A Venezia il cinema italiano

Sfilano i nostri autori, da Guadagnino ad Amelio ad altri, in lavori diversi ma interessanti per le tematiche affrontate.
Il regista Luca Guadagnino alla prima di 'Queer' al Festival del Cinema di Venezia ANSA/ETTORE FERRARI

Per chi non l’avesse visto, ora che è uscito in sala si consiglia di vedere Campo di battaglia – di cui già abbiamo detto – ma che va rimeditato come un lavoro non nostalgico ma come una dolorosa presa di coscienza dell’assurdità della guerra dove parole come “onore,dignità, patria” – allora, ma oggi se ne sostituiscono altre – possono nascondere quella voglia di violenza che sempre l’ideologia può giustificare.

I due medici amici che si trovano in un ospedale durante il primo conflitto in Trentino sono diversi: uno è rigido, implacabile nel ricercare i malati falsi da quelli veri e punirli, l’altro (Alessandro Borghi) esercita la pietas sui feriti – in una Italia dove tutti parlano in dialetto e sono in molti analfabeti – e ovviamente la paga. La violenza è nell’aria prima che in trincea, con generali induriti dalla retorica del dovere e la povera gente vittima della “spagnola”, la pestilenza che uccise migliaia di persone. Opera di luce nebbiosa e di nature bellissime, di dialoghi essenziali, di volti e di corpi straziati, gonfia di un’ infinita pietas e di condanna della durezza umana, racconta sobriamente il dolore degli innocenti, lasciando allo spettatore la domanda se la guerra, ogni guerra, del passato e del presente, sia davvero necessaria.

Ben diversa è l’atmosfera in Queer di Luca Guadagnino che torna sul tema dell’amore, in chiave omosessuale, facendo dell’ex 007 Daniel Craig un uomo in cerca di amore, straziato, inappagato. Ed infatti il suo rapporto con il giovane Allerton (Drew Starkey) è insoddifacente e nemmeno l’erotismo insistito offre una soluzione alla semi-disperazione, esasperando un argomento in parte già affrontato nel precedente film Challengers. Non è ottimista Guadagnino nel suo film molto personale, forse autobiografico in parte, esteticamente curato, capziosamente formale, un film più di corpi che di anime che si incontrano. Ma che trasmette un senso di infelicità, di sospensione, di insoddisfazione della vita.

Ancora una storia di mafia con Iddu dei due registi Antonio Piazza e Fabio Grassadonia in un lavoro che racconta gli ultimi anni di Matteo Messina Denaro (un grande e potente Elio Germano) insieme ad un amico mafioso, reso con una recitazione sopra le righe da Toni Servillo (purtroppo). Film d’interesse civile, non documentario né fiction, ma racconto a tratti possente di un clima sociale e di una attrazione fatale verso il male.

Toni Servillo, Fabio Grassadonia, Antonio Piazza e Elio Germano alla prima di “Iddu” al Festival del Cinema di Venezia. ANSA/ETTORE FERRARI

E, per finire, risulta di forte interesse la serie – fuori concorso – M -Il figlio del secolo sulla storia del Ventennio e di lui, Mussolini – oggi oggetto di molte simpatie – reso magistralmente come voce e carattere da Luca Marinelli senza alcun gigionismo. Il regista inglese Joe Wright ha avuto il coraggio di togliere ogni retorica al racconto, con sicurezza e sobrietà. Da far vedere a tutti, se possibile.

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