiamo però immaginare come, una volta rotto il velo, il sorteggio possa essere esteso ad altre selezioni. Ad esempio, alle rappresentanze sindacali dei lavoratori. Oppure, ai rappresentanti nel mondo della scuola. Basta questo piccolissimo esempio per capire uno dei problemi fondamentali del sorteggio. Al giorno di oggi, avere voglia di occuparsi di qualcosa di comune è davvero raro. Chi scrive ha fatto per anni il rappresentante dei genitori, a scuola, non certo per merito, ma per assenza di altri candidati.
Quindi, il primo nodo che il sorteggio deve affrontare è questo: il rappresentante sarà uno che non si è proposto, che non è preparato, che non ha nessuna voglia, che non lo ha scelto. Questo genera delle conseguenze. Non gli può essere chiesto nulla. Non gli può essere domandato impegno, e neanche chiesto conto delle sue decisioni. È la sorte che lo ha messo lì, come era un tempo per i Re. Chi non è eletto, non risponde a nessuno. Non ha un programma, non ha fatto promesse elettorali. Non deve guadagnarsi la rielezione. Non deve a nessuno una risposta, per l’appunto come era un tempo per i Re.
Si può quindi immaginare l’effetto del sorteggio nei nuovi mini-Csm. Essi hanno il dovere di esprimersi sulle riforme in materia di giustizia. Immaginiamo il dibattito, relativo ad una riforma in discussione, ed al parere negativo espresso da uno di questi consiglieri sorteggiati. E qui arriviamo al nodo decisivo. Il rappresentante eletto, non è un individuo, è un piccolo soggetto collettivo. Egli rappresenta la collettività che lo ha espresso. Quando parla, non parla per sé, ma per coloro che lo hanno espresso.
Sono stato, da studente, eletto al Consiglio d’Amministrazione dell’Università la Sapienza di Roma. Immaginate uno studentello alle prese con il magnifico rettore. Già vederlo di persona, incuteva timore. Eppure, quando serviva, mi contrapponevo. Una volta mi disse «questa è solo la tua opinione». Io risposi: «Mi permetta Magnifico, ma è l’opinione mia, e dei 630 studenti che mi hanno votato».
Alla domanda del rettore cosa risponderebbe il sorteggiato? La sua opinione è davvero quella di uno dei tanti. Un giornale, intervistandolo su una qualsiasi questione, avrebbe l’opinione di un fortunato, nulla più. E dunque l’organo stesso, il piccolo Csm, non sarebbe che un’accolita di scelti dalla sorte, la cui posizione non potrà in alcun modo essere ascritta alla categoria. Da un lato la proposta del governo, forte dell’investitura parlamentare, e quindi popolare, dall’altro l’opposizione di un gruppo di baciati dalla sorte, cui si potrà appunto replicare «ma questa è solo la vostra opinione, mentre noi rappresentiamo il Popolo italiano».
Questo aspetto, quando si discute di sorteggio, va considerato. Non si può valutare il sorteggio solo dal punto di vista del cittadino-elettore, occorre considerarne l’effetto sull’organismo collettivo. Un organismo come il CSM deve avere – se vogliamo una democrazia bilanciata – la capacità di contrapporsi, financo al governo, se propone una riforma sbagliata. Se è composto da persone che hanno trovato la volontà e la forza di proporsi, e poi sono state scelte da molti altri, c’è una possibilità che sentano su di esse il compito di difendere il “bene comune”. Una persona scelta a caso non ha davvero ragione di intraprendere battaglie di principio. Si limiterà a una gestione del quotidiano. Nessuno l’ha mandata, non risponde a nessuno, non delude nessuno. E soprattutto, non verrà giudicata dalle successive elezioni.
Il sorteggio quindi affascina. L’elemento della imprevedibilità, gli scherzi del caso, conferiscono allegria. Ma non so quanti di noi vorrebbero essere veramente rappresentati – laddove ci fosse da portare avanti battaglie, petizioni e richieste – da personaggi scelti a sorte che sono stati proiettati in quel ruolo senza aver neanche dovuto, prima, comunicare le loro idee. Se criticati, potranno sempre rispondere: «Ma io neanche ci volevo andare».