50 anni di luci accese

Mentre la coreografia trasporta dagli ultimi angoli della Budapest Sportaréna verso il centro del grande palco i rappresentanti di 92 nazioni, sui megaschermi scorrono le cartine dei paesi rappresentati. Lampade vagamente orientaleggianti, issate su strisce d’oro, vogliono significare quella invasione di senso – di luce si direbbe – che dal novembre del 1956 si è lentamente estesa in pratica a tutta la Terra: gruppi di uomini e donne consapevoli della tendenza dell’umanità verso la fraternità universale. L’arena, colma in ogni ordine di posti (più di 11 mila persone), dopo essere passata per la distruzione del fuoco, è un tempio della nuova società civile, della musica, dello spettacolo e dello sport, ma anche dell’associazionismo e della socialità che viene dal basso, da quel tessuto di persone che permettono alle società di tutte le latitudini di non esplodere (o implodere, dipende dai casi). L’ora dei laici Era il 23 ottobre 1956, quando iniziò quasi inattesa la protesta studentesca a Budapest che, con insolita rapidità, contagiò operai e madri di famiglia e preti, fino ad assumere le dimensioni di una vera rivoluzione, che aveva come parole d’ordine libertà, diritti umani e indipendenza. Solo la violenza e la forza bruta avrebbero potuto schiacciare una tale speranza di crescita e di apertura. E la violenza arrivò, a novembre, allorché le truppe sovietiche occuparono i punti nevralgici del Paese, invadendo in qualche ora la stessa Budapest. Il 10 novembre, Pio XII lanciò un appello affinché il nome di Dio, fonte di ogni diritto, giustizia e libertà risuonasse nei parlamenti, nelle piazze, case e nelle officine. Chiara Lubich rispose all’appello con un articolo su uno dei primi numeri della nostra neonata rivista. In esso lanciava una sfida: la nascita di un esercito di volontari , perché se c’è stata una società capace di togliere il nome di Dio dal cuore degli uomini, ci deve essere una società capace di rimetterlo al suo posto. Si delineava in quelle righe una reale vocazione sociale per tanti uomini e donne, perché era scoccata, anche nella Chiesa, l’ora dei laici, cioè di coloro che avvertono l’attrattiva di creare la comunità cristiana in mezzo al mondo. Coloro, insomma, che vogliono portare a Dio arte e scienza, politica e sociale. Coloro che, come dice il vescovo polacco Janusz, nunzio apostolico in Ungheria, sviluppano la fantasia dell’amore. Questo popolo – viene sottolineato inoltre nel messaggio del card. Sodano a nome del papa – intende proporre la fraternità come possibile via da percorrere per giungere alla pace tra gli uomini e con la natura, contribuendo in tal modo ad edificare una società che testimoni un nome solo: Dio. Portare Dio nella società Ma chi fa parte di questo pacifico e pacificante esercito di uomini e donne di volontari che vogliono portare Dio nella società? Sono uomini e donne che rispondono a una chiamata di Dio radicale e libera, nell’amore per ognuno e per tutti. Li descrive in modo completo Chiara Lubich, nei messaggi scritti per l’assemblea di Budapest, un vero e proprio affresco della vita dei laici: Voi – scrive -, come laici vivete nelle ordinarie condizioni della vita familiare, lavorativa e sociale, e proprio per questo siete chiamati a edificare, come il fermento nella pasta, il Regno di Dio nel mondo. Non ha paura di pronunciare una parola – santità – che può far storcere la bocca a taluni: Sì, proprio immergendovi nelle cose del mondo voi vi fate santi, lavorate a clarificare il mondo; non solo a continuare la creazione di Dio, ma anche la redenzione delle cose. Con la vostra fatica e col vostro lavoro potete contribuire ai cieli nuovi e alla terra nuova. Una santità laica che vuole svincolarsi dall’individualismo: È un cammino che, per la spiritualità dell’unità che vi anima, è vissuto a corpo – precisa Chiara Lubich -. In quest’epoca, infatti, lo Spirito Santo chiama con forza gli uomini a camminare insieme, accanto ad altri uomini, anzi, ad essere un cuor solo ed un’anima sola, perché da questo conosceranno che siete miei discepoli. Con voi dovrebbe venir fuori una santità collettiva, una santità di folla, perché i laici sono le folle e voi le potete portare. E aggiunge: Il mondo ha bisogno di uomini credibili, costruttori di una umanità nuova nei vari ambiti della società. Chi può realizzare questo, se non Gesù tra noi, il solo capace di fare un mondo nuovo?. Gente seria (e gioiosa) Uomini e donne come tutti, sono questi volontari di Dio, che hanno incontrato l’inevitabile dolore, e che da lì sono ripartiti. Qualche nome: Daisy e Samir Najm, libanesi, una coppia che nei momenti di