La crisi politica in Francia, la più grave della Quinta Repubblica, permane in una fase di profonda instabilità, con tre premier e quattro governi che si sono succeduti o dimessi in meno di un anno e mezzo. L’attuale primo ministro, Sébastien Lecornu, è stato incaricato per la seconda volta dal presidente della Repubblica Emmanuel Macron l’11 ottobre 2025, dopo essersi dimesso il 6 ottobre, a sole ventiquattr’ore dall’annuncio del suo primo governo, a causa dell’evidente mancanza di una maggioranza solida in Parlamento. Il Lecornu II, formato con un nucleo di macronisti e di tecnici, è chiaramente, come i tre precedenti, un esecutivo di minoranza che sopravvive solo grazie al sostegno esterno “testo per testo” di forze come Les Républicains (LR) e alcuni gruppi di centro.
Il 16 ottobre, il governo ha superato due mozioni di sfiducia, una presentata dalla destra del Rassemblement National di Marine Le Pen – che non aveva alcuna speranza di successo – e una seconda presentata invece dalla sinistra radicale La France Insoumise (LFI), salvandosi per soli 18 voti (271 contro i 289 necessari). Questo è stato possibile grazie alla sospensione della controversa riforma delle pensioni da parte di Macron, una concessione che ha convinto i socialisti a non votare a favore della mozione di sfiducia. Intendiamoci, Lecornu non ha la fiducia del Parlamento, ma solo una non-sfiducia.
L’anatra è zoppa, dunque. Nonostante la mozione sia stata respinta, la situazione resta comunque assai tesa: la mancanza di una maggioranza chiara all’Assemblea Nazionale rende estremamente difficile l’approvazione di qualsiasi legge, in particolare ovviamente la cruciale “Legge di bilancio” che deve affrontare l’elevato debito pubblico francese. Macron ha dato come primo obiettivo al Lecornu II proprio quello di approvare la legge di bilancio, senza la quale il Paese, e l’amministrazione pubblica soprattutto, si fermerebbe, creando disagi a tutti i cittadini.
Nel frattempo le estreme destre e sinistre continuano a invocare le dimissioni di Macron e/o l’indizione di nuove elezioni anticipate, temute poiché potrebbero portare una maggioranza all’estrema destra, ma rendendo ancora ingovernabile il parlamento e il Paese. La France Insoumise, indispettita dalla scialuppa di salvataggio gettata in mare dai socialisti per il galleggiamento di Lecornu (e Macron), sta di nuovo valutando un’azione per l’impeachment del presidente. Dunque, il governo ha ottenuto una sorta di vittoria di Pirro sulla sfiducia, ma la crisi è tutt’altro che risolta e la Francia naviga in un clima di forte incertezza politica ed economica.
Lo ricordiamo, la riforma delle pensioni, approvata nel 2023 tra forti proteste, prevedeva l’innalzamento graduale dell’età pensionabile da 62 a 64 anni. La riforma era stata approvata dal presidente senza l’approvazione parlamentare, per una prerogativa del capo dello Stato francese che in determinati casi può agire senza il consenso del sistema legislativo. Oggi, con la sospensione della riforma, Macron per salvarsi tradisce sé stesso, questa è la realtà.
François Bayrou, predecessore di Lecornu, aveva messo il dito nella piaga, sentenziando che il Paese si avvia alla bancarotta, con un disavanzo annuale che flirta col 6 per cento (quello italiano è più vicino al 3 per cento che al 4), e con un debito pubblico che ormai supera il 116 per cento del Pil, attestandosi oltre i tremilacinquecento miliardi (quello italiano è del 136 per cento, ma più o meno con la stessa cifra in assoluto dei transalpini). Il famigerato spread ormai vede appaiate Italia e Francia. Bayrou proponeva 44 miliardi di tagli alla spesa pubblica, cosa che Lecornu a fatica riuscirà a realizzare, anche perché la sospensione della riforma delle pensioni si stima che avrà un’influenza almeno dello 0,7 per cento supplementare sul deficit dello Stato annuale, che dovrà quindi essere altrimenti compensato.
Che la Francia viva ormai al di sopra delle proprie possibilità appare chiaro: perché in passato alla Grecia (e all’Italia) sono stati imposte politiche restrittive draconiane, cosa che si esita oggi a fare con la Francia? Certamente il contesto è diverso, e la solidità dell’industria e dell’apparato produttivo francese in generale è solido; ma continuando a questo ritmo di aumento del deficit e del debito pubblico nel giro di un paio d’anni l’Unione europea sarà costretta a richiamare duramente anche uno dei suoi soci fondatori.