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Perugia Assisi, una non notizia che cambia il mondo
a cura di Giustino Di Domenico
- Fonte: Città Nuova
Domenica 12 ottobre 2025, un grande evento di popolo che si mette in cammino da Perugia Assisi manifestando in modo creativo e nonviolento una volontà comune di pace che rischia di passare in secondo piano nella gerarchia dell’informazione perché “non notiziabile”. La testimonianza diretta di un cittadino di Assisi per andare al cuore della proposta che si fa strada dentro le coscienze per costruire una storia alternativa all’ineluttabilità della guerra
Oltre 200 mila persone, riferisce l’Ansa, alla Marcia Perugia Assisi 2025
Quale è il senso di questo grande evento di popolo che rischia di essere omesso o banalizzato nel flusso delle informazioni alla ricerca di ciò che appare notiziabile?
Ad illustrare le immagini dell’agenzia Ansa e di ASMdF
La testimonianza di un marciatore cittadino di Assisi
Ci sono giornate che ti rimangono addosso.
Oggi, tra Perugia e Assisi, è stata una di quelle. Un fiume umano che scorreva tra gli ulivi, senza rumore, senza rabbia. Solo il ritmo dei passi, la voglia di esserci, di dire “io ci sono”.
È stata una grande festa, ma anche una lezione civica a cielo aperto: un promemoria sul valore delle regole. Quelle che tengono in piedi il mondo — dal diritto internazionale alle norme che guidano le nostre città, dall’urbanistica al disarmo. Quelle che non sono burocrazia, ma strumenti per vivere insieme, per distribuire equamente risorse, sicurezza, diritti.
Perché la pace non è solo l’assenza di guerra. È una condizione di sicurezza umana: significa poter vivere senza paura, avere un lavoro dignitoso, un ambiente sano, istituzioni che rispettano la legge.
Negli ultimi mesi abbiamo sentito politici dire che “il diritto vale fino a un certo punto”.
Parole che possono sembrare battute da talk show, o gaffe da microfono aperto, ma che in realtà sono un tentativo di normalizzazione della politica del più forte. Perché quando si relativizza la legge, si apre la strada all’arbitrio, e chi ha più forza — economica, militare o politica — decide per tutti.
Eppure la storia recente ci ha già mostrato dove porta questa deriva.
Ventiquattro anni fa, tra Seattle, Porto Alegre e Genova, c’erano migliaia di giovani che chiedevano esattamente questo: regole globali giuste, capaci di mettere limiti al potere finanziario e di redistribuire la ricchezza.
Chiedevano un mondo fondato sulla cooperazione, non sulla competizione.
Sul disarmo, non sulle armi. Sulla sicurezza delle persone, non degli stati.
Quelle voci furono ignorate, zittite, in molti casi manganellate.
Il mondo ha scelto altre priorità, e oggi ne vediamo le conseguenze: guerre che tornano in Europa e in Medio Oriente, disuguaglianze che crescono, città che si svuotano di senso.
Eppure, oggi, tra Perugia e Assisi, quelle voci sono tornate.
In un’altra forma, con altri volti, ma con la stessa energia.
Quella di una generazione — la nostra, tra i trenta e i quarant’anni — che ha smesso di credere nella politica come spettacolo e vuole tornare a contare: nelle scelte pubbliche, nella pianificazione del territorio, nelle regole che orientano l’economia e la vita sociale.
Camminare insieme oggi è stato questo: dire che la pace non è un’utopia ma un progetto.
Che il diritto internazionale non è un limite, ma una garanzia.
Che la sicurezza non si costruisce con più armi, ma con più fiducia, più equità, più rispetto delle regole comuni.
La vera festa non è quella di oggi, tra canti e bandiere.
La vera festa comincia domani, quando torniamo nelle nostre città e scegliamo di prenderci cura dei luoghi che abitiamo, delle persone accanto a noi, della politica che ci rappresenta.
Perché la pace non è un traguardo: è un modo di vivere, di costruire, di decidere insieme.
È la regola più semplice — e la più rivoluzionaria: camminare insieme per tornare a contare.
Alessio Lanfaloni
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