Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar condanna il riconoscimento all’esistenza di uno Stato Palestinese da parte di alcuni Paesi occidentali che prendono posizione all’80ma sessione dell’Assemblea Generale della Nazioni Unite in corso a New York fino al 30 settembre. Sessione alla quale l’anziano leader della da tempo fatiscente Autorità Nazionale Palestinese, Mahmud Abbas, può partecipare solo da remoto, per esplicito rifiuto del visto di ingresso posto dal presidente Usa, Donald Trump, nei suoi confronti.
Con le dichiarazioni di riconoscimento di uno Stato Palestinese da parte di Francia, Regno Unito, Malta, Portogallo, Canada e Australia, e nei prossimi giorni il Belgio, i Paesi presenti all’Onu che optano per il riconoscimento della Palestina sono ormai oltre 150, su 193 paesi membri. Evidentemente un riconoscimento che si pone come auspicio e segnale. Il governo italiano, invece, non è tra i sostenitori della mozione, nonostante le recenti manifestazioni di domenica 21 e lunedì 22 settembre indichino onestamente un’ampia richiesta popolare di porre fine al massacro e di opposizione alle deportazioni e alle annessioni annunciate.
Il ministro israeliano Sa’ar ha aggiunto alla sua indignata condanna: «Questa dichiarazione non promuove la pace. Al contrario, destabilizza ulteriormente la regione e mina le possibilità di raggiungere una soluzione pacifica in futuro». Quanto sia lontano questo futuro “pacifico” non l’ha detto, e mi sembra di capire che ogni eventuale pace futura sarà comunque una “pax iudaica” (e/o americana). Alla maniera della famosa “pax romana” di Tacito (inizio II sec. d.C.): «Là dove fanno il deserto gli danno il nome di pace».
Entrare nello specifico della faccenda è complesso, date le ormai irriducibili polarizzazioni, ma ritengo molto interessante la presa di posizione che un autorevole economista statunitense, docente alla Columbia e collaboratore delle Nazioni Unite, ha pubblicato in forma di lettera aperta rivolta proprio al ministro Sa’ar. L’autore, Jeffrey D. Sachs, di famiglia ebrea, ha originariamente pubblicato la sua presa di posizione alla fine di agosto scorso su Other News, disponibile anche in italiano sul sito.
Le affermazioni di Sachs sono articolate e chiare. Esordisce rivolgendosi direttamente al ministro Sa’ar (traduzione italiana ripresa da assopacepalestina.org): «Le scrivo in seguito al suo discorso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 5 agosto. Ho partecipato alla sessione… Nel suo discorso lei non ha riconosciuto il motivo per cui quasi tutto il mondo, compresi molti ebrei come me, è inorridito dal comportamento del suo governo. Secondo l’opinione della maggior parte del mondo, che io condivido, Israele è impegnato in un genocidio e in una politica di fame; dal suo discorso non si direbbe».
Verso la fine della sua lettera aperta, Sachs sostiene a proposito dei due stati (Israele e Palestina): «La soluzione dei due Stati è la via, l’unica via, per la sopravvivenza di Israele. Potete credere che le armi nucleari e il governo degli Stati Uniti siano la vostra salvezza, ma il potere bruto sarà effimero se continuerà la grave ingiustizia di Israele nei confronti del popolo palestinese. I profeti ebrei hanno insegnato più volte che gli stati ingiusti non sopravvivono a lungo».
Un altro giornalista, il palestinese Nabil Amro, sul periodico filosaudita al-Sharq al-Awsat (citato nella sempre eccellente rassegna stampa di oasiscenter.eu curata da Chiara Pellegrino) commenta la di fatto annessione israeliana della Cisgiordania descrivendo Israele come un Paese «affetto dall’ossessione di diventare una superpotenza…». E lo stesso autore avverte che la prospettiva dell’annessione «costringe a rivedere questioni che sembravano ormai stabilizzate in Medio Oriente. Se l’annessione avrà luogo, sarà un colpo di mano compiuto da Israele, che si troverà nuovamente in rivalità sostanziale con tutti i Paesi della regione, se non con il mondo intero». E questo segnerà la fine definitiva e ingloriosa anche dei Patti di Abramo.