Bari, tra clan e Rinascimento

La manifestazione “Giù le mani da Bari” e la voglia di difendere l’immagine della bella città di mare in cui il male c’è, ma c’è anche chi prova ad estirparlo ogni giorno
Manifestazione 'Giù le mani da Bari' ANSA

A scanso di equivoci, diciamolo subito. Se l’aria democratica che si respira in un Comune è intossicata dai gas di scarico della mafia, quell’istituzione deve essere sciolta al più presto per evitare che i livelli di inquinamento finiscano per portare al tumore i polmoni che danno fiato alla vita municipale. Sembra un’affermazione lapalissiana ed invece non lo è in tempi in cui, ciclicamente, non mancano i politici che chiedono di cancellare l’istituto dello scioglimento per mafia dei Comuni. Riuscire a indirizzare la linea politica e le scelte strategiche di un’amministrazione locale, mettere le mani su nomine e appalti pubblici è da sempre tra i primi punti nell’agenda dei boss. Tanto più ora che le cosche sparano sempre meno, privilegiando gli affari alla violenza. Come raccontò qualche anno fa un indagato proprio del clan Parisi di Bari in una celebre intercettazione, per le mafie ora non bisogna saper fare “bum” con un’arma da fuoco, ma “clic” sulla tastiera di un computer.

Nessun dubbio dunque che quando ce ne siano i presupposti, bisogna provvedere anche in tempi rapidi a stoppare le intromissioni tossiche nel funzionamento di una macchina comunale.

Quanto sta accadendo a Bari pone però un problema diverso, forse anche più grave. Può uno strumento così potente e definitivo essere utilizzato, dando anche solo l’impressione, che sia parte di una strategia politica d’indebolimento dell’avversario? Nella lotta alle mafie, dovrebbe essere chiaro che questo è un rischio che non si dovrebbe mai correre. Senza richiamare per forza la logica vincente del “noi”, appare scontato che dividersi su questi temi, far sorgere anche solo il sospetto che la lotta alla criminalizzata organizzata sia stata piegata a fini di bassi calcoli elettorali, sia una tentazione che dovrebbe essere tenuta fuori dall’arena politica. Messa al bando con un cartello segnaletico di divieto come quelli che compaiono davanti all’imbocco di una strada senza uscita.

Nel caso Decaro sono tre gli indizi che sembrano costituire una prova. I tempi celeri, quasi frettolosi con i quali si è proceduto a nominare la commissione d’accesso al Comune di Bari a poche ore dalle ordinanze di custodia cautelare. L’imminenza della scadenza elettorale e le difficoltà del centrodestra nell’individuare un candidato.

La scarsa considerazione data alle parole dette dallo stesso procuratore capo di Bari Roberto Rossi durante la conferenza stampa di presentazione dell’operazione contro il clan Parisi («c’è stata una parziale e circoscritta attività di inquinamento del voto all’interno delle comunali su cui l’amministrazione ha saputo rispondere, abbiamo accertato l’insussistenza del coinvolgimento del sindaco Decaro»). Ebbene tutto questo ha fatto pensare che quella contro il Comune di Bari potesse essere più che una dichiarazione di guerra alla mafia, un atto di lotta politico come ha da subito denunciato il sindaco Decaro.

Non che nell’inchiesta della Dda barese manchino capitoli allarmanti. Le pressioni del clan per pilotare le nomine della municipalizzata dei trasporti, il coinvolgimento di una consigliera transitata dall’opposizione alla maggioranza, portandosi in dote, secondo la procura, un pacchetto di voti assicurato dal boss di Japigia. E poco ha aiutato a far chiarezza l’improvvida dichiarazione del governatore Emiliano che dal palco di piazza del Ferrarese gremita da diecimila cittadini, ha parlato di un fantomatico incontro tra il sindaco Decaro e la sorella del boss di Bari Vecchia Antonio Capriati, circostanza che il primo cittadino ha smentito categoricamente.

Elementi che non escludono la possibilità di appurare se ci siano pesanti pressioni della mafia nell’amministrazione di un Comune. Iniziativa che però nel caso di specie è sembrata poco opportuna e soprattutto sospetta.

Proprio affacciandosi alla manifestazione “Giù le mani da Bari” si percepiva quanto questa fosse la convinzione di tanti cittadini indipendentemente dagli orientamenti politici. In quella piazza c’erano anche sindaci di centrodestra a sostegno di Decaro che da presidente dell’Anci è il capo dei primi cittadini italiani. Ma non solo. Quelle fasce tricolori erano trasversali come la voglia di difendere un’idea di buongoverno e di antimafia dei fatti che prescindeva dalla crocetta da mettere nel segreto dell’urna.

Il timore di veder infangata l’immagine di una città che come mai prima attrae turisti (anche nel centro storico un tempo off limits) ha fatto scattare l’orgoglio di tanti baresi, che il sindaco Decaro lo hanno visto all’opera ritenendolo un gentiluomo. Cosa che peraltro ha detto anche don Luigi Ciotti il 21 marzo in occasione della “XXIV giornata della memoria e dell’impegno in ricordo di tutte le vittime innocenti delle mafie”, quando davanti a centomila persone al Circo Massimo non ha esitato a lodare, incoraggiare e abbracciare platealmente il protagonista di quello che alcuni hanno definito il “Rinascimento barese”.

Intendiamoci. Non che a Bari la mafia non ci sia e che non sia un’emergenza. Quattordici i clan che si gestiscono le attività illecite in altrettanti quartieri seguendo il modello organizzativo della camorra, gli assetti di potere che saltano di continuo con regolamenti di conti che a volte finiscono per uccidere giovani innocenti che nulla hanno a che fare con le logiche criminali e hanno l’unico torto di essersi trovati sulla traiettoria di tiro di killer a caccia di vendette.

Ragazzi come Michele Fazio ucciso sotto casa, a sedici anni a Bari Vecchia mentre rientrava a casa, e i cui genitori (Pinuccio e Lella) dopo una vita spesa a chiedere giustizia e a parlare di riscatto agli studenti di tutta Italia, hanno scelto di essere al fianco di Decaro sul palco della manifestazione pro sindaco.

Una folla che intendeva sottolineare quanto la città abbia negli ultimi anni visto all’opera non soltanto una magistratura che macinava inchieste e decapitava i vertici dei clan, ma anche un’amministrazione che ha provato a fare della legalità un elemento cardine della propria azione quotidiana.

È prova ne è forse, che nell’immaginario collettivo Bari è diventata anche la città che fa da sfondo a due dei personaggi di maggior successo della fiction Rai. Il vicequestore Lolita Lobosco e il maresciallo dei carabinieri Pietro Fenoglio. Icone di una città di mare in cui il male c’è, ma c’è anche chi prova ad estirparlo ogni giorno. Nella fiction, ma anche nella realtà.

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