Venezuela, la stretta del regime contro gli avversari

Mentre si attende ancora la data delle elezioni presidenziali previste per quest’anno, con la principale candidata dell’opposizione proscritta, il regime chavista ha espulso dal Venezuela l’agenzia Onu per i Diritti Umani ed ha arrestato avversari accusati di attentare contro il presidente Maduro.
Proteste in Venezuela per chiedere la liberazione di Rocio San Miguel. Foto Ansa, Epa, Rayner Pena R.

Rocío San Miguel è sparita il 9 febbraio. L’avvocata e direttrice dell’Ong Control Ciudadano era all’aeroporto quando funzionari della Direzione generale di Controspionaggio militare l’hanno arrestata insieme alla figlia. Anche l’ex marito e due fratelli sono stati catturati e poi rilasciati con obbligo di presentarsi periodicamente alla polizia e di non rilasciare dichiarazioni alla stampa, né avere contatti con i familiari e con il legale. Per tutti si tratta di sparizione forzata, salvo per il governo e il procuratore generale della Repubblica, Tarek William Saab, per il quale solo insinuarlo è delitto.

A Rocío San Miguel e alla figlia Miranda la Commissione Interamericana dei Diritti Umani aveva concesso dal 2012 misure cautelari di protezione in quanto vittima di persecuzione, perquisizioni domiciliari e minacce.

Sono almeno 32 le persone agli arresti con l’accusa di complottare, in cinque diversi progetti criminali, per attentare alla vita del presidente Nicolás Maduro. Nel caso di Rocío San Miguel, si tratterebbe del principale e più recente, un piano denominato dalla polizia con il nome di “braccialetto bianco”.

Pochi giorni dopo, giovedì scorso 15 febbraio, un comunicato del Ministro degli Esteri Yván Gil intimava al personale dell’ufficio dell’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani (Ohchr) in Venezuela di abbandonare il Paese, per essersi reso colpevole di “atteggiamento colonialista, abusivo e violatore della Carta delle Nazioni Unite”, esigendo inoltre una “rettifica pubblica davanti alla comunità internazionale”.

Ciò avveniva all’indomani delle dichiarazioni del relatore speciale Onu, Michael Fakhri, circa le gravi carenze alimentari patite dalla popolazione e la denuncia che i comitati locali di distribuzione di alimenti nei quartieri disagiati sono uno strumento di clientelismo e di “punizione” politica, giacché le distribuzioni di generi alimentari escludono chi non dispone della “Tessera della patria” (ovvero è iscritto al Partito Socialista Unito del Venezuela).

Altra colpa attribuita all’organismo Onu è stata la richiesta di liberare Rocío San Miguel, richiesta di cui l’Agenzia Onu si era fatta portavoce con l’appoggio di duecento Ong. L’Alto Commissariato – ha dichiarato Gil in conferenza stampa – “interferisce negli affari interni”. Ed ha aggiunto: “Li vediamo molto attivi nel mettere in questione l’agire dello Stato, e questo in nessuno Stato è tollerabile… e proteggono unicamente persone che hanno tentato di sovvertire l’ordine costituzionale e di creare violenza in Venezuela”.

L’opposizione e la società civile hanno espresso la loro preoccupazione per il venir meno dell’unico strumento internazionale che poteva fare da contrappeso al regime e difendere anche se in misura limitata i perseguitati politici.

L’ultima “perla” del regime è stato l’arresto dell’ingegner Carlos Salazar Larez: un suo video che ritraeva l’imprenditore chavista Álex Saab mentre faceva shopping all’isola Margarita, definendolo “mascalzone”, è diventato virale sui social dove Salazar Larez l’aveva postato. Saab era stato rilasciato in gennaio dalla giustizia statunitense in cambio della liberazione di 10 cittadini nordamericani e di 21 prigionieri politici detenuti in Venezuela.

Sono stati sconfessati gli Accordi di Barbados firmati lo scorso ottobre tra il governo e l’opposizione. Sembravano rappresentare un importante punto di svolta per affrontare la crisi politica venezuelana.

“Gli Accordi di Barbados sono feriti a morte. Direi che sono in prognosi riservata”, ha affermato Maduro dopo i primi arresti di presunti cospiratori per assassinarlo, mandando così all’aria il patto firmato con l’opposizione, che stabiliva una tabella di marcia verso elezioni libere, cosa che aveva convinto gli Stati Uniti ad alleviare la pressione delle sanzioni economiche. Puntualmente tornate dopo la conferma della proscrizione senza prove della leader delle opposizioni, Maria Corina Machado, che secondo tutte le proiezioni trionferebbe abbondantemente su Maduro se fosse ammessa alle elezioni.

Anche se pare diminuire l’appoggio a Maduro perfino in seno al regime, e con un consenso popolare ai minimi termini, la maggior parte dei militari continua a sostenere Maduro, compresa la Milizia Bolivariana, corpo di volontari che supererebbe i 3 milioni di membri, alla quale è affidata la “custodia” dei seggi durante le elezioni.

Ricapitolando quanto è successo negli ultimi anni: l’Assemblea Costituente (2017) non ha neppure sfiorato la Costituzione, poi c’è stata la questione del referendum popolare per il territorio cosiddetto “irridento” dell’Esequibo, preceduto da una campagna patriottica, con movimenti di truppe e incontri ad alto livello con le autorità della Guyana, senza nulla di fatto.

Agli Accordi di Barbados, con la mediazione della Norvegia, hanno fatto seguito le denunce di complotti contro il presidente, che sono serviti a boicottare l’opposizione e ad espellere l’organismo Onu per i Diritti Umani: tutto insomma sembra indicare che la persecuzione politica agli avversari continuerà con la minore intensità possibile, insieme a manovre per screditare la dissidenza e difendere la rivoluzione bolivariana. Intanto, sono oltre 7 milioni i venezuelani che hanno abbandonato il Paese negli ultimi 6-7 anni. L’opposizione si dice decisa a dare battaglia ed a non permettere elezioni fraudolente. La società civile e la comunità internazionale vigilano. Ma basterà?

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