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Italia > Itinerari letterari

L’esodo dei trentini e il ritorno alle “Montagne nere”

di Oreste Paliotti

- Fonte: Città Nuova

Dopo “Boemia” di Dario Colombo continua la saga del popolo trentino tra la dissoluzione di un mondo e le tensioni della giovane nazione italiana

«Nel 1915, alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia nel Primo conflitto mondiale, le popolazioni trentine, venete e friulane dei territori di confine facenti parte dell’Impero austroungarico – e pertanto sospettate di parteggiare per l’Italia – subirono un esodo forzato su carri bestiame per poi essere distribuite, dopo un viaggio estenuante, in province dell’Impero lontane dal fronte: Bassa Austria, Moravia e soprattutto Boemia, l’attuale Repubblica Ceca. In quasi 100 mila, per lo più donne, anziani e bambini, di cui più di 70 mila dal Trentino, mentre gli uomini validi erano reclutati al fronte, dovettero abbandonare case, campi e animali, portando con sé solo un cucchiaio e una coperta, e tentare di ricostruirsi una vita in Paesi dove tutto era nuovo per loro: luoghi, clima, lingua, usi e costumi. Così per oltre tre anni. Quando i trattati di pace permisero loro di rientrare nelle proprie case, il ritorno non fu meno sofferto della partenza: trovarono soltanto devastazioni e razzie».

Così scrivevo l’anno scorso recensendo Boemia, il popolo scomparso: primo romanzo di una trilogia basata su una vicenda reale di cui non v’è traccia nei nostri libri di storia: quella di un gruppo di abitanti della Val di Ledro (cambiati soltanto alcuni nomi di persone e paesi), per lo più donne, anziani e bambini, che esodati in Boemia sotto la guida di una maestra, Cecilia, e del loro parroco, don Vigilio, riuscirono ad integrarvisi dopo un percorso lento e complesso stabilendo forti legami amicali sfociati in qualche caso anche in matrimoni.

A strappare dall’oblio questa pagina controversa di storia della nostra Italia è stato Dario Colombo, giornalista, scrittore e autore di documentari, lavori teatrali e rievocazioni storiche, nonché del secondo volume della trilogia, Montagne nere, pubblicato come il primo da Minerva Edizioni. Stavolta l’argomento è la nuova odissea che tocca vivere ai profughi trentini dopo oltre tre anni di guerra, quando i trattati di pace sembrano concretizzare il loro sogno: tornare a casa.

«Ma il sogno dura poco – avverte l’autore –. Rientrati nelle loro valli, scoprono che la maggior parte dei paesi è stata distrutta; le case spogliate di tutto; campi, strade e boschi che erano stati teatro della guerra resi impraticabili dalle esplosioni, dai gas, dalle mine, da chilometri di reticolati. Scoprono, soprattutto, che per il Regno d’Italia che li aveva voluti “liberare” dal giogo austriaco, loro sono rimasti “nemici”, i sudditi fedeli di Francesco Giuseppe di cui non c’è da fidarsi.

E così, chiuso il drammatico capitolo dell’esodo in Boemia, per gli abitanti delle valli trentine ne inizia un altro, altrettanto drammatico, in cui fanno conoscenza con la lentezza e, a volte, le malversazioni della burocrazia italiana; con le difficoltà economiche di un Paese prostrato dalla guerra; con la dura repressione nei confronti dei reduci dal fronte, di lingua italiana ma con la divisa austriaca, inviati in campi di prigionia dove in migliaia avrebbero trovato la morte a guerra finita; infine, con il diffuso sentimento di diffidenza nei loro confronti che raggiungerà il suo culmine con l’avvento del fascismo, di cui già si avvertono le prime avvisaglie.

«In molti profughi, soprattutto tra quelli più giovani e tra le donne, cresce così il rimpianto per la Boemia e per quello che hanno abbandonato: le amicizie, le feste, ma anche le immense campagne piene di luce e di colori. Perché le montagne che ritrovano adesso non sono più quelle che ricordavano: la guerra le ha trasformate, le ha rese irriconoscibili. Come dice una delle protagoniste, sono diventate “montagne nere”.

«Se Boemia è stato il racconto di una epopea tutta al femminile, Montagne nere è il romanzo corale di uomini e donne che si trovano a dover convivere con il dramma dei propri paesi distrutti, unito alla delusione del presente, di un’Italia in contraddittorio divenire a cui faceva da contraltare il mito di un impero, quello asburgico, dove su tutto regnava un ordine apparente e in pochi sentivano il bisogno di essere “redenti”».

Anche in questo secondo titolo della trilogia il lettore si appassiona alle vicende dei due personaggi principali alle prese con le difficili sfide per la conquista di una nuova normalità: don Vigilio, per il quale il recupero fortunoso di una statua della Madonna tanto cara ai suoi parrocchiani è visto come un segno di ripresa; e la giovane maestra Cecilia, maturata donna dalle tragedie del padre assassinato e di due “morosi” portati via dalla guerra, lei stessa ridotta in fin di vita dalla febbre “spagnola”, ma ora non insensibile alle attenzioni di Carlo, un ufficiale venuto da Monza.

Stavolta Colombo ci proietta in un mondo che sembra in dissoluzione mentre un altro – la giovane nazione italiana – è in formazione. Anche qui, l’accento è posto sull’impegno dei profughi a dare un senso nuovo alle proprie vite sconvolte dagli eventi bellici, ai gesti di umanità e solidarietà, ai sogni e alle aspettative di futuro. Il tutto reso così al vivo e attuale che al lettore verrà spontaneo, alternando passato e presente, il confronto con le immagini di altri popoli coinvolti in conflitti di cui non si vede la fine.

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