più difficile tensione, soprattutto negli ultimi tempi di guerra, ha saputo rifiutare la fuga preferendo morire per la propria gente, scegliendo lo scomodo amore evangelico, quello che fa considerare i siriani come fratelli, quello che spinge ad accogliere nelle proprie case i profughi sciiti del sud, come fratelli. Oppure c’è chi prende su sé dolori improvvisi e laceranti, intimi, come Amauri Cardoso, ingegnere brasiliano che, dopo diciotto anni di matrimonio e quattro figli, s’è visto abbandonato dalla moglie, che ha sempre cercato di non giudicare e persino di perdonare. Il dolore fisico, quello che invalida, che sconvolge ogni progetto. Come è successo a Chiara M., trentina, autrice di un best seller, intitolato non a caso Crudele dolcissimo amore. Non volevo annegare nella disperazione totale – dice -, perché sapevo quale è il vero senso del dolore, quello che Gesù sulla croce ci indica. Ma non ero sola a sopportare l’insopportabile dolore, perché tante altre amiche e amici lo portavano assieme a me. Senza di loro non ce l’avrei fatta a sorridere anche tra le lacrime. Gente che appartiene non tanto e non solo alle élite della società, ma soprattutto al popolo, come Alberto Lara, indigeno messicano, che vive in un villaggio una volta raggiungibile solo a piedi. Racconta il suo incontro con la spiritualità dell’unità, che ha portato, lui e i suoi amici, a considerare gli altri come dono, e non come un nemico. Ciò li ha spinti a curare lo sviluppo economico, sociale e culturale della loro etnia indigena, ottenendo la pavimentazione di centinaia di case e nuove strade. Libertà d’azione, cioè libertà d’amare, è loro comune desiderio. Le situazioni diverse che capita di vivere, il contesto sociale nel quale ci si trova a operare paiono quasi elementi secondari, cioè vivibili. Che sia il caso di Gerry e Mary Burns dell’Irlanda del Nord, che operano per la riconciliazione nazionale, o quello di un procuratore della repubblica colombiana, impegnata contro il narcotraffico, che ha combattuto contro la corruzione e senza schiacciare i piccoli per favorire gli intoccabili. Fino ad essere licenziata, ma poi reintegrata in un organismo internazionale. La forza dei volontari di Dio sta nella capacità di prendere su di sé quel che nella società non funziona, o quello che semplicemente non esiste, per portare quel poco o quel tanto di novità sociale che trasforma, che fa crescere, che porta fraternità. Come mostra il congolese Marcel Mbula, a capo di un vasto programma di cura e prevenzione dell’Aids, o Roberto Zanovello, che trasforma una produzione inquinante nel porto di Genova. Gente seria, ma col sorriso sulle labbra. Tante sfide, una proposta Alla presenza di autorità civili e religiose – quali l’arcivescovo di Budapest e il vicepresidente del parlamento ungherese -, una grande giornata pubblica presenta qualche frutto della ormai lunga azione dei Focolari nel sociale. E ciò in campi travagliati dell’agire umano. È in effetti inutile negare che il nostro mondo sta conoscendo una notte oscura collettiva, come ricorda Benedetto XVI, citato dalla Lubich nel suo discorso: Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi. Insiste ancora Chiara Lubich, nel delineare i caratteri di questa notte collettiva: La crescita al giorno d’oggi, delle scoperte scientifiche e tecnologiche, veloce e senza limiti, è tale che l’etica non riesce più a tenere il passo, aprendosi così una spaccatura tra buon senso e sapienza, tra cervello e cuore, come nel caso della bomba atomica o delle manipolazioni genetiche, cosicché l’umanità rischia di perderne il controllo. I cristiani, però, non cedono, non possono cedere allo sconforto, come gli 11 mila della Sportaréna sembrano voler dire con la loro semplice presenza: Ma lo Spirito, proprio in questo tempo, è stato generoso – continua Chiara Lubich -, irrompendo nella famiglia umana con vari carismi, da cui sono nati movimenti, correnti spirituali, nuove comunità, nuove opere. La chiave di questa speranza sta nel mistero pasquale, e nell’abisso di Gesù crocifisso e abbandonato, nel dramma di un Dio che grida: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?. Ed ecco, su questa base, la chia- ve dell’impegno dei cristiani nella società: Si pensa a volte che il Vangelo porti soltanto il Regno di Dio inteso in senso religioso e non risolva i problemi umani – precisa -. Ma non è così. Non è certo il Gesù storico o lui in quanto capo del Corpo mistico che risolve i problemi. Lo fa Gesù-noi, Gesù-io, Gesù-tu… È Gesù nell’uomo, in quel dato uomo – quando la sua grazia è in lui -, che costruisce un ponte, fa una strada…. Ed è in questa logica, che