Di una vita è più bello il “prima” o il “dopo”? La vita è certamente un grandissimo dono, ma la vita eterna? Resta il mistero. Ma se già oggi, dopo la morte prematura di Gioele Fortina a soli 21 anni, si assaporano momenti di eternità che non passano si intuisce e si sperimenta che il “dopo” apre ad una immensità incommensurabile.
Due mesi fa, il 19 luglio, Gioele si allontana dalla casa della nonna a Demonte vicino Cuneo per raccogliere delle erbe utili per le tisane. Sono circa le 12.30, abbandona la strada asfaltata e si dirige verso un pianoro, un terreno pianeggiante non molto esteso, non si avvede di uno strapiombo e precipita.
Eppure, l’eternità Gioele l’aveva sperimentata già in vita. Era fatta di attimi densi in cui era totalmente presente a se stesso. Amava ascoltare gli altri, essere per loro, far sentire l’altro la persona più importante della sua vita, che era nato solo per quello, per stargli vicino, accompagnarlo, cercare di farlo felice. Non a parole, ne usava poche anche se molto profonde e accompagnate da una voce calda, ma con semplici gesti di vicinanza, di condivisione del tempo, del saper cogliere le necessità altrui.
Il suo era uno “sprofondarsi” nel presente perché, forse aveva trovato lì quello che cercava nella sua incessante ricerca. Nel “qui e ora” si apriva uno spazio di immensità, in fondo era tutto quello che doveva fare, con attenzione, cura, tendenza alla perfezione. Sia si trattasse di preparare un limoncello, o di aiutare una sorella a studiare, o di far compagnia alla nonna vedendo La Divina Commedia spiegata da Roberto Benigni.
L’equilibrio era nella sospensione di fare un passo in avanti, verso l’altro. Forse aveva capito che tutto ciò che è vissuto nell’amore rimane per sempre. Quello strapiombo, in fondo, era un’apertura, un passaggio verso una vita di cui si vede la porta, ma non ciò che dischiude. In fondo è questa la fede: che dopo la morte non si muoia più. Non ha importanza una vita che si pensa incompiuta, ancora in ricerca della professione e degli studi. L’importante è che Gioele aveva trovato il centro in Cristo, l’alfa e l’omega, il centro di quella creazione che ha tanto amato interessandosi della natura, di eco villaggi, di lavanda raccolta e distillata con le proprie mani, l’ultimo suo lavoro, e di voler continuare gli studi nel campo ambientale perché voleva stare a contatto con la natura e dare un contributo al nostro pianeta.
Gioele è figlio primogenito di Chiara Bressi e di Matteo Fortina di Savigliano (CN), seguono Gloria, 18 anni, Marta, 16 anni e Marco 7 anni. Una bella famiglia dei Focolari che l’ha amato, accompagnato, sostenuto nelle sue scelte e ricerche che lo hanno portato, dopo gli studi della scuola superiore di informatica, per un anno all’Accademia di Belle Arti di Bologna, ma non era la sua strada. E poi a lavorare come operaio in un’azienda biologica che coltiva la lavanda fino all’ultimo giorno della sua vita perché voleva svolgere un lavoro manuale prima di tornare agli studi universitari.
Un’esperienza fondamentale per Gioele è stata trascorrere tre settimane estive presso una baita di montagna nel bosco di castagni lungo la strada che conduce al monastero di Pra ‘d Mill. È “un luogo lontano di immersione e indagine per i ragazzi” per un progetto chiamato la “Betania dei cercatori” aperto a tutti i giovani, credenti e non, alla ricerca di fraternità, sogni, orizzonti di senso che sono seguiti da una coppia di adulti con la prossimità dei monaci che si fanno presenti in modo discreto.
A Gioele si apre uno scenario che lo porterà a trascorrere due mesi, a fine 2024, nel monastero Cistercense Dominus Tecum a monte della radura di Pra ‘d Mill nei boschi ai confini tra l’Italia e la Francia nel silenzio delle montagne per aprire un ulteriore spazio di riflessione personale sulla propria vita. Due mesi dove, come suo solito, si era immerso nella nuova esperienza, mettendosi in gioco, ricercando la verità. E la verità, lo sa chi l’ha trovata, non è mai statica, apre ad una continua ricerca, apertura, profondità maggiore. Non si possiede, ma ci possiede. Aveva avvertito la necessità di fare silenzio, di allontanarsi dal frastuono, dal rumore che impediscono di calarsi dentro di sé.
