Anas al-Sharif, 28enne, sapeva che la sua vita era a rischio per il fatto di raccontare la verità su quanto accade nella Striscia di Gaza, dove era cresciuto. Per questo ad aprile aveva lasciato pronto il suo testamento, pubblicato postumo su X. In questo si legge: «Vi esorto a non lasciarvi mettere a tacere dalle catene o fermare dai confini. Siate ponti verso la liberazione della terra e del popolo, finché il sole della dignità e della libertà non sorgerà sulla nostra patria rubata».
E ancora: «Vi esorto a prendervi cura del suo popolo, dei suoi bambini oppressi a cui non è stata data la possibilità di sognare o di vivere in sicurezza e pace, i cui corpi puri sono stati schiacciati da migliaia di tonnellate di bombe e missili israeliani».
Con lui sono morti anche altri 5 comunicatori: Mohammed Qreiqeh, Ibrahim Zaher, Mohammed Noufal, Mosaab Al Sharif e Mohammed al-Khalidi. Sono stati volutamente attaccati da Israele nella tenda dalla quale raccontavano i bombardamenti, nei pressi dell’ospedale al-Shifa di Gaza City.
Mentre il governo israeliano si giustifica accusando al-Sharif di essere «un terrorista mascherato, a capo di una cellula di Hamas», il Comitato internazionale per la protezione dei giornalisti (Cpj) denuncia che l’uccisione mirata dei cronisti «è un crimine di guerra», mentre l’agenzia delle Nazioni Unite per i diritti umani la definisce «una grave violazione del diritto internazionale umanitario».