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Rigen e la comunione dei carismi

di Oreste Paliotti

Come fra Camillo Bianchin è diventato ancora più francescano col supporto della spiritualità dell’unità

Un’immagine delle Dolomiti, luogo in cui è partito il nuovo percorso spirituale di fra Camillo Bianchin (foto Pexels)

Frate francescano minore nato a Catena di Villorba (Treviso), Camillo era noto anche come Rigen (Rigenerato), nome avuto da Chiara Lubich quando fin dai primi anni della formazione, venuto in contatto col Movimento dei Focolari, come altri confratelli e religiosi di diversi Istituti aveva «scoperto un “di più”: la possibilità di vivere la propria vocazione in “unità” con altre vocazioni – questa la grande scoperta! –, condividere il dono ricevuto, perché nella comunione ognuno si arricchisce del dono dell’altro e vede risplendere il proprio di luce nuova». Così ne parla Fabio Ciardi nel presentare Rigen. Piccola storia di fr. Camillo Bianchin ofm. edita dal Messaggero di Padova. Un profilo biografico scorrevole, scritto in stile prettamente narrativo dal salesiano Paolo Baldisserotto, amico di sempre e testimone privilegiato della “minorità” francescana vissuta da fra Camillo lungo tutto il suo percorso come sacerdote, animatore del Centro giovanile universitari da lui fondato a Padova, parroco a Treviso dal 1990 al 2007 e poi guardiano della Fraternità di Saccolongo dal 2007 fino alla morte nel 2013. Non solo ma, coniugando con sapienza l’appartenenza alla famiglia francescana e ai Focolari, per lunghi anni era stato “perno” dei religiosi del Veneto aderenti al Movimento.

Fra’ Camillo Bianchin

Rigen, rigenerato… Per spiegare il significato del suo nuovo nome bisogna risalire agli incontri vissuti da fra Camillo sulle Dolomiti con altri giovani religiosi di varie congregazioni e ordini nell’estate del 1973. Così don Paolo, che quella medesima esperienza ha condiviso, esplicita la finalità di quelle riunioni: «Approfondivano la conoscenza del carisma di Chiara Lubich, lo commentavano con la vita dei propri fondatori, anzi, riscoprivano la bellezza dei carismi nella Chiesa, sperimentavano la cosiddetta “comunione dei santi”; guardavano ora a tutti i fiori del giardino della Chiesa che nei secoli lo Spirito Santo aveva fatto fiorire! Nel cuore di Camillo e di noi tutti si passava di meraviglia in meraviglia, di scoperta in scoperta, perché ci veniva donato lo spessore dottrinale del carisma dell’unità. A piccoli passi, senza fretta, avendo l’unico “Maestro” tra noi entravamo, per così dire, nel mistero di Gesù Crocifisso e Abbandonato. Non erano lezioni, ma meditazioni; non erano cose da sapere, ma da mettere in pratica».

Quanto a Camillo, «sempre più nella sua anima prendeva consistenza la realtà di Gesù che ci genera e rigenera continuamente dalla croce». E avendo manifestato a Chiara questo suo sentire in una lettera in cui s’impegnava a vivere anche lui il dolore offerto per amore, in ultimo le chiedeva «una parola di vita che mi aiuti ad essere di più questa realtà e un nome nuovo che esprima questa vita nata dal tuo cuore». Indicatrice del suo dover essere la parola ricevuta, tratta dal Vangelo di Giovanni: «E noi abbiamo creduto all’amore». E Rigen (Rigenerato dalla Parola, come richiesto da Gesù a Nicodemo nell’incontro notturno) il nome nuovo, secondo una prassi che affonda le radici nel passato remoto fin dalla chiamata di Abramo.

