Da Vicenza al Brasile: è il tragitto che hanno compiuto le Mamme No Pfas che, rappresentate da Michela Piccoli, hanno partecipato alla “Cùpula dos Povos” – il forum parallelo alla Cop30 di Belém, in Brasile, che ha riunito popoli indigeni, movimenti sociali, ed altre realtà della società civile. Lì Michela ha portato, a nome di tutta la popolazione coinvolta, il tema degli Pfas e dell’urgenza di arrivare non solo alla bonifica delle aree già contaminate da questi “inquinanti eterni” (soprannome loro dato in virtù dei tempi lunghissimi di degradazione), ma anche di una loro messa al bando.

Michela Piccoli a Belém per le Mamme No Pfas
Michela, come siete arrivate a partecipare a questo forum?
Siamo state invitate dal Mab, il movimento dei danneggiati dalle dighe e dei cambiamenti climatici, con il quale abbiamo preso contatto in occasione del Forum dell’acqua in Italia. Abbiamo sempre cercato di fare rete con loro in particolare per quanto riguarda la situazione del Sudamerica, dove a sempre più persone viene negato l’accesso all’acqua potabile a causa della costruzione di dighe a fini idroelettrici o per l’attività estrattiva dei minerali. Sono tantissimi i casi di inquinamento da arsenico e piombo e di persone spostate forzatamente in altri luoghi, da parte di multinazionali dall’immenso potere economico e contro le quali i governi non fanno nulla. E il tema non riguarda soltanto il Sudamerica: ho incontrato ad esempio un’attivista dal Mozambico, in Africa, che ha parlato di come le popolazioni lì vengano letteralmente “violentate” allo stesso modo e ha chiesto giustizia ambientale. Sono stati incontri preziosi: solo per il Mab eravamo in 350 persone da 64 Paesi.
C’è qualche caso in particolare che l’ha colpita?
Ce ne sono tanti in realtà. Ma posso citare quello di un’attivista peruviana, proveniente da una zona dove da ormai cinquant’anni la popolazione si oppone all’estrazione prima dell’oro, e ora del rame, che sta privando la gente dell’acqua e inquina anche quella che è disponibile. Ha raccontato di una grande fonte da loro considerata sacra, e che è stata imbrigliata per usarla a fini estrattivi; ha parlato di bambini e animali che si ammalano, mentre le grandi aziende rimangono impunite perché cambiano spesso assetto societario così da ostacolare l’individuazione dei responsabili. E in tutto ciò queste persone non sono nemmeno riconosciute dal governo, perché non essendo mai stato effettuato lì un censimento la zona risulta disabitata. Ora ci stanno pensando loro stessi, e questa donna mi ha detto, commossa, facendomi vedere il foglio del censimento: vedi, anche io adesso esisto. Abbiamo parlato anche dell’acqua a Gaza, e di come le grandi imprese israeliane ne controllino l’approvvigionamento: l’acqua, le guerre, le questioni economiche e sociali, tutto è connesso.
Era la prima volta che il tema Pfas veniva portato ad un evento nell’ambito delle Cop: che reazioni ci sono state?
Sì, era la prima volta, e appunto per questo ho avuto modo di parlare anche con persone del Dipartimento di protezione ambientale. Non so quanti km ho fatto per parlare con più persone possibile, portare tutte le informazioni che abbiamo raccolto in questi anni: ed è stato un lavoro importante perché ho trovato poca conoscenza del tema, come del resto ne avevamo poca anche noi prima che ci toccasse direttamente.
La vostra attenzione è ora rivolta anche all’India, dove Miteni ha spostato i macchinari un tempo utilizzati a Trissino, e prosegue la produzione di Pfas in un’azienda controllata: è andato a buon fine il vostro proposito di contattare anche attivisti indiani, per rendere la popolazione locale consapevole del pericolo rappresentato da queste sostanze?
Ho conosciuto un giornalista indiano, che ora sta cercando di metterci in contatto con attivisti ambientali del posto e consegnare loro la documentazione in inglese che gli ho fornito. Anche lì non c’è consapevolezza del problema, e quindi è urgente intervenire per fare informazione. Più in generale, abbiamo già visto quanto sia importante a tal fine fare rete nel mondo, come già avviene a livello europeo e con gli Stati Uniti, dove ci sono stati e ci sono altri casi simili al nostro. Mi porto via uno slogan sentito in questi giorni: “Acqua per la vita e non per la morte”, dato che la contaminazione da Pfas parte proprio dall’acqua.
Come Mamme No Pfas avete recentemente partecipato al lancio del Patto di Comunità per la bonifica del sito ex Miteni: quali altri passi avete in programma?
A dicembre saremo di nuovo nelle istituzioni europee, e anche ad una tavola rotonda sul tema Pfas organizzata in Senato su iniziativa del presidente della 7ma Commissione permanente. Anche sul fronte nazionale c’è molto da lavorare: purtroppo l’Italia, pur essendo il Paese europeo più esposto all’inquinamento da Pfas – non solo il Veneto, ma sta emergendo con prepotenza anche il caso piemontese di Spinetta Marengo – non sta facendo pressoché nulla. Non ha aderito alla messa al bando dei Pfas né ha fatto una legge ad hoc, come era stato prefigurato: manca la volontà politica di agire in questo campo.