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Nepal, generazione Z a rischio il futuro

di Ravindra Chheda

- Fonte: Città Nuova

Quanto successo nei primi giorni di settembre nella capitale nepalese, Katmandu, è un segnale importante perché parla di un disagio globale della cosiddetta Generazione Z, quella nata fra il 1995 e il 2005

Proteste in Nepal EPA/NARENDRA SHRESTHA

Il Nepal è uno stato troppo piccolo per fare notizia, specialmente in un momento come questo che vede il rischio di una guerra nucleare sempre più vicino e lo sterminio di una popolazione e la sua evacuazione forzata dalla propria terra ormai fatto quotidiano. Eppure quanto accaduto nei giorni scorsi a Katmandu esprime un segnale da non trascurare.

Che il Nepal abbia problemi interni non è una novità. Il piccolo stato himalayano – che poi così insignificante non è con i suoi trenta milioni di abitanti – è da un paio di decenni caratterizzato da tensioni che prima hanno portato alla cacciata della monarchia, e successivamente ad una costante instabilità nei vari esecutivi che si sono succeduti, con tendenze maoiste e non, a tentare di convogliare le aspirazioni della popolazione.

Questa volta la questione è stata portata sulle strade – ed erano migliaia e migliaia i giovani intervenuti – lunedì 8 settembre, per il blocco dei social media imposto dal governo e revocato immediatamente onde evitare una spirale incontrollabile di violenza e conseguenze socio-politiche. Tuttavia, il bilancio non è stato affatto trascurabile: almeno una ventina i morti e centinaia i feriti, a causa degli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza.

La rabbia incontrollata è esplosa in seguito alla decisione del governo di chiudere 26 piattaforme social, tra cui WhatsApp, X, Facebook, YouTube, a causa dell’accusa di non rispettare le leggi locali contro frodi, reati e disinformazione. Le autorità hanno giustificato la misura come necessaria per contenere le fake news e l’incitamento all’odio, e garantire maggior sicurezza.

Tuttavia, per un angolo del pianeta incastrato fra Himalaya, Karakorum e due giganti come India e Cina, il provvedimento ha rappresentato un tentativo di interrompere i rapporti col mondo. In particolare, per i giovani sotto i 30 anni – quelli appunto della “generazione Z” – il provvedimento ha rappresentato un attacco alla libertà di espressione, di accesso agli spazi digitali e una forma di censura. È necessario, comunque, ritornare al vero attacco che ha creato la reazione governativa.

Nelle settimane precedenti alla decisione del Primo Ministro in carica era stata lanciata proprio sui social media una campagna denominata “nepo kid” (forma breve per “nepotismo dei figli”). Si è trattato di una messa a nudo dello stile di vita sfarzoso dei figli dei politici, accusati di nepotismo e corruzione. La questione ha, quindi, soprattutto risvolti politico-sociali e non solo comunicativi. L’insurrezione giovanile, iniziata nella capitale, si è subito diffusa anche in altre parti del Paese dove le comunicazioni stradali sono più problematiche e per i giovani resta decisiva la connessione alle piattaforme digitali per restare collegati con il mondo.

Tuttavia, ci sono chiavi di lettura più articolate di quella di una semplice insurrezione giovanile della generazione della globalizzazione. Il settimanale indiano India Today, probabilmente la rivista a più alta tiratura nel sub-continente indiano, assai quotato e apprezzato per le sue analisi socio-politiche, in un editoriale ha messo in evidenza come sia difficile pensare che il semplice ordine di chiusura di alcune piattaforme digitali abbia scatenato una violenza come quella che si è vista a Katmandu. Gli attacchi, infatti, si sono subito subito concentrati sui simboli del potere statale con furia sfrenata.

Il Parlamento è stato vandalizzato e dato alle fiamme – l’esempio dei fedelissimi di Trump e di Bolsonaro ha evidentemente fatto scuola anche in Nepal! –, così come l’ufficio del Presidente, la Corte Suprema, le sedi dei partiti, le case del Presidente, del Primo Ministro e di altri politici. Altri ex-politici o loro famigliari sono stati assaliti e malmenati. Addirittura, il Ministro delle Finanze è stato inseguito per strada e un parlamentare è stato spogliato. Si tratta di scene che parlano della rabbia repressa di un’intera generazione.

In effetti, il Nepal era riuscito a stabilire un solido sistema online, con uno dei tassi di utilizzo più alti dell’Asia meridionale. Nonostante questo, il premier K.P. Sharma Oli – che ha poi rassegnato le dimissioni dopo la violenta reazione giovanile – non poteva prevedere cosa avrebbe provocato la sua decisione di imporre un blocco.

Evidentemente, si è trattato della scintilla finale di un processo di crescente tensione: anni di frustrazione per la corruzione, il nepotismo e l’ostentazione di una élite al potere che ha fallito nella realizzazione delle sue promesse iniziali di assicurare un buon governo. Per questo qualcuno parla delle “proteste della generazione Z” come di un atto di purificazione etica della governance. Andando ancora più a fondo nella crisi, si può scoprire senza troppa difficoltà come alla base del desiderio represso di cambiamento di questa generazione, stia lo spettro della disoccupazione.

Nel censimento del 2021, gli under 30 rappresentavano quasi il 56% della popolazione del paese, e il 42,5% nella fascia di età produttiva 16-40. Il tasso di disoccupazione complessivo del Nepal si attestava al 10,8% nel 2024, ma, significativamente, tra la generazione Z (15-24 anni), il tasso di disoccupazione aveva raggiunto il 20,8%, quasi il doppio del tasso nazionale. Questo perché, con le peggiori infrastrutture stradali in Asia e un sistema politico afflitto da corruzione e instabilità, il Nepal ha storicamente investito meno del suo potenziale in investimenti esteri.

In generale, comunque, al di là di una situazione endemicamente instabile dello stato himalayano, dovrebbe far riflettere che le proteste di Katmandu confermano il disagio globale della generazione più tipicamente globalizzata di sempre. Sarebbe opportuna una riflessione adeguata perché si tratta di un nodo cruciale per il futuro dell’umanità.

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