Temperamento mite e accogliente, cosa cambiava al giovane frate questa tappa spirituale, quali le conseguenze per la sua vita? Ancora Fabio Ciardi: «Camillo ha imparato ad amare, con una concretezza proverbiale, che lo ha reso attento a ogni persona. Per lui ogni persona era unica e a lei si dedicava con pazienza, con la sua solita calma, diventata ormai una virtù provvidenziale, che gli consentiva di cesellare ogni anima, di non lasciare da parte nessuno, di accompagnare fino in fondo, fino al compimento della missione. Amore personale che è diventato amore “collettivo”, verso il popolo della parrocchia, delle comunità di cui faceva parte, dei gruppi che gli venivano affidati. Amore verso le altre famiglie religiose, che lo ha portato a dare vita a iniziative intelligenti e creative, ben al di là della propria famiglia. Proprio questo esercizio d’amore e d’unità, con tutti e verso tutti, ha avuto come effetto quello di renderlo autentico francescano, una persona libera, generosa, nella perfetta letizia. Un percorso che può continuare ad essere specchio per tanti che vogliono vivere in pienezza la propria vocazione, qualunque essa sia. Basta che sia vissuta in unità e nell’amore».

«Camillo – prosegue don Paolo – era in qualche modo la nostra punta di diamante. Quello che capitava a lui, per l’unità, aveva subito una ripercussione in noi tutti giovani religiosi del Triveneto. Ricordo che assieme a Patrizio, Gianni, Danilo, noi salesiani siamo andati dal nostro superiore a dirgli che non solo ci mettevamo a servizio della comunità così com’era, ma volevamo sapere cosa più gli stava a cuore e in che cosa potevamo aiutarlo. Ci siamo sentiti responsabili: “sposare la comunità”, le persone concrete, non le ideologie. Questo era il frutto della spiritualità dell’unità in noi religiosi».

Autunno del 2007: l’ultimo incarico di fra Camillo, quello di guardiano dei confratelli più anziani e malati a Saccolongo, è l’occasione per amare un altro volto di Cristo sofferente. Al momento di accomiatarsi dai suoi parrocchiani di Treviso, «alla fine della messa scende i gradini dell’altare e si inginocchia per chiedere scusa e così ricevere il perdono di tutti»: un gesto effettuato con grande semplicità, quasi liturgico; un distacco visto come «allenamento per quel giorno in cui dovrò fare definitivamente valigie per il cielo. È grazia dunque…».

Nella infermeria provinciale dei Frati minori Camillo rimarrà direttore spirituale e confessore fraterno ed equilibrato; lavorerà molto anche per la causa di beatificazione di un confratello, padre Daniele Hechich, finendo poi per ammalarsi anche lui di un male che non perdona. La lezione di vita ricevuta in quegli ultimi tredici anni: l’autorità da esercitare come servizio; gli ammalati, il personale, i fornitori, i visitatori, le autorità civili considerati come propri “padroni”; in una parola, far da padre e madre come in una famiglia e come voleva Francesco. Quanto al dottore che lo ha seguito fino alla fine, si è sempre trovato «davanti ad un uomo sereno, accogliente; un paziente cioè che aveva una pace di fondo, un segreto a cui attingere costantemente».

Accanto alla vicenda terrena di fra Camillo, il libro racconta le esperienze di un gruppo di religiosi che, con lui, ha vissuto agli inizi degli anni Settanta una vera profezia: essere fratelli di tutti, portare l’armonia, l’amore tra le famiglie religiose (nel loro caso, quelle del Triveneto), formare persone a servizio dell’unità, quella per la quale Gesù ha pregato il Padre. Rimanendo inseriti in un orizzonte più vasto: quello dei giovani appartenenti ai Focolari, i gen, che già dalla fine degli anni Sessanta avevano cominciato a collegarsi qua e là nel pianeta, dove era attecchito l’Ideale di Chiara, dando vita a iniziative e manifestazioni proprie, nelle quali «si respirava un’atmosfera di cosmopolitismo, dove le differenze e le diversità erano evidenti, ma tutte convergevano in un’unica espressione: il “mondo unito”».

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