«Sento che è un momento per me – aveva detto ai monaci – in cui qualcosa può nascere e il fermarmi nell’avere un tempo scandito è un lusso che non provo da tempo». Cercava un luogo come «un passero che trova casa, come una rondine il suo nido». Girovagava con la Bibbia sotto il braccio, condivideva i tempi e il lavoro dei monaci. «Hai visto avanti a te nuovi orizzonti – ha detto il priore padre Emanuele Marigliano nell’omelia del funerale di Gioele –, o meglio una nuova consapevolezza. Hai ripreso il cammino di ricerca, ma consapevole della “casa”: il cuore del Padre! Nel deserto di questa valle, nel silenzio del tuo soggiorno tra noi, hai intravisto bagliori di eternità, pur continuando ad abitare le tue domande».
In questo contesto, anche se non significava aver trovato la propria strada, aveva compreso qualcosa di più ampio. Qualsiasi sarebbe stato il sentiero da percorrere nella sua vita verso la vetta «il centro era Cristo!». Rientrando a casa, terminata l’esperienza a Pra ‘d Mill, Gioele aveva scritto questo biglietto: «Mi sono fatto silenzioso cacciatore di silenzi e ho imparato che il “vero” silenzio è una frusta che affonda nella carne, alla ricerca di una profondità in cui, solo mollando la presa, si possono intravedere bagliori di eternità”.
Quegli stessi bagliori che i suoi familiari e amici avevano colto. Sono molti i ricordi, i frammenti che cristallizzano degli istanti di vita. L’amica di famiglia Eleonora ricorda Gioele che «entrava a piedi scalzi nella nostra casa con il suo fare molto discreto mettendosi ad aiutare a fare i compiti con mio figlio Martino. Con me e mio marito ha condiviso pezzi della sua vita, riflessioni, scelte. Per me è stato un grande dono».
Matteo il marito di Eleonora notava come Gioele apprezzasse «la nostra esperienza di comunità con altre famiglie che vivono nello stesso condominio» e «mi colpiva come usasse sempre il plurale, “noi abbiamo”, per sottolineare l’importanza delle relazioni e dell’appartenenza ad una famiglia allargata anche se risiedeva in altre città».
Un giorno scrisse una frase su una lavagnetta situata in uno degli spazi in comune della comunità: «La cosa più bella di crescere in una comunità è quando ti accorgi che ciascuna delle persone con cui hai vissuto ieri, abita il tuo essere oggi».
Gli amici di famiglia Paolo e Ilaria lo raccontano come una persona sempre pronta a mettersi in gioco, capace di rischiare, di non accontentarsi e che non aveva nulla da salvare secondo il motto evangelico: «Chi perde la propria vita la troverà» ed «era capace di farsi grande con i grandi, piccolo con i piccoli. Il tempo per lui non era quello dell’orologio, lo misurava con il cuore».
La mamma Chiara lo vedeva innamorato dell’arte, della bellezza e «mi colpì che quando andò a Bologna non fu solo per gli studi universitari perché si mise alla ricerca dei poveri, del loro volto». «Tanti – continua Chiara – mi hanno ricordato il suo sguardo profondo e penetrante, il suo saluto attento perché ogni persona per lui era la più importante. Aveva questa capacità molto empatica di saper entrare subito in relazione. Era pacato ed un paciere nei conflitti, un uomo di pace».
Il papà Matteo lo ammirava per la sua intelligenza e capacità di portare in fondo le cose. E quando al quarto anno delle scuole superiori aveva insufficienze in varie materie riuscì a recuperare. «A ripensarci oggi – racconta il papà – un giorno ho avuto una sensazione strana. Come se fosse arrivato alla fine della sua vita perché era molto saggio, come un anziano, capace di riflessioni profonde, di ascoltare, di interiorizzare e saper mettere in pratica».
Conclude lo zio Stefano, fratello della mamma che ricorda, a proposito della realizzazione del limoncello «come Gioele facesse qualsiasi azione al cento per cento. Inoltre, avevo sempre la sensazione che, se anche fosse più piccolo, voleva lui ascoltare le nostre vite. Il suo funerale è stato una festa, un link tra cielo e terra. Si definiva un cacciatore di silenzi e, penso di aver incontrato il suo silenzio che ci permette oggi di fare, nonostante il grande dolore, un’esperienza di luce. E quando siamo insieme, sentiamo che Gioele è presente». Oltre la morte.