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Italia > Società

La coscienza del mondo, il giornalismo e la pace

di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

Il senso profondo del premio Colombe d’oro assegnato quest’anno da Archivio disarmo a tre giornalisti palestinesi e al Comitato internazionale della Croce Rossa

Manifestazioni nel mondo a favore della libertà di stampa in Palestina . EPA/JAMES ROSS AUSTRALIA AND NEW ZEALAND

Nonostante appelli e raccolte fondi, neanche l’unità di crisi del ministero degli Esteri è riuscita a far arrivare da Gaza a Roma Fatena Mohanna, giovane fotoreporter che vive e lavora nella Striscia di Gaza, e Alhassan Selmi giornalista, fotoreporter e videomaker palestinese. Dovevano ricevere in Campidoglio, sabato 12 ottobre 2025, il premio del giornalismo di pace Colombe d’oro Archivio Disarmo assieme ad Aya Ashour, giovane giornalista e attivista palestinese anche lei originaria di Gaza, ma già presente in Italia.

La tregua imposta da Trump appare molto fragile come ha scritto Michele Zanzucchi su cittanuova.it e come dimostra il fatto che si sono interrotti i bombardamenti a tappeto ma continuano le uccisioni nella Striscia di Gaza. Nella stessa giornata di sabato, riporta l’Ansa,  «undici membri di una famiglia palestinese sono stati uccisi dopo che Israele ha attaccato un veicolo a Zeitoun, nella città di Gaza, accusandolo di aver attraversato la cosiddetta “linea gialla”, che delimita le aree sotto il controllo dell’esercito israeliano».

Il mondo dell’informazione ha grandi responsabilità quando non svolge il suo ruolo critico ma si fa strumento di addormentamento delle coscienze e fonte di distrazione. Non è questo il momento di chiudere i riflettori su una tragedia che è riuscita a far muovere le piazze in buona parte del mondo grazie al fatto, come riporta la motivazione del premio, che «un gruppo di giovani giornalisti, spesso formatisi direttamente sul campo e dotati unicamente di cellulari e pc, ha iniziato un’attività di condivisione sui social, presto cresciuta fino a diventare produzione di eccellenti corrispondenze, in grado di raggiungere lettori e spettatori in tutto il mondo».

Idealmente il premio è andato agli oltre 200 reporter palestinesi rimasti uccisi a Gaza per documentare ciò che è stato impedito ai giornalisti delle testate estere, impossibilitati a varcare l’accesso in quell’area blindata. Nella memoria è poi sempre viva l’immagine di Shireen Abu Akleh, la giornalista palestinese cristiana uccisa nel maggio 2022 davanti al campo profughi di Jenin. Anche durante il suo funerale si registrarono attacchi contro i familiari e amici che trasportavano il suo feretro a mano. Finora a Gaza non è stato possibile neanche celebrare alcun rito ma abbiamo visto una schiera ininterrotta di sudari.

«Vi ringrazio moltissimo – ha detto Alhassan Selmi collegato da Gaza – perché siete stati la voce della pace e la voce di chi non ha voce. Dedico questo premio ai miei colleghi giornalisti. A quelli che sono vivi e a quelli che sono morti».

È stata quindi Aya Ashour, presente nella sala della Protomoteca del Campidoglio, a pronunciare il discorso di ringraziamento per un premio dedicandolo al suo popolo «che continua a soffrire e a lottare. Ora dobbiamo alzare ancora di più le nostre voci per un vero cambiamento e per chiedere che i responsabili del genocidio siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Questa è la nostra responsabilità collettiva. La mia – ha detto Ashour – è una testimonianza tra quelle di due milioni di persone, di cui ho cercato di essere la voce».

«È un sollievo pensare – ha detto Fatena Mohanna anche lei collegata da Gaza – che anche nei momenti più bui, le persone continuano a credere nella pace, nella giustizia e nell’umanità».

È infatti questo il cuore del premio Colombe d’oro per la pace che, in oltre 40 anni, come affermato dal presidente di Archivio Disarmo, Fabrizio Battistelli, «non sono mai state un premio contro qualcuno ma sempre a favore di qualcosa: qualsiasi cosa che possa contribuire a una soluzione pacifica dei conflitti».

Si comprende perciò la ragione del conferimento della sezione internazionale del premio che è andata al Comitato Internazionale della Croce Rossa. L’organizzazione, presente in oltre 90 aree di crisi con più di 18.500 unità di personale attive sul campo, ha una lunga storia. Fu fondata, infatti, dallo svizzero Henry Dunant davanti all’orrore della battaglia che si svolse a Solferino, vicino Mantova, il 24 giugno 1859. Un vero e proprio mattatoio che coinvolse 234 mila soldati degli eserciti franco sardo e austriaco contrapposti tra loro lasciando sul terreno 29 mila morti e 10 mila prigionieri.

