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Siccità, una parola da leggere al plurale

di Letizia Palmisano

Pensare alla “siccità” come a un problema unico ci porta ad invocare la pioggia come unica soluzione, ma se anche domani iniziasse a piovere, le nostre falde resterebbero vuote per mesi e le nostre reti idriche continuerebbero a perdere acqua

Siccità Foto di Gutife da Pixabay

Siccità non è solo il titolo di un noto film di Virzì. Tale parola evoca (o, almeno, dovrebbe evocare) immagini potenti e situazioni ormai fin troppo familiari: il letto di un grande fiume ridotto a un sentiero di sabbia e ciottoli, la terra dei campi spaccata dal sole come un mosaico impazzito e le ordinanze dei sindaci che limitano l’uso dell’acqua potabile. Quel che forse è meno noto è che parlare di “siccità” al singolare è una semplificazione che non possiamo più permetterci. Per prenderci cura della nostra casa comune, e in particolare della sua risorsa più preziosa, l’acqua, dobbiamo imparare a “leggere la siccità al plurale”.

Esistono infatti almeno tre grandi famiglie di siccità, concatenate tra loro ma distinte per cause, tempi e impatti. Capire la differenza tra siccità meteorologica, idrologica e agricola non è un mero esercizio accademico, ma il primo, indispensabile, passo per passare da una gestione emergenziale ad una pianificazione strategica e consapevole, come indicato anche dall’Osservatorio Europeo sulla Siccità (EDO). Vediamo insieme di cosa si tratta.

La siccità meteorologica: quando il cielo è avaro

La mancanza di precipitazioni periodiche è la siccità della quale sentiamo parlare più spesso, la madre di tutte le altre. In tal caso parliamo di siccità meteorologica che si definisce semplicemente come una significativa e prolungata carenza di precipitazioni (pioggia e neve) rispetto alla media storica di un determinato territorio. È un fenomeno legato direttamente all’atmosfera e ai suoi cicli.
È il punto di partenza. Quando per settimane, o mesi, le piogge non arrivano o la loro quantità è inferiore alla norma, si innesca un deficit idrico primario. Le cause sono da ricercare nelle grandi dinamiche climatiche, come la persistenza di aree di alta pressione che “bloccano” le perturbazioni. Oggi, i cambiamenti climatici stanno esasperando questi fenomeni, rendendoli più frequenti, intensi e duraturi in molte aree del pianeta, inclusa la nostra area mediterranea.
Pensiamola come un bilancio familiare: la siccità meteorologica è la drastica riduzione delle entrate. Se lo stipendio non arriva per diversi mesi, tutti i conti ne risentiranno, ma non immediatamente e non tutti allo stesso modo. Questa siccità è la prima avvisaglia, il campanello d’allarme che ci avverte che il sistema sta andando in sofferenza.

La siccità idrologica: quando i serbatoi si svuotano

Se la siccità meteorologica persiste, le sue conseguenze iniziano a manifestarsi a valle, nel vero senso della parola: si entra così nella fase della siccità idrologica che riguarda la drastica diminuzione delle riserve d’acqua superficiali e sotterranee.

È una conseguenza con un ritardo temporale. La portata dei fiumi si riduce, i livelli dei laghi e degli invasi artificiali si abbassano visibilmente e, cosa ancora più preoccupante, anche le falde acquifere nel sottosuolo iniziano a impoverirsi. Questo processo non è immediato: le grandi riserve idriche, come le falde profonde o i grandi laghi alpini alimentati dallo scioglimento delle nevi, hanno una certa inerzia. Ecco perché possiamo avere fiumi in secca, come documentato dai bollettini dell’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po, anche quando ha appena ricominciato a piovere: serve tempo perché il sistema si “ricarichi”.
Tornando all’analogia familiare, questa è la fase nella quale, dopo mesi senza stipendio, iniziamo a prosciugare il conto corrente e i risparmi accumulati. A peggiorare la siccità idrologica, però, non è solo la mancanza di “entrate” (le piogge), ma anche un eccesso di “uscite”: il prelievo umano. Un uso smodato di acqua per l’industria, per l’agricoltura o per le nostre case può accelerare drammaticamente l’esaurimento delle riserve, trasformando una carenza di piogge in una vera e propria crisi idrica.

La siccità agricola: quando la terra ha sete

Questa è forse la forma di siccità che percepiamo con più immediatezza nei suoi effetti perché tocca direttamente la nostra catena alimentare. La siccità agricola (o edafica) si verifica quando c’è una carenza di umidità negli strati superficiali del suolo dai quali le radici delle piante traggono il loro nutrimento.

È l’impatto diretto sugli ecosistemi e le coltivazioni. Un terreno arido non permette ai semi di germogliare e mette le piante in uno stato di stress idrico che ne compromette la crescita e la produttività fino a causarne la morte. Tale tipo di siccità può essere una conseguenza diretta della mancanza di piogge (meteorologica), ma è anche strettamente legata alla disponibilità di acqua per l’irrigazione (idrologica). Se i fiumi e gli invasi sono a secco, gli agricoltori non possono irrigare i campi, anche se il terreno di per sé sarebbe fertile. La FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) monitora costantemente questi impatti a livello globale.

Nella nostra metafora, questa è la mancanza di liquidità per le spese quotidiane: non si riesce più a fare la spesa. La siccità agricola è influenzata anche da altri fattori, come le pratiche agricole, il tipo di suolo (alcuni trattengono l’acqua meglio di altri) e i tassi di evaporazione che aumentano con le alte temperature.

Dalla diagnosi alla cura: perché distinguere è fondamentale

Capire questa tripartizione non è un vezzo da specialisti, ma la chiave per agire in modo efficace. Ogni tipo di siccità richiede, infatti, risposte diverse e su scale temporali differenti.
Contro la siccità meteorologica, le uniche vere armi sono quelle della mitigazione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici su scala globale e nazionale: ridurre le emissioni di gas serra, promuovere le energie rinnovabili e ripensare i modelli di sviluppo, come delineato nel Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC). Sono azioni a lungo termine.

Per affrontare la siccità idrologica, servono politiche di gestione dell’acqua come la riduzione di perdite delle reti idriche (in Italia superano il 42%, secondo dati ISTAT), la costruzione di piccoli invasi diffusi invece di poche grandi dighe, la promozione del riuso delle acque reflue depurate in agricoltura e industria e la regolamentazione dei prelievi in modo più equo e sostenibile.
Per combattere la siccità agricola, le soluzioni risiedono nell’innovazione del settore primario: adottare tecniche di irrigazione a goccia che risparmiano una parte considerevole di acqua, coltivare varietà più resistenti alla siccità, migliorare la salute del suolo affinché trattenga più umidità (agricoltura organica e conservativa) e utilizzare sensori avanzati per dare acqua alle piante solo quando e dove serve.

Pensare alla “siccità” come a un problema unico ci porta ad invocare la pioggia come unica soluzione, ma se anche domani iniziasse a piovere, le nostre falde resterebbero vuote per mesi e le nostre reti idriche continuerebbero a perdere acqua.

Imparare a leggere la siccità al plurale significa sviluppare uno sguardo più profondo e responsabile, capace di vedere le connessioni e di agire su più fronti contemporaneamente. Significa promuovere una vera e propria “cultura dell’acqua” che coinvolga istituzioni, imprese, agricoltori e ogni singolo cittadino in uno sforzo corale. Perché la gestione di un bene così vitale non può più essere un’eterna rincorsa all’emergenza, ma deve diventare il frutto di una visione condivisa e di una cura costante per la nostra casa comune.

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