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Il Veneto del dopo Zaia

di Chiara Andreola

Come da previsioni, è stato eletto presidente il candidato del Centrodestra, Alberto Stefani. In una tornata elettorale con poche sorprese, l’analisi dei dati offre qualche ulteriore spunto di riflessione

Alberto Stefani, eletto presidente del Veneto, nel suo comitato elettorale, 24 novembre 2025. ANSA/ NICOLA FOSSELLA

Guardando ai puri e semplici numeri, verrebbe da dire che alle elezioni regionali del Veneto tutto è andato come doveva andare: è stato eletto il candidato di centrodestra Alberto Stefani, diventato così il più giovane presidente di Regione d’Italia a 33 anni, con il 64,39% dei voti (sostanzialmente confermando il 63% degli ultimi sondaggi pre-elettorali).

È andata come doveva andare, e anzi pure un po’ meglio, anche per il centrosinistra, che con il candidato del campo largo (Pd, M5S, Avs e una serie di civiche) Giovanni Manildo ha raggiunto il 28,88% dei consensi (anche qui leggermente sopra quanto pronosticato, il 27%). Conferma le aspettative anche il candidato outsider Riccardo Szumski di Resistere Veneto, con il 5,31%, che guadagna così due “consiglieri antisistema” a Palazzo Ferro-Fini; mentre rimangono al di sotto della soglia di sbarramento (idem, come previsto) del 3% gli altri due aspiranti presidenti, Marco Rizzo di Democrazia Sovrana e Popolare (1,09%) e Fabio Bui dei Popolari per il Veneto (0,51%).

Nessuna sorpresa neanche rispetto al fatto che il recordman delle preferenze sarebbe stato l’ex presidente Luca Zaia, che ne ha raccolte 203.054 sotto lo slogan “Dopo Zaia, scrivi Zaia”; né rispetto a quello che, sul fronte opposto, il centrosinistra ha potuto rivendicare un sostanziale raddoppio dei consensi rispetto alla scorsa tornata elettorale, quando il panorama delle liste diverse dal centrodestra si presentava più frammentato e il candidato leghista era per l’appunto il “doge” Zaia. Un risultato che Manildo ha attribuito al lungo lavoro di ascolto e incontro sul territorio effettuato in campagna elettorale – forte del fatto che il campo largo aveva individuato il proprio candidato con ampio anticipo, a differenza del centrodestra.

In qualche misura previsto anche il rilevante numero di donne che entreranno in Consiglio regionale: poiché il sistema delle preferenze prevede di poter indicare fino a due nomi, e in tal caso devono essere di genere diverso, le 200.000 preferenze a Zaia si sono tradotte in altrettante potenziali preferenze a donne. Qui la recordwoman in casa centrodestra è l’assessora uscente alle infrastrutture, Elisa De Berti, con circa 14.000 preferenze; mentre sul fronte opposto (e quindi senza il beneficio dell’eventuale ticket con Zaia) è la dem Chiara Luisetto, con 15.000.

Qualche sorpresa in più la si vede invece andando ad analizzare più a fondo i dati. Innanzitutto, quello dell’astensione: se già si prevedeva che non si sarebbe raggiunto il 61,6% di affluenza della scorsa tornata, un calo al 44,65% è comunque più di quanto ci si sarebbe potuto aspettare. Un dato su cui la politica regionale, almeno per ora, non si è espressa al di là di frasi di circostanza – unica nota di rilievo, il fatto che il neopresidente Stefani abbia affermato al Corriere di avere in mente un progetto per riavvicinare i giovani alla politica; ma che fa pensare su come persino in una Regione tradizionalmente partecipativa quando si tratta di andare alle urne, la disaffezione abbia ormai toccato anche le elezioni percepite come più “vicine” alla gente.

Da riflettere è anche come di questo si possa essere, in maniera limitata in numeri assoluti ma rilevante in termini percentuali, avvantaggiato un candidato come Szumski, che ha costruito un’intera campagna elettorale sulla partecipazione “dal basso”: avrà anche avuto “solo” 96.474 sostenitori, ma è verosimile che tutti coloro che lo sostenevano siano effettivamente andati a votare, mentre altri partiti non possono dire lo stesso. La sua capacità di mobilitare, dunque, è stata cruciale per arrivare ad un risultato insperato fino a pochi mesi fa: lui stesso ha dichiarato, sempre al Corriere, di aver ricevuto molte testimonianze di “delusi” della politica che lo hanno votato perché si sono riappassionati, anche solo per mandare un segnale di protesta.

