La diplomazia, strumento di evangelizzazione

Intervista a S.E. Josè A. Bettencourt, nunzio apostolico in Camerun e Guinea Equatoriale
Mons. Josè A. Bettencourt, nunzio apostolico in Camerun e Guinea Equatoriale (foto da Fecebook https://www.facebook.com/share/v/AZc2cvWGYcdQ4uAq/?mibextid=WC7FNe)

Il ruolo dei rappresentanti pontifici in prospettiva sinodale missionaria è uno dei 10 temi elencati da papa Francesco “in forma sintetica”, ed emersi dalla relazione di sintesi della prima sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, approvata il 28 ottobre 2023. Sui 10 temi il Papa ha disposto di costituire “specifici gruppi di studio”.

Eccellenza, cosa significa per lei svolgere la missione di rappresentate pontificio?

Ci impegniamo a rappresentare il papa nel luogo in cui ci ha inviato. Credo che questa responsabilità sia stata assunta in un ambiente di fiducia. Il rappresentante cerca di essere il cuore e le braccia del papa verso il popolo, rappresentando la fede, la carità, la vicinanza e l’unità della Chiesa, localmente e universalmente. Mostrare la prossimità, particolarmente nei momenti segnati di dolore e, allo stesso tempo, essere parte di una storia con una prospettiva di futuro. Secondo me, essere un rappresentante di papa Francesco significa cercare di essere quello che lui desidera che un suo rappresentante sia.

Eccellenza, durante l’Assemblea plenaria nazionale dei vescovi del Camerun, in aprile, mi ha colpito quanto lei ha detto ai vescovi: «La Nunziatura è casa vostra, è la casa di tutti, non è casa mia». Il suo è un incarico ufficiale: con questa affermazione, lei ha fatto intravedere l’aspetto della Chiesa famiglia.

Credo che la Nunziatura venga spesso considerata la casa del papa. Come tale, ha una missione molto concreta. È un luogo di incontro, un luogo che collega la Chiesa al suo interno e con molte altre realtà della società. Un legame significativo esiste tra questa casa e la sua storia. Ha ricevuto tre visite del papa. Trent’anni fa, papa Giovanni Paolo II ha firmato qui l’enciclica La Chiesa in Africa. I presidenti delle conferenze episcopali di tutta l’Africa si sono riuniti qui a Yaoundé.

Nella cultura africana la “casa” è di grande importanza, ha un significato profondo perché si tratta di un luogo e di un simbolo, di un legame familiare intimo. A seguito di ciò, la casa del Papa acquisisce tutte queste caratteristiche e diventa più intima con la popolazione africana. In questo senso non posso strettamente dire che la casa non è mia, perché sono un rappresentante del Papa e vivo in mezzo al popolo, mantenendo e rispettando l’essenza della casa. Quindi, è la casa del papa per il Camerun e la Guinea Equatoriale.

Siamo in questa casa da più di 60 anni, e questo fatto esprime un rapporto solido, un rapporto di fiducia e un punto di riferimento. E credo che questo luogo dovrebbe essere al servizio dei camerunesi e dei guineani equatoriali. Una casa aperta dove le persone possono incontrarsi e dove possiamo consentire loro di incontrarsi, una casa che funge da ponte tra cattolici e musulmani, protestanti e cattolici, e tra i leader della società civile, accademica e culturale. Credo che questa casa abbia un ruolo e un valore in tutti questi settori. Credo che siamo qui come un “catalizzatore” per creare un ambiente di pace e cooperazione. Siamo “guardati” anche in una luce spirituale, e questo non è indifferente.

Eccellenza, quali realtà considera prioritarie per il gruppo di studio incaricato di studiare il ruolo dei rappresentanti pontifici in prospettiva sinodale missionaria?

Dal punto di vista del rappresentante pontificio, questo tocca tanti aspetti della Chiesa. Siamo un ponte anche noi. Io credo che per il rappresentante pontificio un punto di partenza è l’humanitas, che è la dimensione comune. La Chiesa rappresenta tanti diversi Paesi, diverse culture, lingue, espressioni. Ma siamo umani, ed il nostro punto di partenza deve essere la humanitas. Credo che diverse missioni richiedano realtà oggettive diverse in ogni nazione.  Qualcosa che può sembrare buono in una cultura può essere interpretato in modo completamente diverso in un’altra. È necessario adattarsi al posto in cui ci si trova e incarnarsi nella realtà del luogo. Ci vuole buona fede e buon senso, si deve capire la storia e il contesto di ogni posto. Ogni nunzio ha i suoi talenti e tutto è provvidenza. La testimonianza è importante quando si tratta di vicinanza, credo che il mio compito sia promuovere l’apostolato.

Non dimentichiamo, inoltre, che nella lunga storia delle nunziature pontificie, abbiamo avuto dei nunzi eccezionali. Basti pensare a Roncalli in Bulgaria e Turchia durante la guerra. E ricordiamo il nunzio di Berlino durante la seconda guerra mondiale: è stato l’unico ambasciatore che non ha abbandonato il popolo. Le prime notizie dal mondo esterno arrivavano attraverso il nunzio. I rapporti diplomatici con la Santa Sede hanno portato i primi aiuti a Berlino dopo la guerra. Inoltre, possiamo ricordare che il nunzio apostolico in Iraq, il cardinale Zenari, è rimasto sul posto durante i recenti bombardamenti a Baghdad. A Kiev, il nunzio è stato uno dei pochi diplomatici rimasti nei primi giorni della guerra. In altre parole, ho dei colleghi veramente straordinari, persone che prestano un servizio eccezionale alla Chiesa. Alla fine, nella diplomazia, è “l’humanitas” che viene adattata alle circostanze.

Ci sono stati anche rappresentanti pontifici che ha perso la vita nei posti di missione. Penso a mons. Michael Courtney, il nunzio apostolico assassinato in Burundi. È un ambiente di testimonianza, quindi c’è una grande responsabilità di incarnare veramente i principi cristiani, e credo che questi esempi ci siano. Per dire che l’esperienza è un processo lungo.

Grazie alla Chiesa, la diplomazia è uno strumento per evangelizzare. I diplomatici, che sono accreditati dai governi, hanno in un certo senso la capacità di accedere a contesti di dialogo in cui altri non potrebbero. In questo modo, possono dare voce a coloro che non hanno voce, secondo il desiderio di papa Francesco. È ovviamente un lavoro di collaborazione con la chiesa locale, la rete dei religiosi e le religiose, i fedeli e tutti i movimenti ecclesiali. Questo è ciò che rende questa diplomazia del Vangelo così potente: la fede!

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