Quella ferocia immane si abbatte, come si vede a Gaza, contro la popolazione civile nei conflitti moderni dove si usano strumenti affinati dell’intelligenza artificiale. Ricevendo quindi il premio, la presidente internazionale della Croce Rossa, Mirjana Spljaric, ha ribadito la netta opposizione «ai sistemi d’arma autonomi che eliminano la responsabilità umana nel decidere chi viene colpito e chi no. Chiediamo che il controllo e la responsabilità umana rimangano sempre effettivi, e che le armi progettate oggi siano conformi al diritto internazionale umanitario tanto quanto dovevano esserlo 10 o 20 anni fa. Le operazioni cibernetiche non sono esenti dagli obblighi legali derivanti dalle Convenzioni di Ginevra».

«L’intelligenza artificiale – spiega la presidente della Croce Rossa internazionale – ha il potere di aumentare enormemente l’impatto della guerra sui civili. Il Cicr si oppone chiaramente ai sistemi d’arma autonomi che eliminano la responsabilità umana nel decidere chi viene colpito e chi no. Chiediamo che il controllo e la responsabilità umane rimangano sempre effettivi, e che le armi progettate oggi siano conformi al diritto internazionale umanitario tanto quanto dovevano esserlo 10 o 20 anni fa. Le operazioni cibernetiche non sono esenti dagli obblighi legali derivanti dalle Convenzioni di Ginevra».  «In Medioriente, e a Gaza in particolare – ha affermato Mirjana Spljaric –, il Comitato Internazionale della Croce Rossa opera da decenni e ha sempre mantenuto un dialogo costante con tutte le parti. Questo ci ha permesso di condurre un’operazione molto complessa a sostegno del cessate il fuoco, che spero sinceramente regga, perché non vedo alternative ad esso».

Una riflessione importante sul lavoro specifico dei giornalisti, durante la cerimonia per la consegna del premio, è arrivata dal rettore dell’Università per stranieri di Siena, lo storico dell’arte Tomaso Montanari che, assieme alla giornalista Paola Caridi, è l’iniziatore di molte azioni di coscientizzazione dell’opinione pubblica verso ciò che avviene a Gaza: «Se è vero – ha detto Montanari – che le telecamere di centinaia di migliaia di telefoni cellulari mostrano al mondo ciò che succede a Gaza, è però anche vero che il lavoro dei giornalisti continua a fare la differenza nel racconto critico di ciò che davvero sta accadendo, cioè nella sua lettura complessiva e profonda».

Lo storico ha perciò esplicitato un giudizio severo contro i governi e i media occidentali che non si comportano da osservatori neutrali ma di fatto, da attori complici con il sostegno politico ed economico al governo Netanyahu attraverso una narrazione mediatica distorta e un calcolato disimpegno che diventa una vera e propria scappatoia. È infatti molto forte il rischio che l’Occidente “rimuova” la questione di Gaza una volta spenta l’attenzione mediatica verso quello che in molti definiscono un genocidio in grado di arrivare alla fase finale dell’annientamento della popolazione palestinese grazie proprio allo spegnimento delle luci della ribalta. I media occidentali, secondo Montanari, tendono a non voler  analizzare le responsabilità di Israele e dell’Occidente per speculare sull’odio covato dai palestinesi seguendo un modello narrativo di tipo colonialista.

In tale contesto fare giornalismo autentico non è solo un servizio informativo ma un atto di resistenza contro la disumanizzazione e la rimozione collettiva di responsabilità per ciò che accade sotto i nostri occhi. Questo premio Colombe d’oro consegnato ai tre giornalisti palestinesi non cerca solo di proteggere la loro visibilità e incolumità ma di mantenere viva la coscienza del mondo, non distogliendo lo sguardo, raccogliendo le prove in vista di una giustizia futura verso migliaia di vittime innocenti. Una giustizia che è il prerequisito indispensabile per qualsiasi forma di riconciliazione.

Alla cerimonia hanno partecipato come componenti della giuria i giornalisti Tana de Zelueta e Riccardo Iacona, l’assessora ai Lavori Pubblici Ornella Segnalini, in rappresentanza del sindaco Gualtieri, e Simone Gamberini , presidente della Legacoop che sostiene il premio giornalistico.

Battistelli ha infine ribadito, nel segno della soluzione nonviolenta dei conflitti e della pace, «l’impegno affinché l’Italia renda attuabile, nell’ambito del riconoscimento dei diritti politici del popolo palestinese (a cominciare da quello di disporre di un proprio Stato sovrano), anche il pieno diritto a un’informazione libera e indipendente».

Premio Colombe d’oro giornalismo di pace Archivio Disarmo 2025. Foto Iriad

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