Chiara Lubich ripropone alla platea di Budapest alcune delle iniziative che, nate dai Focolari, cercano di evangelizzare le diverse umane realtà, come ad esempio quelle dell’economia (con l’Economia di Comunione), delle comunicazioni (NetOne) e della politica (Movimento per l’unità). Conclude così Chiara Lubich, ricordando le parole attribuite al diacono Lorenzo dalla liturgia: Se cammineremo in avanti in queste vie potremo dire davvero: La mia notte non ha oscurità, ma tutte le cose risplendono nella luce. Operai nella notte Francis Ganzon era un giovane filippino comunista e ateo, figlio d’un sindacalista, di famiglia povera. Incontrò una ragazza ricca e cattolica, Tess, figlia d’un industriale e proprietario terriero. Si sposarono nonostante le diverse estrazioni sociali, perché avevano un ideale di giustizia assai simile. Costituirono un’azienda e una banca basate su principi di giustizia e condivisione. Aderirono al progetto per una Economia di Comunione, fino a sviluppare una iniziativa di micro-credito che conobbe e che conosce ancora un grande successo. Furono pure rapiti dai terroristi islamisti di Abu Sayyaf, ma non si arresero. Liberati dopo tre settimane, decisero di impiegare tutte le loro energie per la fraternità, per spargere sui campi e sulle città quei semi di amicizia e di accoglienza che tengono assieme una società. Si agisce quindi nella società non solo con iniziative di emergenza, ma anche per cambiare le regole stesse del convivere, per una progressiva umanizzazione che, in un ambiente ipertecnologizzato, si coniuga in modo tutto particolare con i media. Geert Vanoverschelde, belga, assieme ad un amico di NetOne – gruppo di comunicatori promosso dai Focolari – ha creato una società di produzione tv che ha 500 ore di programmi alle spalle, una ottima biblioteca. Recentemente si sono inseriti anche nel difficilissimo ambito del reality show, rischiando: Si trattava di un programma sull’assistenza medica domiciliare. Secondo il marketing, c’era il rischio che al pubblico non piacesse tale programma, mostrando situazioni con persone vecchie, tristi, povere. Abbiamo dialogato con i dirigenti della tv, che hanno deciso di sostenere comunque il programma. Dopo una decina di trasmissioni, i numeri hanno mostrato che il pubblico apprezzava il programma. Chi dice media, ormai, dice politica. E chi dice politica dice bene comune. La fraternità, il rispetto della persona, l’unità della famiglia umana hanno bisogno della politica. E tra i volontari di Dio ce ne sono tanti che, a diversi livelli, sono impegnati in politica. In Ungheria, dove la politica è guarda caso assai travagliata, ecco Mihály Berndt, un uomo che ha cercato di ridurre la frattura tra politica e cittadini. Ingegnere, è stato coinvolto nella preparazione di un progetto legislativo per il controllo dell’inquinamento acustico. In particolare – mi spiega -, abbiamo collaborato a una regolamentazione europea per l’inquinamento acustico, ed è nata una soluzione che rispecchiava il pensiero e le aspirazioni di tutti. Ho cercato di partecipare al processo legislativo, avendo presente l’idea della fraternità. Il risultato finale ha messo in evidenza che gli Stati membri pongono al primo posto la reciproca responsabilità gli uni verso gli altri. La nuova regolamentazione infatti, pur lasciando libertà a ciascun Stato, prescrive una forma unitaria per la misurazione, la raccolta dei dati e la presentazione dei risultati. Da Budapest al mondo Mentre le pagine dei giornali e del web sono occupate dalle polemiche sull’Islam, dagli scandali finanziari, dalle solite storie di sangue- sesso-soldi (le tre esse che, secondo tanti esperti di comunicazione, terrebbero alta l’audience), nella Budapest Sportaréna si odono parole forti, d’un altro mondo , commenta un giovane informatico argentino. Le pronuncia ad esempio il prof. Luigino Bruni, docente di economia a Milano: Occorre arrivare a fare in modo che anche le strutture politiche, economiche e sociali vivano rapporti di fraternità. Le esprime la professoressa Simone Borg, maltese, docente di diritto internazionale: La fraternità non lascia spazio ad alcuna forma di ingiustizia . Le esplicita il prof. Manuel Bru, docente di scienze della comunicazione, spagnolo, che invoca una comunicazione sensibile alla diversità culturale, una educazione alla solidarietà senza frontiere, senza pregiudizi ideologici e senza miopie localistiche. Le pronuncia infine Lucia Fronza Crepaz, già deputato, presidente del Movimento politico per l’unità: Scegliere la fraternità vuol dire sentire la posizione dell’altro come necessaria alla costruzione della comunità, mettere