Sferzanti in questo senso i commenti che arrivano invece dalla società civile. Tra i tanti ha circolato in particolare quello di Fabio Bistrot, noto in provincia di Belluno per il suo ruolo di dirigente del Soccorso Alpino e per il suo impegno in ambito civile e culturale, che ha scritto sui social: «Il 35,29% di votanti nella provincia di Belluno non è un dato: è una condanna a morte politica. Quando metà di un territorio rinuncia a votare, quel territorio rinuncia anche alla propria voce. […] Con il 35,29% di affluenza, Belluno non manda un messaggio ai politici. Firma la propria irrilevanza. E l’irrilevanza, oggi, è la vera condanna a morte della montagna».

Dato su cui invece la politica si è arrovellata di più è il “derby” tra Lega e FdI interno alla coalizione, con i secondi in odore di sorpasso e quindi di prelazione sul candidato alle prossime Regionali lombarde; dopo che il successo delle europee lo scorso anno aveva aperto anche in Veneto la diatriba (vinta dalla Lega) su chi dovesse mettere il proprio uomo (o donna) in riva al Canal Grande.

Anche senza il nome di Zaia nel simbolo (come il diretto interessato avrebbe voluto), la Lega ha – qui sì con una certa sorpresa – addirittura doppiato Fdi con il 36,28% (che vale 19 seggi in Consiglio) contro il 18,69% (che ne vale 9: tanti quanti quelli del Pd). Almeno in Veneto, e almeno alle Regionali con Zaia comunque a trainare il proprio partito, pare dunque non esserci storia. Il neoletto presidente Stefani comunque ha già risposto, da buon giurista [è laureato in giurisprudenza, ndr], con il brocardo latino Pacta sunt servanda a chi gli chiedeva se avrebbe mantenuto gli accordi pre-elettorali rispetto alla ripartizione degli assessorati tra Lega e FdI, anche di fronte ad una supremazia così schiacciante: assicurando che baderà prima di tutto alla competenza delle persone chiamate al ruolo di assessore. Va detto peraltro che il sistema delle preferenze ha, questo sì a sorpresa, lasciato fuori molti big della passata legislatura dal Consiglio regionale – salvo ripescaggi, ancora possibili visto che le nomine non sono state ufficializzate.

In un panorama che comunque rimane con relativamente poche sorprese, se si eccettua appunto il derby, la domanda rimane quella di prima del voto: ossia come sarà il dopo Zaia in Veneto. Stefani saprà, come tanto si è detto in campagna elettorale, raccoglierne la (pesantissima) eredità? Quale sarà il peso effettivo di Zaia in Consiglio regionale? Sarà una sorta di “presidente ombra” dalle cui mani passa comunque ogni decisione, con buona pace del suo successore, o si aprirà tra i due una fruttuosa collaborazione, come a più riprese assicurato da Stefani? E Zaia, che ha sempre professato il suo disinteresse ad incarichi al di fuori della Regione, ambirà ora a qualcos’altro – si è citata una sua possibile candidatura a sindaco di Venezia? Lui per ora, in una conferenza stampa martedì 25 a Treviso, ha confermato di voler rimanere in Consiglio; ma senza comunque escludere altre possibilità, con un sibillino «Quello che voglio fare lo so solo io e lo capirete piano piano»; e dichiarando al Corriere che i veneziani, con le oltre 7.000 preferenze raccolte in città, hanno dato un segnale di volerlo come sindaco.

Sia come sia, Alberto Stefani si appresta ora a prendere le redini della Regione. Nato a Padova nel 1992, si è distinto sin dai tempi della scuola per la precoce inclinazione alla politica, diventando coordinatore del movimento giovanile leghista già da liceale. Nel 2014 è entrato in Consiglio comunale a Borgoricco (Padova) con la minoranza; per rientrarvi però nel 2019 e questa volta dalla porta principale, come sindaco. Nel frattempo era stato anche eletto deputato nel 2018, seggio al quale è stato rinconfermato nel 2022. Nel 2020 è stato nominato commissario regionale del partito da Salvini, arrivando nel 2024 ad essere vicesegretario della Lega. Il primo grande impegno saranno le tanto discusse Olimpiadi invernali di Milano-Cortina: un evento al quale sarà lui a tagliare il nastro, ma che porta indiscutibilmente la firma del suo predecessore.

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