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Di chi è la maternità della pace a Gaza?

di Michele Zanzucchi

Michele Zanzucchi, autore di Città Nuova

Mentre tutti plaudono agli accordi per la Striscia di Gaza, non va dimenticata l’importanza delle manifestazioni proPal di queste settimane, così  come quelle dei familiari degli ostaggi, e quelle poco conosciute dei palestinesi stessi. La pressione popolare esiste ancora, la partecipazione dei singoli ha il suo grande peso e ha sicuramente influito sulla tregua tra Palestina e Israele

Manifestanti per Gaza e per la Global SUmud Flotilla a Roma 4 ottobre 2025, foto di Sara Fornaro

Ci sono voluti 67 mila morti e 165 mila feriti in campo palestinese e circa duemila morti in campo israeliano per riuscire, dopo due anni, a far cessare il rombo delle armi, a firmare un primo accordo per il cessate il fuoco e, si spera, a realizzare la pace nella Striscia di Gaza, in Palestina e più generalmente in Medio Oriente. Non siamo, tuttavia, ancora alla pace, che potrà essere dichiarata solo tra qualche tempo, qualora venissero superati i grandi ostacoli che ancora si frappongono soprattutto sull’autonomia di Gaza, sulla sua governance e sulla ricostruzione, oltre che ovviamente sull’insieme delle relazioni tra israeliani e palestinesi.

Il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, e quello di Israele, Benjamin Netanyahu. Ansa, EPA/SHAWN THEW

La dichiarazione di Trump, che sembra (il condizionale è d’obbligo) aver raggiunto un primo obiettivo in campo internazionale, è solo un primo passo. I prossimi mesi diranno se l’accordo funziona e quanto esso influirà sugli equilibri della regione.

Una questione resta aperta nel cercare di capire in che modo si sia potuti giungere agli accordi, e quali siano stati i fattori decisivi. Certamente le componenti militari e politiche sul terreno hanno avuto il loro peso, così come la pressione dell’amministrazione Trump sul governo israeliano, pur con le sue mosse spregiudicate e imbarazzanti (per lui), quali l’annuncio della Riviera di Gaza o l’intenzione di espellere due milioni di gazawi dalla loro terra. Certo è che la tregua è il primo risultato e dovrà essere seguita dallo stop dei bombardamenti e dal rilascio degli ostaggi, ma la pace andrà comunque conquistata.

Proteste per Gaza e a sostegno della Global Sumud Flotilla a Roma. Foto di Sara Fornaro

Un elemento poco evidenziato in queste ore convulse – anche se qualche dichiarazione lo lasciava intendere, sia negli ambienti della Casa Bianca che in quelli governativi israeliani – è il peso che hanno avuto le manifestazioni popolari sull’accordo. Da una parte bisogna riconoscere che le manifestazioni dei familiari degli ostaggi palestinesi e dei loro sostenitori, che si susseguono da due anni, riempiendo le piazze di Tel Aviv, Gerusalemme e Haifa, sono state una spina nel fianco del governo Netanyahu e ne hanno fiaccato la resistenza. Non va mai dimenticato che la società civile israeliana è una delle più forti e meglio organizzate al mondo.

Dall’altra parte, va evidenziato come la crescita esponenziale delle manifestazioni proPal in tutto il mondo abbia messo con le spalle al muro l’intero mondo ebraico – circa 17 milioni nel mondo -, evidenziando il rischio di un progressivo isolamento di Israele a livello internazionale. Se poi si aggiungono la determinazione di tanti Paesi, Francia e Gran Bretagna in testa, di riconoscere lo Stato di Palestina, e la crescita angosciante, soprattutto in Europa, degli atti di antisemitismo – da qualche tempo aumentano gli ebrei che abbandonano Europa e Israele per trasferirsi nel Nord America –, si può capire perché la determinazione di far piazza pulita dei palestinesi di Gaza, ma non solo del governo Netanyahu, sia stata fiaccata e si sia giunti a un accordo accettabile tra le parti. Anche in campo palestinese, gli osservatori più attenti da qualche tempo notavano un abbandono popolare delle milizie di Hamas e della loro visione politica.

In questi due anni, la domanda che più spesso mi sono sentito rivolgere nelle tante discussioni pubbliche cui ho partecipato, ma anche sui social, è stata: ma cosa mai possiamo fare noi semplici cittadini per la pace? Ebbene, se pace ci sarà, questa verrà in primo luogo dalla pressione popolare. La partecipazione dei cittadini in Israele, a Gaza e nel mondo intero ha raggiunto una massa critica tale da “far paura” anche a coloro che sembravano refrattari a ogni segno di umanità. E se qualche grande di questo mondo si intesterà la pace, pur senza averne la paternità morale, poco male, la pace viene prima di tutto, la cessazione delle ostilità va pagata a qualsiasi prezzo. La maternità di questi accordi sarà però di tutti coloro che hanno dato il loro piccolo, piccolissimo contributo, alla fine del conflitto. Anche un semplice like dato sui social.

Ma guai a credere che tutto sia fatto, ormai. La pace va costruita giorno dopo giorno, vegliando come sentinelle alla sua attuazione, come diceva quel gran uomo di pace che era Massimo Toschi.

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