gli interessi della propria parte dopo l’interesse della comunità. Applausi: Questo potrà iniettare nel corpo sociale gli anticorpi contro violenza e fanatismo, mi dice una maestra di musica tedesca. Quale il risultato? – si chiede nel frattempo Lucia Fronza Crepaz -. Una reale capacità di capire le domande dei cittadini e di saper dare risposte più vere. Il luogo principe dove applicare questa cultura sono le nostre città: lì è la nostra sfida, ed è a partire da lì che si possono sperimentare nuove risposte di partecipazione, responsabilità e solidarietà alle domande che i cittadini si pongono. Applausi, di nuovo. Questa è politica purificata dalle tossine dell’interesse e della corruzione, commenta un docente di antropologia africano. E conclude: Quasi quasi ci credo. LIEVITO NELLA PASTA Intervista al card. Péter Erdö, primate, arcivescovo di Estergom- Budapest. Cosa le ha ispirato la vista di 11 mila laici impegnati a portare il Vangelo nella società? Sentiamo come una grazia provvidenziale che i fatti del ’56 siano un dono giunto alla Chiesa universale e a tutta l’umanità attraverso strade a noi sconosciute, e che adesso ritorna ad arricchire l’Ungheria di oggi: vale la pena perseguire sempre il bene, anche se non ne vediamo il risultato immediato. Inoltre la Chiesa approva e incoraggia i nostri sforzi per esprimere l’amore a Dio e la nostra fedeltà al Vangelo anche in mezzo agli affari di questo mondo. Con ciò siamo capaci di trasformare non solo il nostro ambiente, quello più vicino; ma anche il resto del mondo ne trova giovamento se c’è in noi amore. Come fare da lievito oggi nella società? Mi sembra che il lievito sia sempre scarso in confronto alla pasta e che coloro che, vivendo la propria fede cristiana, partecipano attivamente alla vita economica e politica e si impegnano nel campo della scienza, della tecnica o di altro ancora, siano veramente pochi, anche qui in Europa. Ma il lievito opera nella pasta, con un processo non sempre lineare. Nel corso della storia abbiamo visto retromarce, fallimenti, guerre, ubriacature di disumanità, magari dopo secoli di grande sviluppo. Tuttavia la fraternità capace di rinascere, la forza creatrice che si rinnova e lo sforzo umano nello spirito evangelico sono la garanzia che quel messaggio silenzioso, partito dal Cristo, è invincibile, ed è più forte di ogni male. Ogni uomo seguace di Cristo è luce, che illumina la notte. Nel mondo vediamo tanti di questi fari di luce, anche nel nostro Paese. E sul messaggio di Chiara Lubich sulla notte culturale? Nell’impegno per la fraternità constatiamo come si presentino davanti a noi problemi sempre più giganteschi, in una società caratterizzata dall’alienazione e dalla mancanza di prospettive. Invece il messaggio di Cristo rende il nostro mondo comprensibile e ci aiuta a rinnovare anche la nostra vita in comunità. In questo senso la fede non rinnova solo l’ambito privato, ma influenza anche la vita della società. FRATERNITÀ CON L’AFRICA Lanciato nel grande meeting di Budapest, si tratta di un progetto che vuole contribuire alla formazione delle risorse umane e professionali in Africa. Il baobab è il suo simbolo, l’albero della savana attorno al quale si riunisce la comunità intera. Dare ad esso acqua e nutrimento vuol dire permettere la crescita e lo sviluppo di nuovi rami, che potranno offrire ristoro agli abitanti del villaggio. Le condizioni di vita attuali nella regione sub-sahariana sono purtroppo ben note. Nella prospettiva della fraternità universale ogni uomo e ogni donna sono interpellati a far qualcosa. Una soluzione può passare solo attraverso l’impegno, in prima persona, per dare la possibilità agli africani di aiutare il proprio Paese. Ciò vuol dire consentire loro una formazione adeguata, tramite un sistema di finanziamento di borse di studio, per adulti e giovani privi di mezzi economici, per migliorare la propria preparazione sia a livello universitario sia con corsi di specializzazione professionale. I candidati coinvolti nel progetto si impegneranno, a conclusione degli studi, a mettere a frutto la competenza acquisita lavorando nel loro Paese per alcuni anni. È possibile sostenere il progetto alimentando il fondo Fraternità con l’Africa. Per i versamenti dall’Italia, fiscalmente deducibili: a) c.c.p. n° 81065005, intestato ad Amu; b) c.c.b. n° 100000640053 presso la Banca Sanpaolo IMI – Ag. Grottaferrata – Roma (Italia) Cin M – Abi 01025 – Cab 39140. Causale: Azione Fraternità con l’Africa. Per i versamenti dall’Estero: n° 640053 presso la Banca Sanpaolo IMI – Ag. Grottaferrata – Roma (Italia)

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