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Nostra Aetate, 60 anni di una svolta epocale

di Roberto Catalano

Celebrati a San Pietro. martedì 28 ottobre 2025,  i 60 anni dalla dichiarazione conciliare breve, ma che in quattro pagine ha segnato un cambiamento radicale nel campo del dialogo interreligioso

60 anni Nostra Aetate foto Ansa

Già più di un decennio fa, Benedetto XVI, rivolgendosi alla Curia Romana, e accennando ad un bilancio del Vaticano II, aveva detto che di alcuni documenti si sarebbe capita l’importanza solo con il passare del tempo. Nostra Aetate era fra questi. Una carta breve – la più sintetica della ricca documentazione del Magistero conciliare -, che in quattro pagine ha segnato una svolta epocale.

Un documento dal destino strano. Il più breve appunto dei prodotti emersi dal Vaticano II, ma per la redazione e approvazione del quale è stata necessaria tutta la durata del Concilio. Era nato come una Dichiarazione riguardo ai rapporti con il mondo ebraico – sollecitato da Jules Isaac a Giovanni XXIII perché non si ripetesse mai più una Shoà. Alla fine, pur mantenendo la sua centralità focalizzata su questo, si è aperto all’Islam e ha socchiuso la porta della Chiesa cattolica verso le religioni orientali.

Non è un documento strettamente teologico, ma nemmeno solo pastorale. E’ difficile definirne una categorizzazione precisa. Quel che è certo che a sessant’anni dal 28 ottobre 1965, giorno della sua approvazione, risulta – nel momento storico in cui viviamo – quello più profetico e di necessaria attuazione. Nostra Aetate, infatti, ha definitivamente voltato pagina nella storia della Chiesa cattolica, lasciandosi alle spalle in modo definitivo ed inequivocabile quello che per un millennio e mezzo era stato un adagio – diventato quasi dogma e, tuttavia, mai considerato tale -: extra ecclesiam nulla salus (fuori della Chiesa non c’è salvezza). Ha, di fatto, aperto le finestre e la porta principale della Chiesa cattolica, invitando i suoi membri a guardare in modo diverso agli ‘altri’, un tempo definiti ‘pagani’, poi ‘non-cristiani’ e, negli ultimi decenni, finalmente chiamati con il loro nome: ebrei, musulmani, indù, buddhisti ecc. , ma soprattutto ‘fratelli’ e ‘sorelle’.

La portata visiva – significativa perché esprime una realtà profonda -, a sessant’anni di distanza, di questo cambio epocale ce la dà l’accostare le foto di alcuni angoli di Piazza S. Pietro, scattate nell’autunno del 1965, e quelle riprese ieri sera, poco prima delle 18, accanto all’Aula Paolo VI.

Inimmaginabile allora la policromia variegata offerta, ieri sera, da rabbini e rabbine, imam e sheik, ma anche da monaci buddhisti e swami indù, per non parlare di dastoor zoroastriani e rappresentanti di religioni tradizionali: un vero spaccato della geografia delle religioni. L’incontro, da tempo preparato dal Dicastero per l’unità dei cristiani e da quello per il dialogo interreligioso, ha raccolto in Vaticano delegazioni numerose di rappresentanti di diverse religioni.

Anche la loro entrata nell’Aula Nervi – una processione multicolore dietro un gruppo di danzatori dello Sri Lanka – è stata una evidenza che il pellegrinaggio iniziato sessant’anni fa, da un’altra generazione, continua e le file si vanno ingrossando di persone interessate e convinte che il dialogo non è solo possibile, ma necessario. Testimonianza ed effetti visivi, quindi, immagini di un profondo cambiamento interno alla Chiesa cattolica e alle altre religioni.

E, ancora, una incredibile contraddizione che Nostra Aetate ci consegna. Pochi, oserei pochissimi, sono i cristiani cattolici che hanno letto – o forse anche sentito nominare questa carta conciliare – e, ancor meno coloro di altre tradizioni che ne sono a conoscenza. Eppure, nonostante questo quelle quattro pagine hanno messo in moto un pellegrinaggio di uomini e donne di buona volontà che si rendono conto della centralità del dialogo, proprio per la coscienza ormai acquisita che «i vari popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra, hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cui Provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti finché gli eletti saranno riuniti nella città santa, che la gloria di Dio illuminerà e dove le genti cammineranno nella sua luce».

L’incontro con papa Leone è stato suggestivo e profondo: un occasione per un esame a ritroso della centralità di Nostra Aetate, ma soprattutto della sua cruciale importanza oggi, quando più che mai, il mondo ha bisogno di pace e comprensione reciproca e, dunque, di una cultura del dialogo. Prevost ha evidenziato alcuni aspetti ineludibili e assolutamente profetici della carta.

Innanzi tutto il fatto che «l’umanità sta convergendo sempre di più, e che è compito della Chiesa promuovere l’unità e l’amore tra gli uomini e le donne, e tra le nazioni». In secondo luogo, il fatto che «apparteniamo a una sola famiglia umana» e che,  «le religioni di tutto il mondo cercano di rispondere all’irrequietezza del cuore umano». Ma, soprattutto, per quanto riguarda noi cattolici, che nulla possiamo e dobbiamo rifiutare «di ciò che è vero e santo in queste religioni, che “riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini”», Per questo, siamo chiamati a considerare con sincera riverenza ogni tradizione «e attraverso il dialogo e la collaborazione, a riconoscere, preservare e promuovere ciò che è spiritualmente, moralmente e culturalmente buono in tutti i popoli».

Fondamentale il coinvolgimento che papa Leone, durante l’udienza generale di oggi, ha proposto a tutti i capi religiosi: lavorare insieme, continuare a costruire rapporti di amicizia. Infatti, aveva ricordato ieri, «guidati dalla saggezza delle nostre rispettive tradizioni, condividiamo una responsabilità sacra: aiutare il nostro popolo a liberarsi dalle catene del pregiudizio, dell’ira e dell’odio; aiutarlo a elevarsi al di sopra dell’egoismo e dell’autoreferenzialità; aiutarlo a sconfiggere l’avidità che distrugge sia l’animo umano sia la terra. In questo modo, possiamo guidare i nostri popoli a diventare profeti del nostro tempo, cioè voci che denunciano la violenza e l’ingiustizia, curano le divisioni e proclamano la pace per tutti i nostri fratelli e sorelle».

Nei prossimi giorni, potremo fare un commento alla ricca rilettura di Nostra Aetate che Leone XIV ha proposto durante l’Udienza Generale del 29 ottobre 2025.

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