Nel dicembre 2004 una tremenda nevicata nella provincia di Burgos, nel nord della Spagna, lasciò isolate più di seimila persone. Un anno dopo, nel mese di luglio, nella provincia di Guadalajara, un grosso incendio boschivo (13 mila ettari) uccise undici persone. Questi e altri episodi di forte rischio per la vita delle persone furono il fattore scatenante per la nascita, dentro l’esercito, di un settore dedicato all’intervento nei disastri naturali.
Il primo ministro dell’epoca, José Luis Rodríguez Zapatero, così lo annunciava il primo ottobre 2005: «Creazione di una grande unità militare di emergenza per affrontare disastri e situazioni a rischio». Sei giorni dopo nasceva l’Unità militare di emergenze (Ume). Composta oggi da 3.500 soldati (7% donne), l’Ume in questi vent’anni è stata coinvolta in 779 missioni, alcune anche all’estero: nevicate, incendi boschivi (558), alluvioni, terremoti, una pandemia, un’eruzione vulcanica e nel blackout di quest’anno.
Sono situazioni molto varie e, per intervenire, i soldati si preparano con programmi di formazione impegnativi che prevedono ogni tipo di emergenza. Questi soldati sono testimoni di come il fuoco, l’acqua o la lava possano distruggere tutto in pochi minuti.
Nel caso della pandemia, poiché aveva attivato un gruppo specializzato per operare in ambienti con elevate cariche virali e compiere la decontaminazione di persone e attrezzature, l’Ume ha potuto realizzare oltre 8.200 interventi di disinfezione in strutture particolarmente vulnerabili (aeroporti, stazioni ferroviarie, porti, istituti penitenziari, ospedali, centri di assistenza per persone disabili, case di cura). Tra le missioni più rilevanti dell’Ume: l’eruzione vulcanica a La Palma, la più grande nevicata degli ultimi cento anni in Spagna (2021), l’inondazione a Valencia che ha colpito 75 comuni (2024), e anche le missioni all’estero nei terremoti di Nepal, Haiti, Ecuador, Messico, Marocco e Turchia. Ed è stato in Turchia che una bambina, tirata fuori dalle macerie, ha detto al soldato che l’aveva salvata, abbracciandolo: «Tu sei il mio angelo». E lui si è commosso.
Questo cambio di sostantivo, da “soldato” a “angelo”, non mi fa solo impressione, ma mi fa pensare. Il reportage che i servizi informativi della televisione pubblica hanno offerto per commemorare il ventesimo anniversario dell’Ume è commovente. Francisco Javier Marcos, tenente generale a capo dell’Ume, dice nel reportage televisivo: «Non so se siamo angeli custodi, ma cerchiamo di esserlo. Qui le persone si donano senza limiti, senza calcoli. Ciò che vogliono è servire e salvare. A qualunque costo».
E poi ricorda episodi forti accaduti a Valencia: «Quando i soldati finivano il turno di 12 ore e andavano a riposare, molti di loro si cambiavano e, in abiti civili, tornavano nella zona alluvionata per lavorare. Li ho visti con i miei occhi». Lo stesso sottolinea il colonnello Javier Moreno: «Voglio che il cittadino sappia che l’unica cosa che ci muove è il suo benessere». Anche la testimonianza del soldato Abraham Núñez è toccante: «Siamo stati via da casa tra 40 e 50 giorni. Ma poi ti lasciano un biglietto in macchina. Oppure ti fermano e ti stringono la mano. Questo aiuta».