Le nostre storie con le famiglie d’origine inevitabilmente impattano sulla nostra relazione di coppia. Mario per esempio ha una storia complicata alle spalle e una tristezza che gli deriva dalle ferite dell’infanzia: sentirsi trascurato e non visto dalla madre, a sua volta afflitta da un lutto importante, viene curata dalla capacità di accudimento di Daria.
Daria, dal canto suo, ha imparato dai suoi genitori che per essere vista è necessario stare sempre in movimento, non dire mai di no, spendersi senza mai mettere confini. Quando si incontrano il loro incastro di coppia è perfetto. Si sono scelti non per caso.
Col tempo però qualcosa comincia a scricchiolare. La loro relazione riflette aspetti non risolti di entrambi ed è fortemente condizionata dai loro vissuti infantili. Negli anni Mario ha cominciato a vivere la vitalità di Daria, che tanto lo curava agli inizi della relazione, come una sopraffazione rispetto ai suoi desideri e ai suoi spazi. “Daria è troppa!”, mi dice Mario in un colloquio.
E Daria, a sua volta, sotto le critiche di Mario non si sente più capace di essere per lui fonte del suo benessere e soffre enormemente di questa perdita: se lei non adempie a questo compito di cura, la sua vita comincia a non avere più senso.
È accaduta una sorta di collusione tra i loro bisogni e le loro storie e le aspettative che entrambi avevano rispetto alla loro relazione. Daria non riesce più a essere motivo di gioia per il marito e sente allo stesso tempo i suoi bisogni di crescita e autorealizzazione non soddisfatti. Mario esplode quando non riesce a contenere l’esuberanza di Daria, che vive come non rispettosa della sua identità e, nello stesso tempo, anche lui si sente frustrato nei suoi bisogni di definire la realtà secondo i suoi schemi e i suoi tempi, inconciliabili con quelli della moglie.
Di conseguenza, la loro relazione da molti anni è estremamente conflittuale. Tuttavia, il conflitto paradossalmente assume la funzione di impedire la separazione emotiva dal partner, poiché, come dice la letteratura, anche se prevale l’odio è impensabile e impossibile la separazione (Il famigliare. Legami, simboli e transizioni di E. Scabini e V. Cigoli, 2000).
Inoltre, le reciproche accuse, che si ripetono uguali negli anni senza che nulla cambi, possono essere addirittura lette in termini di difesa dalla possibilità di effettuare un cambiamento, che andrebbe a rompere l’omeostasi della coppia (Gli itinerari dell’amore. Superare la crisi: dalla passione all’abbandono amoroso, di Nanetti F., 2005).
Si parla in tal caso di un assetto collusivo della loro coppia, intendendo con questa espressione una dinamica relazionale inconscia e disfunzionale in cui Daria e Mario si completano e rinforzano a vicenda i loro conflitti e bisogni irrisolti, derivanti spesso da traumi infantili, per mantenere una relazione stabile ma sofferta. Questa alleanza reciproca fornisce una soluzione illusoria ai conflitti interni, ma blocca la crescita individuale e può portare a un’eterna ripetizione di sofferenze e conflitti.
È stato fondamentale per la coppia di Mario e Daria prendere consapevolezza dei propri bisogni inconsci, comprendendo che il partner appagava determinate aspettative e rimandava traumi infantili, perpetuandoli nel legame presente e che la coppia, paradossalmente, collaborava per mantenere una situazione relazionale negativa e disfunzionale, che però diventava anche l’unica difesa dall’angoscia e dalla solitudine.
Si è trattato di comprendere che il loro rapporto, pur generando sofferenza, impediva loro di pensarsi senza l’altro perché l’abbandono del partner e l’eventuale solitudine erano per entrambi fonte di grande dolore. Quindi l’idea di fondo era quella di continuare a mantenere un legame altamente conflittuale, preferendo la sofferenza conosciuta alla sfida di un cambiamento.
Iniziare a riflettere sulle ragioni del loro stare insieme e sul dolore provocato dalla loro conflittualità è stato il primo passo per decidere i passi da compiere per disincastrarsi dalla loro collusione. È stato così possibile cominciare a guardarsi l’un l’altro non più come nemici, ma come due adulti che potevano scegliere di non farsi più tiranneggiare da quella parte bambina ferita di ciascuno che, prima gridava all’altro i suoi bisogni pretendendo attenzione e ascolto, ma che ora, diversamente da prima, può essere accolta e contenuta come risorsa e non come ostacolo.