Una frase del secolo scorso, oggi ritenuta uno stereotipo di genere, recitava: dietro a ogni grande uomo c’è una grande donna. Al di là di ogni polemica, questa frase vale sicuramente per Fedor Michajlovic Dostoevskij, di cui l’11 novembre si celebra il compleanno. Dostoevskij ha 45 anni e non ha ancora scritto i suoi capolavori immortali. Ha avuto una vita cosparsa da sventure: la condanna a morte poi tramutata in lavori forzati in Siberia; un triste matrimonio con la prima moglie Maria; alcune sbandate amorose; è malato d’epilessia; ha il vizio del gioco d’azzardo; ha diversi famigliari da mantenere e tanti debitori che bussano alle porte. La moglie Maria è da poco morta. Incontra in quel tempo Anna Snitkina, ventenne, una ragazza con una certa cultura, una delle poche donne laureate all’epoca, una sua appassionata lettrice. La assume come stenografa.
Dopo aver finito la stesura del romanzo per cui l’ha assunta, la richiama raccontandole l’idea d’un nuovo romanzo: «Il protagonista è un pittore, attempato e malato, che ha subito molti dolori e perso parenti e vicini». S’addentra nella descrizione del pittore con così tanta passione che la giovane Anna non tarda a intuire che lo scrittore sta parlando di se stesso. «Il pittore s’infatuò d’una giovane ragazza, Anna, bella, intelligente…» continua il racconto. La stenografa, dimenticandosi che anche lei si chiama Anna, si ricorda d’una Anna di cui lo scrittore le aveva parlato. A un certo punto lo scrittore pone alla stenografa una domanda spettacolare: se ritenesse psicologicamente verosimile che questa giovane donna potesse innamorarsi d’un uomo così vecchio e ammalato come il suo pittore. La stenografa risponde che se quella Anna aveva un cuore buono era possibilissimo. Al che lo scrittore dice: «E se vi dicessi che quel pittore sono io e la ragazza siete voi?». La giovane stenografa ci mette un po’ a riprendersi dallo stupore, ma poi risponde con calore: «Vi risponderei che vi amo e vi amerò tutta la vita».
Anna mantenne sempre fede a quelle parole. E Dostoevskij la contraccambiò a modo suo, ma riconoscendole tutta la vita quella rarissima e preziosissima dote che è l’intelligenza del cuore. Anna seppe amare in modo sincero e totale quell’uomo difficile. A detta di molti: impossibile! Seppe vibrare all’unisono con la sua sensibilità artistica e spirituale comprendendone gli abissi di luce e di buio; gli diede quello che a lui sempre era mancato: la stabilità famigliare, i figli, l’affetto, anche la stabilità economica facendosi suo agente letterario.
È anche merito di Anna se oggi l’umanità ha Delitto e Castigo, I Demoni, L’Adoloscente, L’Idiota, I Fratelli Karamazov.
Anna accettò grandi disagi per stare vicino al marito. Non gli rimproverò mai di perdere i soldi al gioco d’azzardo, e di costringerli a vivere spesso in povertà e al freddo. Un inverno, arrivò al punto di vendere le sue calze di lana perché potesse giocare. Si era accorta che dopo le perdite, il marito entrava in uno stato di illuminazione e scriveva pagine memorabili. Chi sono io, si diceva Anna, per privare di questo l’umanità. Fu proprio per l’amore incondizionato di Anna che, paradossalmente, Dostoevskij guarì totalmente dalla sua ludopatia.
Anna, con un’espressione che solo un cuore russo può comprendere, chiamava Dostoevskij il suo dio. Ma non era invasata. Era il suo modo per dire la sua fedeltà e devozione al marito. Scriveva nel suo diario: «Per me Dostoevskij non era soltanto un dio, era anche un uomo, che per molti aspetti aveva caratteristiche e manchevolezze umane. Non era sempre grande! Spesso, spessissimo, era un bambino, malato, esigente, capriccioso, incapace di adattarsi alla vita. In momenti simili mi assumevo tutto il peso della vita, tutte le preoccupazioni incombevano su di me, gli tenevo nascosti tutti i guai, le ristrettezze materiali. Non mi permettevo nemmeno di ammalarmi… Non era sempre grande, ma se alle aquile succede di abbassarsi più delle galline, le galline non si alzano mai fino alle nuvole».
In un dialogo dei Fratelli Karamazov, Ivan, ateo, razionalista e pessimista sulla vita, confida con un certo imbarazzo al fratello Alesa: «Le foglioline viscose della primavera, il cielo azzurro, ecco quello che amo! Qui non c’è intelligenza, non c’è logica, qui si ama con le viscere, col ventre». Alesa: «Penso che tutti debbano amare la vita prima di ogni altra cosa al mondo». Ivan: «Amare la vita più del suo significato?». Alesa: «Certamente. Ama la vita più della sua logica, solo allora ne capirai il senso».
In queste parole, il cuore del testamento di Dostoevskij. Che è giunto a noi grazie anche ad Anna.