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L’algoritmo del cuore: dove inizia la vera sostenibilità

di Elena Pace

- Fonte: Città Nuova

Come passare dall’accumulare dati sulla crisi climatica ad un’azione concreta, che nasca da un’autentica conversione ecologica? Gli insegnamenti degli ultimi due papi e di Chiara Lubich

I ghiacciai italiani nel 2024 hanno continuato a ritirarsi: Alpi e ghiacciai alpini sempre più sottili e quasi tutti in forte arretramento, con impatti su ecosistemi e biodiversità. Foto: ANSA/ UFFICIO STAMPA LEGAMBIENTE

Siamo sommersi da dati, algoritmi e soluzioni tecnologiche per la crisi climatica. Eppure, più informazioni accumuliamo, più la soluzione sembra sfuggirci.

Papa Leone XIV, nel suo discorso alla conferenza Raising Hope for Climate Justice, ha indicato una strada diversa, che non aggiunge nulla al nostro bagaglio di conoscenze, ma ci chiede di fare un passo indietro, anzi, un passo dentro: «È solo attraverso un ritorno al cuore che può avvenire una vera e propria conversione ecologica».

Ma cosa significa, concretamente, questo “ritorno al cuore”? E come si collega alla salvezza del pianeta? La risposta è un intreccio profondo tra memoria, spiritualità e azione.

Per comprendere questo “ritorno”, dobbiamo prima capire cosa il cuore è in grado di custodire.

Un indizio fondamentale ce lo offre papa Francesco nell’enciclica Dilexit nos (n.20), quando afferma che ciò che nessun algoritmo potrà mai possedere è «quel momento dell’infanzia che si ricorda con tenerezza». Quel ricordo non è un semplice dato archiviato; è un’esperienza viva che, donata nuovamente al cuore, diventa consapevolezza di ciò che ci ha formato, nutrito e reso umani.

Se penso alla casa al mare dove ho trascorso l’infanzia, non riesco a separare i momenti vissuti con chi mi era vicino dal luogo in cui eravamo: lì un cielo carico di stelle raccoglieva le nostre confidenze o un tramonto rosso fuoco ci lasciava in una muta contemplazione di tanta bellezza. Queste memorie non sono nostalgia. Sono impronte dell’armonia che, da sempre, ci unisce alla natura e agli altri.

Sono la prova tangibile, custodita nel nostro intimo, che un’altra relazione con il mondo è possibile, perché l’abbiamo già vissuta. Quel ricordo, riportato alla coscienza, diventa la bussola interiore che ci permette di riconoscere la dissonanza di uno stile di vita predatorio, facendoci desiderare il ritorno a quell’armonia.

È il primo, indispensabile seme di cui il cuore ha bisogno. È su questo terreno fertile del ricordo che attecchisce l’appello di papa Leone XIV.

Il suo “ritorno al cuore” è la traduzione pratica di quella memoria risvegliata. Non è un’emozione passeggera, ma una conversione radicale dello sguardo e dello stile di vita.

Significa, come egli stesso ha precisato, «passare dal raccogliere dati al prendersi cura». I dati ci dicono che i ghiacciai si sciolgono; solo un cuore che ricorda la bellezza del ghiaccio che scricchiola sotto il sole può prendersene cura. Significa passare da astratti «discorsi ambientalisti» a una trasformazione concreta, che ha le sue radici in un’armonia ritrovata con Dio, con gli altri, con la natura e con sé stessi. Il “ritorno al cuore” è dunque il ponte che collega la tenerezza del ricordo alla responsabilità dell’azione.

Ma come si costruisce questo ponte? Come si fa, nella pratica quotidiana, a “ritornare al cuore” e a mantenerci in quello stato? Chiara Lubich suggerisce di “dilatare il cuore”.

Il cuore, dunque, viene considerato da lei non come uno spazio piccolo e geloso, ma una realtà che può e deve dilatarsi, imparando ad amare, “uno alla volta”, ogni persona che incontriamo, abbracciando in questo modo l’umanità intera. Questo amore concreto, che si traduce in attenzione, ascolto e servizio, è la palestra della sostenibilità.

Perché? Perché un cuore dilatato dall’amore smette di vedere la natura come una risorsa da sfruttare e inizia a vederla come un dono da amare e custodire, un dono per tutti.

È l’amore reciproco che crea una “corrente” in grado di rigenerare le relazioni e, di conseguenza, il mondo. Prendersi cura di un fratello e prendersi cura di un albero diventano espressioni della stessa, unica vocazione all’amore.

Allora, il cerchio si chiude, o meglio, si apre a una nuova possibilità. La via per un’autentica sostenibilità non è una corsa in avanti verso tecnologie sempre più complesse, ma un viaggio a ritroso verso il centro di noi stessi.

In un’era di circuiti logici e calcoli, è proprio questa umanissima verità – fatta di memoria, tenerezza e amore concreto – l’unico “algoritmo” in grado di salvare ciò che è veramente umano, e quindi, la nostra stessa casa comune.

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