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Decisione storica della Corte Internazionale di Giustizia sui cambiamenti climatici

di Liliane Mugombozi

- Fonte: Città Nuova

Liliane Mugombozi Autore Citta Nuova

Il 23 luglio 2025, la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso un “parere consultivo” innovativo riguardo alle emissioni di gas serra. Questa decisione storica, presa dalla principale autorità giudiziaria delle Nazioni Unite, ha aperto la possibilità per i Paesi di citarsi in giudizio reciprocamente in relazione ai cambiamenti climatici, incluse le emissioni storiche di gas responsabili del riscaldamento globale. Sebbene la sentenza non sia vincolante, esperti legali avvertono che potrebbe avere ripercussioni significative.

Krakeel River, Sudafrica. Foto Pexels/Charl Durand

Questa storica sentenza rappresenta una notizia positiva, che potrebbe essere sfuggita a molti, ma arriva sei anni dopo che un gruppo di studenti di giurisprudenza degli Stati insulari del Pacifico ha iniziato una campagna per persuadere i leader della regione a portare la questione della crisi climatica e dei diritti umani davanti alla Corte Internazionale di Giustizia (Cig). La pressione esercitata da piccoli Stati insulari, guidati da Vanuatu, ha indotto l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2023 a richiedere alla Cig di emettere un parere consultivo per chiarire due questioni legali: gli obblighi degli Stati secondo il diritto internazionale di affrontare l’emergenza climatica e le conseguenze legali del mancato rispetto o della violazione di tali obblighi.

La Cig ha ora confermato che tra gli obblighi degli Stati ci sono trattati internazionali come l’Accordo di Parigi, il Protocollo di Montreal, la Convenzione sulla diversità biologica, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione nei Paesi che soffrono di grave siccità e/o desertificazione e la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del mare.

Il giudice Dire Tladi, primo giudice sudafricano della Cig, ha definito questo traguardo come «una delle questioni più significative mai presentate alla Corte», sottolineando che «il cambiamento climatico è una crisi esistenziale che minaccia potenzialmente il futuro dell’umanità».

Si tratta di una vittoria per le nazioni africane che hanno presentato le prove, afferma Zunaida Moosa Wadiwala, docente di Diritto internazionale sul clima all’Università del Witwatersrand (Johannesburg, Sudafrica). «Kenya, Ghana, Madagascar, Sudafrica, Camerun, Sierra Leone, Mauritius, Burkina Faso ed Egitto hanno fornito osservazioni sui danni provocati dai cambiamenti climatici. La Corte ha accolto le loro argomentazioni, secondo cui i Paesi in via di sviluppo hanno contribuito in modo marginale alle emissioni globali di gas serra, ma subiscono gli effetti del cambiamento climatico in misura maggiore rispetto ai Paesi sviluppati».

Il parere consultivo della Cig ha inoltre evidenziato che un ambiente pulito, sano e sostenibile è essenziale affinché le persone possano esercitare i loro diritti di accesso all’acqua, al cibo e all’alloggio. Queste sono state le questioni principali sollevate dagli Stati africani.

La Corte ha risposto in modo specifico alle argomentazioni delle nazioni africane, affermando che i Paesi sviluppati devono supportare gli Stati impoveriti nell’adattamento ai cambiamenti climatici. Sono tenuti a fornire assistenza finanziaria, a rendere disponibili nuove tecnologie di adattamento e a supportare le nazioni vulnerabili nella costruzione di capacità per affrontare il riscaldamento globale.

I Paesi africani possono avviare cause per i danni causati dal clima. Zunaida Moosa Wadiwala sostiene che «i Paesi africani ora possiedono gli strumenti per ottenere risarcimenti per i danni causati dal clima. Dovranno stabilire un nesso causale tra l’atto illecito di uno o più Stati e il danno subito. In altre parole, dovranno dimostrare che il danno è stato causato di fatto e di diritto da uno o più Paesi specifici».

Un’altra opzione per i Paesi colpiti è il contenzioso climatico nazionale o transnazionale. Wadiwala sostiene che «i Paesi colpiti da disastri causati dal clima potrebbero citare in giudizio le aziende produttrici di combustibili fossili nei tribunali stranieri». Il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia è un forte sostegno alle argomentazioni basate sulla normativa relativa all’illecito civile (un fatto doloso o colposo che causa un danno ingiusto ad altri). «Si tratta di un atto illecito che causa un danno per il quale la persona lesa può chiedere un risarcimento». Il parere sostiene anche le argomentazioni secondo cui le emissioni di gas serra costituiscono legalmente un disturbo (interferendo con l’uso e il godimento della altrui proprietà).

Cosa implica questo per i Paesi africani che stanno ancora esplorando e utilizzando combustibili fossili?
Il parere consultivo è molto chiaro su come devono essere gestiti i combustibili fossili come gas, petrolio e carbone. Sottolinea che se uno Stato continua a estrarre combustibili fossili senza adottare misure adeguate per affrontare il cambiamento climatico, potrebbe violare il diritto internazionale. Anche la continuazione della produzione e del consumo di questi combustibili, l’assegnazione di licenze alle compagnie minerarie per l’esplorazione di combustibili fossili e il sostegno all’industria dei combustibili fossili potrebbero costituire una violazione del diritto internazionale.

«Nel contesto della responsabilità statale, ciò ha gravi implicazioni legali per i 48 Paesi africani ancora coinvolti in queste attività legate ai combustibili fossili», ha dichiarato Zunaida Moosa Wadiwala. «Il parere consultivo ha messo questi Paesi di fronte a una scelta difficile. Non possono sostenere la giustizia climatica a livello internazionale mentre ampliano l’uso dei combustibili fossili nel loro territorio. Uno Stato potrebbe anche essere ritenuto responsabile per non aver implementato normative destinate a limitare le emissioni generate dalle aziende private sotto la sua giurisdizione».

«Questo segna l’inizio di una nuova era di responsabilità climatica a livello globale», afferma Danilo Garrido, consulente legale dell’ong Greenpeace International. «Il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia rappresenta una svolta per la giustizia climatica, poiché ha chiarito in modo definitivo gli obblighi internazionali degli Stati in materia climatica e, in particolare, le conseguenze della violazione di tali obblighi».

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